Si stava sempre meglio prima, a Forte dei Marmi

Valentina Pigmei racconta su Internazionale storie e presente di un posto in cui il rischio maggiore è la nostalgia, fin da quando c'era Montale

 (AP Photo/Courtesy Tory Burch, Noa Griffel)
(AP Photo/Courtesy Tory Burch, Noa Griffel)

Valentina Pigmei, giornalista che conosce il posto, ha scritto per Internazionale una lunga descrizione e riflessione su cosa sia diventata la cittadina di Forte dei Marmi, località turistica toscana di vecchia fama e alterni fascini, facendosi aiutare da un altro esperto del luogo, lo scrittore Fabio Genovesi.

Qualche giorno fa ero a Forte dei Marmi, un posto che conosco bene, o almeno mi sembrava di conoscere bene, che passeggiavo per via Mazzini. Mi hanno fermato un ragazzo e una ragazza in bicicletta, cappellino in testa e piantina in mano: “Scusi, dov’è il centro storico?”.

“Di là”, ho risposto. “Ma è solo quel viale con i negozi?”. I due ragazzi si sono guardati e hanno riso: “Grazie, signora”. Poi hanno inforcato la bici e se ne sono andati spediti verso il mare. Ci sono rimasta subito un po’ male: io amo il Forte, lo amo a prescindere, anche se non ci vado quasi più e se non vado mai a vedere i negozi. Così ho deciso di andare a fare un giro. Erano le tre del pomeriggio, era tutto chiuso e immobile. È vero, il centro di Forte dei Marmi è solo uno shopping district di extralusso, un susseguirsi di vetrine.

Forse è sempre stato così, ma un tempo almeno c’era il cinema estivo nel cortile di una palazzina del centro, c’era la sala giochi con dentro fortemarmini veri, c’era quello che vendeva l’anguria con i tavoli di legno. Oggi è un paese laccato, sterilizzato, lucidato come il vetro di un negozio. Il paese-bomboniera, come lo chiama Fabio Genovesi, fortemarmino e autore di romanzi quasi sempre ambientati qui, e di un libro-reportage ormai di culto, Morte dei Marmi.

Cos’è successo al Forte? È successo che nell’ultimo decennio la grandissima maggioranza dei suoi immobili è stata venduta a stranieri: russi, arabi, svizzeri. Dove c’erano boschi e pinete – e case bellissime, dal gusto impeccabile, di ricchi italiani del nord – oggi ci sono villone color pastello, colonne, mosaici, fontane. Sono stati proprio i parmigiani, i milanesi, i fiorentini della prima ondata, mi spiega il sindaco Umberto Buratti, a vendere ai russi, più che ai locali. Sarà, ma il risultato è lo stesso. Da quando è arrivato questo “tsunami di denaro”, tutto è cambiato.

Certo, in paese i russi non sono molto amati, nonostante i soldi che hanno portato. Il proprietario di uno stabilimento balneare frequentato da gente normale, lontano insomma dagli sfarzi da Roma imperiale storicamente apprezzati dai vip, mi dice per esempio che quest’anno c’è stato un calo della clientela del 20 per cento. “La crisi colpisce la classe media, e quindi i nostri clienti sono i più colpiti. I russi? Io non li prendo. Da noi c’è solo una coppia con un bambino, ma sono russi normali. Quelli capricciosi con mille pretesi non li prendo. Preferisco lavorare un po’ meno, e non avere persone maleducate”.

(continua a leggere su Internazionale)