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  • Giovedì 19 marzo 2015

La vittoria di Netanyahu, vista dai palestinesi

Il primo ministro israeliano ha escluso la soluzione dei "due-stati", poi ha cambiato idea: le richieste palestinesi di riconoscimento internazionale potrebbero avere maggiore efficacia

President Barack Obama watches as Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu and Palestinian President Mahmoud Abbas shake hands in New York, Tuesday, Sept. 22, 2009. (AP Photo/Charles Dharapak)
President Barack Obama watches as Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu and Palestinian President Mahmoud Abbas shake hands in New York, Tuesday, Sept. 22, 2009. (AP Photo/Charles Dharapak)

Aggiornamento delle 20.40 – Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha rivisto le sue contestate posizioni sulla questione palestinese espresse pochi giorni fa. Dopo avere detto un giorno prima delle elezioni israeliane di martedì scorso che sotto il suo governo i palestinesi non avrebbero mai avuto un loro stato, giovedì ha detto in un’intervista con MSNBC di sostenere ancora la soluzione dei “due stati”, uno israeliano e uno palestinese. Diversi giornalisti avevano scritto che la posizione di Netanyahu di rifiuto dei due stati era stata determinata da motivi elettorali. La sua nuova dichiarazione di oggi, comunque, era piuttosto inaspettata.

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Le ultime elezioni parlamentari che si sono tenute in Israele sono state vinte nettamente da Likud, il partito del primo ministro conservatore Benjamin Netanyahu. Uno dei temi più discussi in campagna elettorale è stata la posizione di Netanyahu sulla questione palestinese, ancora più rigida del consueto. Il giorno prima del voto Netanyahu aveva detto che sotto il suo governo i palestinesi non avrebbero mai avuto un loro stato, escludendo in pratica del tutto la soluzione dei “due stati”, cioè quella che prevede l’esistenza di due stati indipendenti, uno israeliano e uno palestinese. Diversi giornalisti e analisti, tra cui Diaa Hadid sul New York Times e Peter Beaumont sul Guardian, hanno scritto che la netta vittoria di Likud avrà quindi la conseguenza di bloccare il processo di pace mediato dagli Stati Uniti, ma di rendere allo stesso tempo più facile ai palestinesi chiedere un approccio unilaterale sulla questione: cioè perseguire la creazione di uno stato della Palestina, indipendentemente dal riconoscimento di Israele e togliendo quell’alibi ai paesi stranieri diffidenti.

Giovedì il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha infatti detto che la soluzione dei “due-stati” non è più possibile dopo la netta vittoria di Netanyahu. I palestinesi sono da sempre divisi sulla strategia da usare nei confronti degli israeliani: in passato la fazione favorevole ai negoziati si è spesso trovata in difficoltà se gli accordi raggiunti erano considerati troppo svantaggiosi per i palestinesi. Abbas, favorevole a negoziare, è stato accusato più volte di mettersi d’accordo con Israele e di non considerare a sufficienza gli interessi dei palestinesi. Nel corso della guerra nella Striscia di Gaza della scorsa estate, per esempio, i governi di Stati Uniti e Israele si sono trovati a parlare con esponenti di Fatah – il partito di cui fa parte il presidente Abbas – ma non di Hamas, il gruppo palestinese che controlla di fatto la Striscia di Gaza, considerato più estremista. Il problema è che anche i palestinesi più favorevoli ai colloqui tendono a irrigidire le loro posizioni e adeguarle a quelle degli intransigenti nel caso in cui in Israele ci sia un governo che si dichiara non disposto a negoziare.

La netta vittoria di Netanyahu ha prodotto questa situazione (non ancora concreta per la verità, perché Netanyahu deve formare un governo: ma dopo i risultati elettorali sembra che non avrà particolari difficoltà). Beaumont scrive sul Guardian che la vittoria di Netanyahu ha semplificato la vita a molti, inclusi il presidente Abbas e i suoi alleati: Abbas potrà abbandonare la politica dei negoziati attribuendone la responsabilità a Israele e continuando nel frattempo a cercare il pieno riconoscimento dello stato palestinese alle Nazioni Unite e tra i paesi dell’Unione Europea. Inoltre l’Autorità Palestinese cercherà di aderire ad altri importanti trattati o agenzie internazionali, dopo le adesioni già completate al Tribunale Penale Internazionale e all’Unesco. Le autorità palestinesi hanno detto che stanno studiando diversi trattati delle Nazioni Unite per valutare a quali aderire: si stanno concentrando soprattutto su trattati di tipo “tecnico”, come quelli relativi al turismo, all’acqua e all’ambiente.

Un nuovo governo guidato da Netanyahu, scrive Hadid, potrebbe anche spingere l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) a decidere di interrompere la collaborazione con gli israeliani sulla sicurezza in Cisgiordania: una decisione di questo tipo potrebbe avere conseguenze gravi e immediate sulla stabilità della Cisgiordania. L’OLP aveva già parlato della collaborazione sulla sicurezza il 5 marzo scorso, in risposta alla decisione degli israeliani di sospendere il trasferimento delle tasse raccolte per conto dei palestinesi (provocando, tra le altre cose, un taglio dei salari per i lavoratori statali palestinesi). Il Guardian ha scritto, citando sue fonti, che diversi funzionari palestinesi, tra cui Abbas, stanno cercando di portare al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite una nuova risoluzione che chieda la fine dell’occupazione israeliana nei territori palestinesi. L’ultima risoluzione di questo tipo era stata votata a dicembre del 2014 ma non era passata, per i voti contrari di Stati Uniti e Australia (gli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza hanno il potere di veto). Per il momento non sembra che ci siano le condizioni affinché la situazione possa cambiare rispetto ad allora.

Ci sono quindi due considerazioni di cui parlano molti analisti, dopo la vittoria di Netanyahu: la prima è che la decisione di Netanyahu di escludere la soluzione dei “due-stati” solo per ragioni elettorali – in passato Netanyahu si era mostrato disponibile a trattare, anche se a certe condizioni – sembra isolare ancora di più Israele. Il governo israeliano aveva già perso molto consenso internazionale a causa della guerra della scorsa estate nella Striscia di Gaza. Di questo le richieste palestinesi potrebbero quindi approfittare. La seconda considerazione riguarda invece i pessimi rapporti che ci sono da tempo tra Netanyahu e il presidente americano Barack Obama (e in generale tra Netanyahu e i Democratici americani). Obama, hanno scritto Reuters e il New York Times, ha detto che continuerà ad appoggiare la soluzione dei “due-stati” e che, considerate le ultime posizioni di Netanyahu a riguardo, potrebbe decidere di cambiare il suo voto nel Consiglio di Sicurezza.

nella foto: da sinistra a destra, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il presidente americano Barack Obama e il presidente palestinese Mahmoud Abbas a New York, il 22 settembre del 2009. (AP Photo/Charles Dharapak)