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  • Giovedì 3 settembre 2015

La fabbrica di Sodastream in Palestina sta per chiudere

Ufficialmente per ragioni economiche, ma forse c'entra anche un grosso boicottaggio: in ballo ci sono anche i posti di lavoro di centinaia di palestinesi

Alcuni dipendenti della nuova fabbrica di Sodastream nel deserto del Negev (Photo/Dan Balilty)
Alcuni dipendenti della nuova fabbrica di Sodastream nel deserto del Negev (Photo/Dan Balilty)

Sodastream, un’azienda israeliana che produce una miscela da aggiungere all’acqua naturale per produrre bibite gassate, ha aperto una nuova fabbrica nel deserto del Negev, nel sud di Israele, che sostituirà una fabbrica costruita su una colonia israeliana di Ma’ale Adumim. L’annuncio della chiusura della fabbrica di Ma’ale Adumim era arrivato nell’ottobre del 2014 dopo che l’azienda veniva da anni criticata per averla costruita in un territorio palestinese ma occupato militarmente da coloni israeliani.

Sodastream ha detto di aver spostato la fabbrica solamente per ragioni economiche, ma da anni è oggetto di contestazioni e di un boicottaggio organizzati da “Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni” (BDS), una campagna internazionale contro Israele. Il CEO di Sodastream, Daniel Birnbaum, parlando della campagna di boicottaggio di BDS, ha detto che i suoi effetti sono stati «marginali» ma che si è trattato di una campagna di «propaganda, politica, odio, antisemitismo. Tutta roba con cui non vogliamo avere a che fare». Secondo i critici del boicottaggio, l’iniziativa ha avuto concretamente un effetto negativo soprattutto per i palestinesi: nella fabbrica di Ma’ale Adumim lavoravano 600 palestinesi, molti dei quali probabilmente perderanno il proprio lavoro quando la fabbrica chiuderà definitivamente entro le prossime due settimane.

Sodastream era già stata oggetto delle attenzioni dei giornali circa un anno e mezzo fa, quando assunse come testimonial la famosa attrice Scarlett Johansson. A quel tempo la famosa federazione di ONG Oxfam, che ha posizioni filopalestinesi, aveva criticato la scelta di Johansson, che era una sua ambasciatrice, di fare da testimonial per un’azienda israeliana operante nei territori occupati. In seguito alle critiche, Johansson aveva lasciato la propria carica di ambasciatrice di Oxfam. Sodastream era comunque criticata da tempo per aver “legittimato” l’occupazione di Israele costruendo una fabbrica in una colonia, e per trattare i propri dipendenti palestinesi in modo diverso da quelli israeliani.

L’azienda si era difesa dall’accusa di pagare meno i propri dipendenti palestinesi spiegando di offrire loro una paga “proporzionata” (il costo della vita, in Israele, è notevolmente più alto che in Cisgiordania). Sodastream ha cercato di riassumere tutti e 600 i propri dipendenti palestinesi che lavoravano a Ma’ale Adumim, ma ha detto che solamente a 130 di loro è stato garantito un permesso di lavoro. Sodastream ha anche detto che metterà a disposizione dei pullman per i dipendenti che abitano vicino alla vecchia fabbrica. Secondo Associated Press, però, per arrivare alla nuova fabbrica è necessario un tragitto di circa due ore che attraversa un severo punto di controllo.

Sodastream, fra le altre cose, da qualche tempo a questa parte se la passa piuttosto male: negli ultimi tre trimestri ha ottenuto un declino delle entrate superiore al 20 per cento rispetto all’anno precedente. Birnbaum ha detto che la colpa dei cattivi risultati di Sodastream non va attribuita al boicottaggio di BDS ma al cambiamento di abitudini dei consumatori degli Stati Uniti.