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  • Mercoledì 17 febbraio 2016

Chi era Boutros-Ghali

La storia dell'ex segretario generale dell'ONU morto martedì a 93 anni, e del suo rapporto conflittuale con gli Stati Uniti

di John M. Goshko - Washington Post

Boutros Boutros-Ghali nel 1991. (AP Photo/Marty Lederhandler, File)
Boutros Boutros-Ghali nel 1991. (AP Photo/Marty Lederhandler, File)

L’autore di questo articolo, il giornalista John M. Goshko, è morto nel 2014: per prassi i giornali preparano articoli su personaggi famosi in vista della loro morte e a volte capita che gli autori degli articoli muoiano prima dei loro soggetti. L’articolo è stato aggiornato dalla redazione del Washington Post, che lo ha pubblicato sul suo sito il 16 febbraio 2016.

Boutros Boutros-Ghali – un raffinato diplomatico egiziano il cui mandato come segretario generale delle Nazioni Unite all’inizio degli anni Novanta è coinciso con i genocidi in Rwanda e nei Balcani, e con le frizioni politiche che hanno portato l’amministrazione Clinton a bloccarne la rielezione – è morto il 16 febbraio in un ospedale al Cairo all’età di 93 anni. L’annuncio è stato dato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e Al-Ahram, un quotidiano governativo egiziano, ha detto che Boutros-Ghali è morto a causa delle complicazioni di una frattura al bacino.

Con una dimostrazione di forza pubblica che ha pochi precedenti in un’organizzazione internazionale, gli Stati Uniti, guidati da Madeleine K. Albright – l’allora ambasciatrice americana alle Nazioni Unite – avevano sfidato il largo sostegno raccolto da Boutros-Ghali per la sua candidatura alla rielezione del 1996, obbligando i 185 stati membri dell’ONU a scegliere al suo posto il candidato preferito dal governo di Washington, il ghanese Kofi Annan.

Nonostante fosse arrivato all’ONU come importante diplomatico di alto profilo, proveniente da un paese che aveva forti legami con gli Stati Uniti, Boutros-Ghali finì per essere percepito come un uomo che simboleggiava perfettamente le paure e le preoccupazioni dei conservatori statunitensi nei confronti delle Nazioni Unite. Per questo l’amministrazione degli Stati Uniti giunse alla conclusione che agli occhi di molti americani Boutros-Ghali fosse diventato il simbolo della cattiva gestione dell’ONU. Il suo allontanamento fu visto come una misura necessaria per scongiurare la possibilità che l’ONU diventasse un problema nella campagna per la rielezione del presidente Bill Clinton nel 1996. In particolare, Boutros-Ghali non era considerato abbastanza impegnato sul fronte delle grandi riforme amministrative e finanziarie richieste dai membri repubblicani del Congresso americano in cambio del pagamento delle alte quote arretrate che gli Stati Uniti dovevano all’ONU. Inoltre, Boutros-Ghali si trovò spesso in disaccordo con la visione dell’amministrazione Clinton e del Congresso degli Stati Uniti sulla gestione delle crisi dei primi anni Novanta, tra cui genocidi nei Balcani e in Africa.

Boutros-Ghali avrebbe definito in seguito i massacri etnici in Rwanda – in cui furono massacrate centinaia di migliaia di persone di etnia hutu e tutsti e vennero violentate moltissime donne – come il suo «peggior fallimento» alle Nazioni Unite, attaccando però i leader mondiali, tra cui Clinton, per la loro indecisione e per non avere fornito risorse sufficienti per affrontare le difficili missioni di pace che vedevano già soldati dell’ONU impegnati in tutto il mondo.

Quando il 22 novembre 1991 Boutros-Ghali fu eletto per un mandato di cinque anni come sesto segretario generale dell’ONU, nessuno poteva prevedere quanto si sarebbero agitate la acque alle Nazioni Unite. Grazie alla sua lunga esperienza a capo del servizio diplomatico egiziano e i molti contatti sia nel mondo industrializzato che in quello in via di sviluppo, Boutros-Ghali beneficiò della posizione dell’Egitto – un paese arabo nell’estremità settentrionale dell’Africa – e fu visto come un candidato del blocco africano, il più rappresentato tra gli stati membri dell’ONU.

Boutros-Ghali era nato al Cairo il 14 novembre 1922, era un cristiano copto e la sua famiglia aveva profonde radici nell’antica aristocrazia egiziana. Sposò un’ebrea egiziana, Leila Maria Nadler, l’unica sua parente diretta ancora viva. Dopo essersi laureato in giurisprudenza all’Università del Cairo nel 1946, Boutros-Ghali ottenne un dottorato in diritto internazionale all’Università di Parigi nel 1949. Grazie all’esperienza a Parigi divenne un grande appassionato di tutto ciò che è francese, una caratteristica che secondo i critici avrebbe poi complicato ulteriormente i suoi rapporti con gli Stati Uniti, a causa della sua abitudine a vedere le cose da una prospettiva francese. Questa tendenza si allargava alle questioni linguistiche: sebbene il suo inglese fosse fluente, Boutros-Ghali lo arricchiva con espressioni e costruzioni grammaticali francesi. Dopo essere tornato in Egitto, Boutros-Ghali insegnò diritto internazionale all’Università del Cairo per quasi vent’anni, pubblicando una decina di libri sul tema. Il suo ingresso sulla scena internazionale avvenne del 1977, quando l’allora presidente egiziano Anwar Sadat prese la decisione storica di andare in Israele. Quando il ministro degli Esteri anti-israeliano dell’Egitto si dimise in segno di protesta, Sadat mise Boutros-Ghali a capo della squadra che lo accompagnò a Gerusalemme. Boutros-Ghali guidò poi le trattative in preparazione degli incontri di Camp David tra Sadat e il primo ministro israeliano Menachem Begin.

Per i successivi 14 anni Boutros-Ghali è rimasto al vertice della politica estera egiziana, ricoprendo incarichi come ministro di stato per la politica estera (una sorta di sottosegretario nell’ordinamento politico egiziano), vice primo ministro e segretario di stato. Il fatto che fosse cristiano gli precluse la possibilità di diventare ministro degli Esteri in un paese in cui per motivazioni politiche il ruolo deve essere assegnato a un musulmano.

Non potendo migliorare la sua carriera in Egitto, Boutros-Ghali si candidò come segretario generale dell’ONU, mentre il blocco africano reclamava il suo turno per il ruolo. Nonostante molti stati africani avrebbero preferito un uomo dall’Africa nera, non riuscendo a ottenere un sostegno sufficiente per la proposta accettarono Boutros-Ghali come alternativa. Gli Stati Uniti tuttavia non furono mai entusiasti di Boutros-Ghali. Una volta fallito il tentativo di spingere il primo ministro canadese Brian Mulroney per l’incarico, gli Stati Uniti, in segno di rispetto per l’Egitto loro alleato, consentirono l’elezione di Boutros-Ghali. Il segretario generale è in realtà scelto dai 15 membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU: i membri permanenti, come gli Stati Uniti, possono esercitare il diritto di veto. Durante il voto, gli Stati Uniti si astennero.

Le divergenze tra Boutros-Ghali e gli Stati Uniti iniziarono a emergere chiaramente nell’ottobre del 1993, quando le truppe americane di sostegno alla missione di soccorso dell’ONU in Somalia rimasero coinvolte in un raid disastroso in cui morirono 15 soldati americani. I soldati erano sotto il comando americano e non dell’ONU, e furono gli Stati Uniti a pianificare e ordinare la missione fallita. L’amministrazione Clinton però, nel tentativo di sottrarsi alla rabbia dell’opinione pubblica americana, cercò di far passare l’idea che il raid fosse stato opera delle Nazioni Unite. In un discorso in televisione, Clinton annunciò che da allora le truppe degli Stati Uniti «sarebbero state sotto comando americano», dando a intendere che non fosse già così. L’amministrazione diffuse la notizia che alcuni importanti funzionari americani guidati da Albright avevano ripreso duramente Boutros-Ghali per il presunto fallimento dell’ONU in Somaila. Da parte sua Boutros-Ghali frenò i funzionari dell’ONU che volevano rispondere al tentativo di Washington di dipingerlo come capro espiatorio. «Non voglio provocare gli stati membri. Devo aiutarli, in modo che loro aiutino me. Se per gli stati membri è necessario che le Nazioni Unite superino alcuni problemi interni, le Nazioni Unite devono accettarlo», disse ad alcuni giornalisti Boutros-Ghali.

Il caso della Somalia si dimostrò la prima avvisaglia delle difficoltà future. Boutros-Ghali tormentò incessantemente Washington per il peggioramento della crisi finanziaria delle Nazioni Unite, causato del mancato pagamento di una cifra tra 1 e 1,5 miliardi di dollari in fondi da parte degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, fu restio ad attuare le riforme richieste da Washington perché avrebbero provocato notevoli tagli ai posti di lavoro e ai programmi dell’ONU sostenuti dai paesi in via di sviluppo, che rappresentavano la base del sostegno a Boutros-Ghali. I problemi più grandi arrivarono con la sanguinosa guerra civile in Bosnia, dove per Washington Boutros-Ghali svolse un ruolo troppo ambizioso per tentare di porre fine al conflitto. Boutros-Ghali si scontrò diverse volte con Albright insistendo affinché l’ONU avesse il controllo delle forze di pace in Bosnia, e soprattutto rifiutando ai funzionari britannici e francesi a capo della maggior parte delle truppe il diritto di autorizzare attacchi aerei contro i serbi. Secondo i sostenitori di Boutros-Ghali, il suo presunto piegarsi alle pressioni dei serbi rifletteva pragmaticamente la realtà: i serbi erano lo schieramento più forte nel conflitto in Bosnia, ed era necessario trattarli con cautela per far sì che collaborassero ed evitare che attaccassero le forze di pace dell’ONU. Tuttavia uno studio indipendente sui fallimenti in Bosnia ha criticato duramente Boutros-Ghali e i suoi ufficiali per la loro riluttanza a ricorrere ad attacchi aerei contro i serbi, e per non essersi opposto con maggiore fermezza alle operazioni serbe che hanno portato al massacro di migliaia di bosniaci musulmani.

All’inizio del 1996, quando era evidente che Boutros-Ghali fosse intenzionato a correre per un secondo mandato, l’amministrazione Clinton capì che sarebbe potuto diventare un fattore negativo per la rielezione di Clinton. Il leader della maggioranza al Senato americano, il repubblicano del Kansas Robert J. Dole (che sarebbe poi diventato l’avversario di Clinton alle elezioni), prendeva in giro Boutros-Ghail chiamandolo “Boo-trus” (un gioco di parole tra il nome del segretario generale e i “buu” di disapprovazione) in giro per il paese. L’amministrazione americana mise allora silenziosamente in atto una strategia per far fallire la ricandidatura di Boutros-Ghali.

Boutros-Ghali apparentemente poteva contare sul sostegno di quasi tutti gli altri stati membri dell’ONU, specialmente i paesi in via di sviluppo. Di fronte a un supporto tale non si erano presentati altri candidati. La campagna americana contro Boutros-Ghali fu guidata da Albright, che il gentile Boutros-Ghali definì con sdegno come una diplomatica alle prime armi e incapace, che si era inimicata molti dei suoi colleghi dell’ONU per il suo fare intimidatorio. Alla fine però fu lei a vincere. Albright, che secondo un suo assistente era convinta che il sostegno a Boutros-Ghali «fosse ampio ma sottile», riuscì abilmente a erodere il suo consenso. Ai paesi africani – che temevano di perdere il ruolo di segretario generale – fu proposto come alternativa Kofi Annan. Quando alla fine del 1996 Clinton nominò Albright segretario di stato, le altre delegazioni dell’ONU fecero attenzione a non rendersela ostile. Il dato più indicativo è che gli Stati Uniti non esitarono mai a sottolineare che avrebbero usato il diritto di veto al Consiglio di Sicurezza contro Boutros-Ghali, nel tentativo di rendere la sua candidatura un esercizio inutile nelle delibere del Consiglio.

La minaccia funzionò: quando gli Stati Uniti votarono contro Boutros-Ghali al voto preliminare del Consiglio, a tutti gli altri membri fu chiaro che Washington non avrebbe cambiato direzione. Prima alcuni dei sostenitori di Boutros-Ghali nel Consiglio gli voltarono le spalle, e poi gli africani ruppero il loro solido sostegno e iniziarono a proporre altri candidati. Quando infine la situazione fu chiara, Boutros-Ghali ritirò la sua candidatura, spianando la strada per l’elezione di Annan. Il primo gennaio del 1997, Boutros-Ghali lasciò le Nazioni Unite e volò in Egitto, mettendo fine a cinque anni turbolenti a capo dell’organizzazione globale.

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