• Mondo
  • Mercoledì 22 aprile 2015

L’Arabia Saudita ha sospeso gli attacchi in Yemen

Ha detto di avere raggiunto i suoi obiettivi, ma non si capisce bene quali: sembra che c'entrino le pressioni americane

Yemenis look down through a hole in the roof of a house which was damaged the day before during an air strike by Saudi-led coalition warplanes on the nearby base on Fajj Attan hill on April 21, 2015 in the capital Sanaa. At least 38 civilians were killed in explosions that followed the air strike on the base on Fajj Attan hill that belongs to the missile brigade of the elite Republican Guard, which remains loyal to former president Ali Abdullah Saleh. AFP PHOTO / MOHAMMED HUWAIS (Photo credit should read MOHAMMED HUWAIS/AFP/Getty Images)
Yemenis look down through a hole in the roof of a house which was damaged the day before during an air strike by Saudi-led coalition warplanes on the nearby base on Fajj Attan hill on April 21, 2015 in the capital Sanaa. At least 38 civilians were killed in explosions that followed the air strike on the base on Fajj Attan hill that belongs to the missile brigade of the elite Republican Guard, which remains loyal to former president Ali Abdullah Saleh. AFP PHOTO / MOHAMMED HUWAIS (Photo credit should read MOHAMMED HUWAIS/AFP/Getty Images)

Martedì 21 aprile l’Arabia Saudita ha annunciato la fine dei bombardamenti contro i ribelli Houthi in Yemen. Gli attacchi, a cui hanno partecipato anche altri paesi arabi e che sono stati sostenuti logisticamente dagli Stati Uniti, erano iniziati il 26 marzo e hanno ucciso almeno almeno 944 persone. Il governo saudita ha specificato che non è stato raggiunto alcun accordo e nemmeno una tregua: ha detto invece che in futuro potrebbe esserci una nuova operazione militare, anche se non si sa di che tipo e con quali obiettivi.

Questa mattina diversi attivisti yemeniti hanno confermato su Twitter che nella capitale Sana’a, per la prima volta dopo tre settimane, non ci sono stati bombardamenti. Hisham Al-Omeisy ha scritto: «Sono le 7:30 a Sana’a. Mi sono appena svegliato e sento il cinguettio degli uccelli, invece che il rumore dei bombardamenti. La corrente è tornata un minuto fa. È strano».

 

I sauditi hanno spiegato la loro scelta dicendo di avere raggiunto il loro obiettivo, ma non è chiaro a cosa si riferiscano, scrive il New York Times. I bombardamenti erano cominciati per ricacciare indietro i ribelli Houthi, che nel settembre 2014 avevano preso il controllo di Sana’a, e nelle ultime settimane avevano conquistato diversi territori a sud, compresa una parte della città portuale di Aden. Ad Aden si era rifugiato anche il presidente yemenita Abdel Rabbo Monsour Hadi – autorità riconosciuta internazionalmente e sostenuta da Occidente e paesi arabi – prima di essere costretto a fuggire dal paese per l’avanzata degli Houthi. Nonostante l’annuncio della fine dei bombardamenti, apparentemente i sauditi non hanno raggiunto il loro obiettivo primario, ovvero la sconfitta degli Houthi: i ribelli Houthi controllano ancora i territori a nord, Sana’a e una parte del sud-ovest del paese.

La guerra in Yemen è una delle crisi più complicate in corso oggi. L’Arabia Saudita (paese sunnita) accusa gli Houthi di essere sostenuti e finanziati dall’Iran (paese sciita), che è a sua volta il più grande avversario dei sauditi nella regione del Golfo Persico. La rivalità tra sauditi e iraniani ha portato molti giornalisti a parlare di “proxy war” (“guerra per procura”), ovvero una guerra combattuta in un paese straniero usando delle forze locali per ottenere territori e/o influenza. Il ruolo dell’Iran nella guerra in Yemen, comunque, non è per niente chiaro: diversi analisti hanno scritto che il governo iraniano non ha grande controllo sugli Houthi. I ribelli Houthi sembrano avere beneficiato molto di più dell’appoggio delle forze fedeli all’ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh, che è stato a capo dello Yemen fino al 2012, per oltre trent’anni.

Il Wall Street Journal ha scritto che la decisione saudita di sospendere i bombardamenti è stata condizionata dalle pressioni dell’amministrazione statunitense, sempre più preoccupata per le conseguenze della guerra sugli equilibri della regione. Per esempio gli Stati Uniti stanno portando avanti da anni lunghi e complicati negoziati con l’Iran sul nucleare iraniano: i due paesi – insieme agli altri membri del gruppo “5+1”, cioè i cinque che hanno il potere di veto al Consiglio di sicurezza dell’ONU (Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Russia, Cina) più la Germania – hanno raggiunto un importante accordo preliminare all’inizio di aprile, accordo giudicato positivamente sia dall’Iran che dalla maggior parte degli analisti occidentali. La crisi in Yemen, e il fatto che Iran e Stati Uniti si trovino ai due schieramenti opposti della guerra, potrebbe complicare il raggiungimento di un accordo definitivo sul nucleare, previsto per la fine di giugno del 2015.

L’annuncio della sospensione dei bombardamenti sauditi, inoltre, è arrivato poche ore dopo che un importante funzionario iraniano aveva parlato di un’imminente tregua. Non è chiaro se sauditi e iraniani si siano messi d’accordo in via informale, scrive il New York Times. Un portavoce dei ribelli Houthi ha comunque smentito che sia stato raggiunto un qualche tipo di accordo per mettere fine alla tregua. Intanto l’Arabia Saudita ha detto che il suo nuovo obiettivo è quello di far ripartire il processo in atto prima dell’inizio della crisi, cioè la transizione che doveva stabilizzare la politica yemenita dopo la primavera araba e l’allontanamento dal potere dell’ex presidente Saleh.