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  • Venerdì 15 maggio 2015

Decidere se uccidere un uomo

A Boston dodici persone stanno prendendo probabilmente la decisione più complicata della loro vita: condannare a morte o no il responsabile delle bombe di Boston

di Seth Stevenson, Slate

Un manifestante fuori dal tribunale dove è in corso il processo a Dzhokhar Tsarnaev, il suo cartello dice: "la pena di morte è omicidio". (Scott Eisen/Getty Images)
Un manifestante fuori dal tribunale dove è in corso il processo a Dzhokhar Tsarnaev, il suo cartello dice: "la pena di morte è omicidio". (Scott Eisen/Getty Images)

«Questo non è un procedimento matematico e meccanico: da nessun punto di vista», ha detto il giudice George O’Toole alla giuria del processo a Dzhokhar Tsarnaev per le bombe alla maratona di Boston, poco prima che gli avvocati dell’accusa e della difesa iniziassero le arringhe finali. Tuttavia, O’Toole aveva appena dato ai giurati un modulo per aiutarli nel raggiungere un verdetto: poche pagine che chiedevano ai membri della giuria di elencare i pro e i contro della loro decisione di condannare Tsarnaev a morte o di risparmiargli la vita: da una parte i motivi per “friggere il bastardo”, dall’altra quelli per “sbatterlo in galera per sempre”.

Visto il numero di fattori che accusa e difesa hanno chiesto ai giurati di considerare nel prendere la decisione, scommetto che almeno qualche giurato ha sperato di poter usare il portatile durante le ore di camera di consiglio, ma è vietato. Potrebbe essere utile raccogliere tutte le considerazioni in un foglio Excel. I giurati sono 12 persone comuni che vivono nell’area di Boston, scelte con un lungo procedimento di selezione in accordo tra accusa e difesa.

Dzhokhar Tsarnaev (si legge “Johar Tsarnaev”), è il 21enne ceceno responsabile per l’attentato alla maratona di Boston del 15 aprile del 2013, quando due bombe uccisero tre persone e ne ferirono 264, di cui 17 hanno perso almeno un arto. L’attentato fu organizzato con la complicità del fratello maggiore di Tsarnaev, Tamerlan, che morì durante il lungo inseguimento con la polizia che finì con l’arresto di Dzhokhar Tsarnaev e durante il quale fu ucciso anche un agente di polizia.

Durante il processo la difesa ha presentato 21 “circostanze attenuanti” per convincere la giuria che Tsarnev sarebbe punito più giustamente con una sentenza al carcere a vita che con la condanna a morte. Per esempio:

– Aveva solo 19 anni
– È stato pesantemente influenzato da suo fratello maggiore
– Ha espresso rimorso e dispiacere per quello che ha fatto e causato

L’accusa ha risposto con una serie di “circostanze aggravanti”, utili per giustificare una condanna a morte. Alcune di queste devono essere dimostrate, prima che una giuria possa imporre una condanna a morte; altre possono essere presentate a discrezione del pubblico ministero. Sono:

– L’esistenza di un piano e la premeditazione dell’attentato
– Il fatto che il reato sia stato “particolarmente odioso, cruento e depravato”
– L’assenza di rimorso mostrata da Dzhokhar Tsarnaev

Tra le considerazioni presentate da accusa e difesa è evidente una contraddizione: Tsarnaev si è pentito o no? La giuria ha ben pochi fatti su cui basare questa decisione.

L’accusa ha fatto presente la calma con cui Tsarnaev, 20 minuti dopo aver messo le bombe, è andato a comprare un litro di latte al negozio; ha letto ad alta voce in aula i tweet scritti nei giorni e nelle ore seguenti l’attentato – “Non c’è amore nel cuore di questa città”, “sono un tipo sempre rilassato” – e ha mostrato in aula il famoso filmato di Tsarnaev che mostra il dito medio alla telecamera di sorveglianza della sua cella, come segno della sua mancanza di pentimento.

boston

La difesa, invece, ha fatto notare la testimonianza di suor Helen Prejean (suora cattolica contraria alla pena di morte resa famosa dal film Condannato a morte), che ha incontrato Tsarnaev in molte occasioni in prigione. Lei dice che Tsarnaev le ha detto, con lo sguardo basso e con la voce sincera, che «nessuno dovrebbe soffrire» nel modo in cui hanno sofferto le vittime dell’attentato. Dovremo credere alla sua parola su questa cosa: Tsarnev si è rifiutato di testimoniare ed esprimere pubblicamente il suo rimorso. È un suo diritto, e alla giuria è stato spiegato di non tenere in considerazione la cosa. Tsarnaev si è anche rifiutato di star seduto diritto o di interagire in qualsiasi modo durante il processo e le deposizioni dei testimoni che descrivevano il giorno in cui le bombe che ha messo con suo fratello gli hanno rovinato la vita, facendogli perdere un arto o uccidendo un membro della loro famiglia. Il giudice O’Toole ha ricordato alla giuria che anche l’atteggiamento dell’imputato durante il processo non dovrebbe essere tenuto in considerazione ai fini della decisione, ma è difficile pensare che sia davvero possibile.

La maggior parte degli altri fatti presentati durante il processo sono indisputabilmente veri. È difficile credere, per esempio, che Tsarnaev si sarebbe trasformato in un violento jihadista anche senza l’influenza di suo fratello maggiore Tamerlan. Allo stesso modo è difficile non essere d’accordo sul fatto che i modi dell’attentato e gli obbiettivi scelti rendano il crimine di Tsarnaev particolarmente odioso.

Judy Clarke, avvocato della difesa, ha ricordato ai giurati che molti insegnanti di Tsarnaev lo ricordavano come un ragazzo serio, rispettoso e di grande impegno, e che alcuni dei suoi amici che hanno testimoniato lo hanno descritto come “un bravo ragazzo”. Clarke ha chiesto alla giuria di tenere anche queste cose in considerazione nel prendere una decisione. Il pubblico ministero, William Weinreb, ha cominciato la sua contro-argomentazione dicendosi d’accordo con Clarke sull’importanza di tenere a mente le circostanze indicate dalla difesa. Per esempio, ha suggerito che si possa bilanciare l’aggravante che Tsarnaev abbia messo una delle bombe vicino a un bambino di otto anni con il fatto che la sua insegnante delle elementari abbia parlato bene di lui. «Questa decisione spetta solamente a voi», ha detto con il suo tipico tono sarcastico.

Weinreb ha poi astutamente rigirato alcune testimonianze volute dalla difesa, contro la stessa difesa. Ha mostrato che la serie di bravi insegnanti, mentori e maestri che davanti alla corte avevano descritto Tsarnaev come un ragazzo adorabile contraddicevano una delle argomentazioni più forti della difesa: che l’infanzia difficile di Tsarnaev avesse in qualche modo a che fare con gli attentati. Tsarnaev aveva tutto l’aiuto e il supporto di cui aveva bisogno, ha dimostrato Weinreb. E poi aveva un’auto, un telefonino, un computer portatile, istruzione pubblica di alta qualità, una buona assicurazione medica e viveva a pochi minuti da Harvard Square, non certo il Bronx. Descritta da Weinreb, l’infanzia di Tsarnaev è sembrata piuttosto comoda e agiata.

Lo scontro più interessante tra accusa e difesa però non è stato sul passato Ma sul futuro. Clarke ha detto alla giuria che la loro decisione non aveva a che fare solo con chi era Tsarnaev, ma anche con «la persona che è adesso e quella che potrebbe diventare». Parlando alla giuria, Clarke ha chiesto: «La sua è una vita che vale la pena salvare? C’è speranza per lui? Ci sono possibilità di riscatto?». La difesa ha presentato la decisione di salvare la vita di Tsarnav come una scelta nobile, una scelta che mostra forza, una scelta che solo delle persone sagge e equilibrate potrebbero prendere.

Weinreb ha invece presentato una diversa immagine dei prossimi decenni. Se Tsarnaev non venisse condannato a morte, passerebbe il resto dei suoi giorni in una cella fissando il muro e pensando alle persone che ha ucciso? O passerebbe il tempo pensando a se stesso e ai suoi fan e ai suoi esercizi in palestra? Weinreb ha chiesto ai giurati di immaginare Tsarnaev che passa le giornate mangiando, pregando, facendo ginnastica e leggendo riviste, tutto a spese dello stato. «Magari scriverà anche un libro», ha detto Weinreb con un filo di disgusto.

La decisione sulla condanna a morte di Tsarnaev è stata l’unica domanda aperta da quando è stato arrestato dalla polizia una settimana dopo l’attentato di Boston. Nei prossimi giorni ascolteremo finalmente la risposta. La giuria crederà alla difesa che ha detto che Tsarnaev, in fondo, «non è il peggio del peggio»? O all’accusa che lo ha descritto come «disumano»?

La discussione dei giurati in camera di consiglio sarà senza dubbio intensa e surreale: 12 normali cittadini, molto diversi tra di loro, che affrontano quella che probabilmente è la decisione più difficile che dovranno prendere nella loro vita. E non c’è un modo facile per uscirne. Uccidere Tsarnaev potrebbe portare un po’ di solievo a persone che probabilmente lo meritano, e non li invidio per essere in questa posizione. Ma uccidere Tsarnaev non riporterà in vita i morti. Inoltre in Massachusetts la pena di morte è stata abolita più di 30 anni fa: anche se questo è un processo federale che contempla la pena di morte, dibattere sulla vita e sulla morte di una persona è una cosa distante e insolita anche dal punto di vista culturale. Neanche gettarlo in una cella di cemento per i prossimi 70 anni, comunque, sarebbe un lieto fine. Prima opzione: vivrà per intero la vita che ha negato alle sue vittime, senza cambiare e senza pentirsi, coltivando le sue terribili idee fino al giorno della sua morte. Seconda opzione: intraprenderà un percorso di redenzione e trasformazione, ma non avrà grande importanza, perché in ogni caso non potrà mai ottenere la libertà condizionata (anche se dovesse infine capire cosa ha fatto di male, ce ne frega davvero qualcosa? Sarebbe comunque troppo tardi, e nessuno ci ridarà le quattro persone che ha ucciso).

In più, non credo che nessuna di queste due punizioni funzionerà da deterrente per il prossimo jihadista. Nessuna punizione sarà in ogni caso in grado di fare davvero giustizia. Vorrei solo poter far tornare indietro l’orologio a quel soleggiato lunedì, con i corridori che si avvicinano al traguardo della maratona, con grandi sorrisi sui loro volti, i loro amici e le loro famiglie che li incoraggiano, un lungo pomeriggio di festeggiamenti della loro impresa, una grande gioia per tutti. Non succederà. Invece dobbiamo occuparci di questo brutto affare.

© 2015 Slate