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  • Domenica 15 marzo 2015

Si vota in Israele

Tutte le cose da sapere su un'elezione molto incerta: Netanyahu ha perso il suo vantaggio, secondo i sondaggi, ma per il centrosinistra non sarà semplice formare una maggioranza

Ultra orthodox Jewish rabbi Gershon Edelstein prepares to vote in Bnei Brak, Israel, Tuesday, March 17, 2015. Israelis are voting in early parliament elections following a campaign focused on economic issues such as the high cost of living, rather than fears of a nuclear Iran or the Israeli-Arab conflict. .(AP Photo/Oded Balilty)
Ultra orthodox Jewish rabbi Gershon Edelstein prepares to vote in Bnei Brak, Israel, Tuesday, March 17, 2015. Israelis are voting in early parliament elections following a campaign focused on economic issues such as the high cost of living, rather than fears of a nuclear Iran or the Israeli-Arab conflict. .(AP Photo/Oded Balilty)

Martedì 17 marzo in Israele si vota per eleggere i 120 membri della Knesset, l’unica camera del parlamento israeliano. Si tratta di elezioni anticipate, convocate lo scorso dicembre a causa di alcuni dissidi all’interno della coalizione di governo guidata dal primo ministro conservatore Benjamin Netanyahu, che cerca un quarto mandato. Secondo gli ultimi sondaggi il Likud, il partito di Netanyahu, è stato superato da Unione Sionista, una coalizione considerata di centrosinistra che unisce due partiti di opposizione: a causa della complessità del sistema elettorale israeliano, e delle inevitabili alleanze successive al voto, il risultato delle elezioni è ancora molto incerto. I principali partiti sono divisi su moltissimi temi, dalla questione palestinese ai problemi economici interni.

Qualche numero
I seggi (10.372 in totale) saranno aperti dalle 7 locali (le 6 del mattino in Italia) alle 22 (le 21 in Italia). Tre reti televisive nazionali pubblicheranno i rispettivi exit poll dopo la chiusura dei seggi: poi saranno conteggiati i voti e i risultati si conosceranno molto probabilmente la mattina del 18 marzo. Dopo la pubblicazione ufficiale dell’esito da parte della Commissione elettorale, il presidente israeliano Reuven Rivlin avrà 42 giorni di tempo per le consultazioni e per trovare un candidato a cui dare l’incarico di formare il nuovo governo: attenzione, non è scontato che sia il leader del partito che ottenuto più voti, ma quello che avrà più probabilità di guidare una maggioranza stabile. Secondo i sondaggi nessun partito o coalizione riuscirà ad avere la maggioranza assoluta (61 seggi), quindi il presidente dovrà individuare un blocco politico in grado di avere il sostegno necessario per formare il governo.

Gli israeliani che potranno votare sono quasi 6 milioni (5.881.696): alle elezioni del 2013 votò il 67,8 degli aventi diritto. L’80 per cento della popolazione con diritto di voto è costituito da ebrei, il 15 per cento da arabi (musulmani, cristiani e drusi) e il 5 per cento da altri. Ha diritto al voto chi ha compiuto 18 anni, è cittadino israeliano ed è iscritto all’anagrafe in Israele. Chi è residente all’estero non può votare, a eccezione di chi lavora nelle strutture come ambasciate o consolati. In corsa ci sono 25 partiti e 1.280 candidati.

voti israele

Il complicato sistema elettorale israeliano
I cittadini israeliani non possono votare direttamente alcun candidato ma soltanto indicare il partito a cui vogliono che vada il loro voto (la maggior parte dei partiti organizza primarie per scegliere i candidati da mettere in lista, tranne i partiti religiosi, dove i candidati sono in genere nominati direttamente dal leader e sono tutti maschi). Quando si recano al seggio, l’elettore e l’elettrice ricevono una busta in cui devono infilare un solo biglietto corrispondente alla lista che intendono votare. La busta viene poi messa nell’urna. I partiti che ottengono più del 3,25 per cento dei voti entrano in Parlamento.

Israele ha una lunga tradizione di instabilità politica, a causa soprattutto del suo sistema elettorale strettamente proporzionale basato su una singola circoscrizione: un unico listone bloccato, che vale per tutto il paese, senza premi di maggioranza. Il risultato del voto è una Knesset molto frammentata, governi instabili ed elezioni frequenti: dal 1948 ad oggi in Israele ci sono state 19 elezioni parlamentari (in Italia nello stesso periodo “solo” 17) e 33 governi.

I temi della campagna elettorale
I due principali temi della campagna elettorale sono i guai dell’economia israeliana e il processo di pace, che riguarda il problema di cosa fare con i territori palestinesi in Cisgiordania che Israele occupa dal 1967 e come regolare i rapporti con la Striscia di Gaza, dominata dal movimento politico estremista Hamas.

Il centrosinistra è in genere più aperto ai negoziati coi palestinesi: per esempio Yitzhak Herzog – leader del Partito Laburista, uno dei due partiti che formano Unione Sionista – ha detto di essere favorevole alla cosiddetta soluzione dei “due stati”, cioè alla creazione di uno stato palestinese indipendente. Il centrodestra è tradizionalmente molto prudente nelle concessioni ai palestinesi (anche se fu il governo di centrodestra di Ariel Sharon a ordinare nel 2005 il ritiro delle truppe di occupazione da Gaza) e nel corso delle recente campagna elettorale ha ulteriormente inasprito le sue posizioni.

Dopo 50 giorni di guerra, lo scorso agosto era stato raggiunto un accordo che aveva sospeso i combattimenti a Gaza tra Israele e Palestina. Oltre alla cessazione degli attacchi armati, l’accordo prevedeva: un allentamento dell’attuale embargo israeliano verso la Striscia, la possibilità per l’Autorità Palestinese di ottenere progressivamente il controllo dei confini della Striscia di Gaza, ora per lo più gestiti da Israele e alcune altre piccole concessioni all’Autorità Palestinese. Lo scorso dicembre c’erano stati però diversi attacchi e attentati in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, a cui il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva reagito mettendo in discussione l’accordo.

Dalla fine di quell’operazione militare nella Striscia di Gaza, il governo israeliano aveva poi autorizzato la costruzione di nuovi insediamenti in alcune aree della Cisgiordania occupata e anche nell’area di Gerusalemme Est, una zona a maggioranza araba e che i palestinesi considerano la capitale della Palestina. La costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania, secondo la maggior parte degli analisti, allontana notevolmente la possibilità di una pace permanente tra israeliani a palestinesi. Quasi tutte le ipotesi di accordo di pace, infatti, partono proprio dall’evacuazione di gran parte dei coloni israeliani che vivono in Cisgiordania.

Il giorno prima delle elezioni un giornalista del sito israeliano NRG ha chiesto a Netanyahu: «Se lei sarà rieletto primo ministro, non ci sarà uno stato palestinese?». Netanyahu ha risposto: «Esatto. Penso che chiunque si muova per istituire uno stato palestinese oggi, e si metta a evacuare alcune zone occupate, consegnerebbe all’Islam radicale un’area da cui attaccare lo Stato di Israele». Insomma Netanyahu ha detto apertamente di essere contrario alla soluzione dei “due stati”: questa strategia di irrigidimento viene vista da esperti e analisti come una reazione alle critiche dei partiti più a destra del Likud, che giudicano l’attuale Netanyahu troppo debole e irresoluto. Netanyahu teme insomma di essere scavalcato a destra e starebbe cercando di non compromettere una possibile futura nuova alleanza con l’estrema destra dopo il voto.

Poi c’è l’economia: la questione del budino
Lo scorso ottobre un ragazzo israeliano residente a Berlino ha ottenuto molta notorietà in Israele per aver pubblicato una fotografia di un budino “Milky” trovato in un supermercato tedesco. La fotografia mostrava non solo come la confezione del budino fosse ben più grande di quella che si poteva trovare in un supermercato israeliano, ma anche che costava quattro volte meno. Della questione si è parlato molto in Israele e diversi politici e altri personaggi pubblici hanno accusato il ragazzo di mancanza di patriottismo: il suo messaggio, hanno detto loro, sembrava invitare i suoi coetanei a trasferirsi in Germania. Il ministro delle Finanze israeliano, Naftali Bennet, ha definito la pagina Facebook che ospitava l’immagine del budino “anti-sionista”.

L’episodio è stato usato da molti in Israele per parlare del rapido aumento del costo della vita nel paese. Il 41 per cento degli israeliani fatica a far quadrare i conti alla fine del mese. Un paniere di beni di prima necessità in Israele è risultato il 12 per cento più costoso che nella media dei paesi OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Secondo il sito Expatistan, vivere a Tel Aviv è in media il 16 per cento più caro che vivere a Milano, nonostante gli italiani siano in media più ricchi degli israeliani. Anche i prezzi delle abitazioni e degli affitti sono molto alti rispetto agli stipendi medi e spesso i giovani sono costretti a vivere a lungo con i genitori per l’impossibilità di pagare un affitto. Negli ultimi sei anni il prezzo medio delle case è cresciuto del 56 per cento. Inoltre, Israele è un paese con un altissimo livello di diseguaglianza nella distribuzione dei redditi, più vicino a quello di un paese in via di sviluppo – o degli Stati Uniti – piuttosto che alla media europea. Uno dei motivi della difficile situazione economica di Israele è che molte delle energie politiche ed economiche del paese vengono dedicate al campo della sicurezza.

Quali sono i partiti in corsa
Abbiamo messo in ordine – dividendoli per ipotetici schieramenti di centrodestra, centrosinistra e “altri” – i principali partiti israeliani: a fianco è indicata la forchetta del numero di seggi che potrebbero riuscire a ottenere, secondo gli ultimi sondaggi realizzati il 13 marzo.

Centrodestra
Likud, 21-23
Il partito di Benjamin Netanyahu, l’attuale primo ministro, ha oggi la maggioranza relativa e ha guidato gran parte dei governi degli ultimi anni, dopo essere rimasto all’opposizione per i primi decenni di storia del paese. Netanyahu è considerato uno dei politici più abili nel gestire i rapporti con gli altri partiti che gli permettono di mantenere la maggioranza nella Knesset. Negli ultimi tempi è stato però accusato di governare senza una strategia e ha preso posizioni sempre più rigide nella questione palestinese, fino ad arrivare alla questione simbolica su cui è caduto il governo. In politica economica il Likud è un partito liberale e favorevole alle privatizzazioni. In generale i diversi governi Netanyahu hanno deciso per una riduzione della spesa pubblica.

Yisrael Beiteinu, 4-6
È il partito guidato dall’attuale ministro degli Esteri Avigdor Lieberman e la sua base elettorale è formata dagli immigrati di origine est europea. Beiteinu è un partito nazionalista di destra: in politica estera ha posizioni simili al Likud, alle ultime elezioni le due formazioni si erano presentate insieme. È probabile che i seggi che otterrà il partito di Lieberman saranno essenziali per formare una coalizione di centrodestra con il Likud.

Ha-Bayit Ha-Yehudi (“La casa ebraica”), 11-12
È una formazione del centrodestra nazionalista, guidata dall’attuale ministro dell’Economia Naftali Bennet (quello delle critiche al tizio del budino). Durante la scorsa legislatura Bennet ha spesso criticato Netanyahu accusandolo di avere posizioni troppo morbide nei confronti dei palestinesi e ha escluso completamente la possibilità che ai palestinesi sia concesso di formare un loro stato: Bennet sostiene che nell’attuale situazione del Medio Oriente un ritiro dell’esercito israeliano dalla Cisgiordania aumenterebbe le possibilità di espansione degli estremisti islamici. Anche il partito di Bennet sarà essenziale per la formazione di qualsiasi governo di centrodestra.

Centrosinistra
Unione Sionista, 24-26
È una coalizione formata dal Partito Laburista, guidato da Yitzhak Herzog, e da Hatnuah, guidato da Tzipi Livni (ex ministro del Likud, poi passata nel centrista Kadima con Ariel Sharon, ministra nell’ultimo governo Netanyahu, rimossa dal primo ministro nell’ambito della storia che ha portato alle elezioni anticipate). Gli accordi annunciati dai due partiti prevedono che in caso di vittoria alle elezioni i due leader si alterneranno nel ruolo di primo ministro. Herzog guiderà il governo per i primi due anni e Livni per gli ultimi due. Entrambi i leader sono favorevoli alla ripresa del dialogo con i palestinesi. Hanno un’agenda economica riformista.

Altri
Yesh Atid, 11-13
Si tratta di un partito fondato soltanto nel 2012 dal giornalista televisivo Yair Lapid. Alle elezioni del 2012 Yesh Atid ha ottenuto un grosso successo, conquistando 19 seggi: Lapid ha ottenuto il posto di ministro delle Finanze, dal quale è stato cacciato alla fine del 2014 innescando la crisi che ha portato alle elezioni anticipate. La basa elettorale di Yesh Atid è formata dalla classe media laica israeliana e il partito non ha un’agenda forte sulla questione palestinese. Lapid ha comunque criticato Netanyahu per aver interrotto il processo di pace e recentemente ha detto che non appoggerà mai più un suo governo.

Kulanu, 8-10
È un partito di formazione molto recente, nato nel dicembre 2014. È guidato da Moshe Kahlon, ex membro del Likud. Molti ritengono Kulanu un partito vicino a Yesh Atid: si era parlato anche di un’alleanza tra i due partiti a un certo punto, che però non si è mai realizzata. È un partito di centro che ha la sua base soprattutto tra i laici dei ceti più bassi. La piattaforma di Kulanu è basata soltanto su temi di politica economica e i suoi punti principali sono l’abbassamento del costo della vita e la riduzione delle diseguaglianze. Secondo molti esperti, Kulanu potrebbe diventare l’ago della bilancia delle prossime elezioni.

Meretz, 4-5
Meretz rappresenta l’ala sinistra del movimento sionista e si definisce un partito socialdemocratico. Il suo programma è fondato sulla pace e sulla promozione dei diritti umani, compresi quelli LGBTI, sull’ambientalismo, sulla netta separazione tra religione e stato e su una serie di politiche economiche basate sull’uguaglianza sociale e economica. Il partito ritiene che senza lo Stato pale­sti­nese non esi­sta una solu­zione vera al con­flitto. La leader del partito è una donna, Zehava Gal-on: ha 59 anni, è stata eletta per la prima volta in parlamento nel 1999 ed è stata presidente della commissione per la lotta contro il traffico delle donne.

Gli ultra-ortodossi: Shas, 7-9 e Giudaismo unito della Torah, 6-7
Shas è un partito sefardita ultraortodosso: promuove una serie di riforme economiche a beneficio delle famiglie più povere e lotta contro la discriminazione degli ebrei in Medio Oriente. Nelle precedenti elezioni il partito aveva ottenuto undici seggi. L’attuale leader è Arye Dery: ha 56 anni, è stato eletto per la prima volta in parlamento nel 1988 e nel 1999 è stato condannato a tre anni di carcere per corruzione e frode. Dal 1984, anno della sua fondazione, il partito è quasi sempre entrato a far parte delle varie coalizioni di governo. Dal 2013, i deputati di Shas sono all’opposizione a causa di un disaccordo con gli altri partiti di destra alleati di Netanyahu sulla questione del servizio militare dei giovani ultra-ortodossi. Giudaismo unito della Torah è un partito askenazita ultra-ortodosso che alle ultime elezioni ha ottenuto sette seggi. Si occupa soprattutto di tematiche religiose. È guidato da Yaakov Litzman: ha 66 anni e ha avuto in passato importanti incarichi di governo.

Lista comune, 12-13
La più grande sorpresa di queste elezioni potrebbe essere la coalizione formata da tutti i principali partiti arabi di Israele. Il 15 per cento della popolazione israeliana è di lingua araba: fino a oggi gli arabi avevano però fatto registrare una bassissima affluenza alle elezioni e non erano mai riusciti a formare una lista unitaria. Lista comune, formata da partiti arabi-nazionalisti e di estrema sinistra, è guidata da Ayman Odeh. Difficilmente i membri della lista potranno accettare posti di governo, ma è possibile che decidano di appoggiare un governo guidato da Unione Sionista.

E quindi?
Il risultato delle elezioni dipenderà molto dai voti ottenuti dalle due principali formazioni politiche, Likud e Unione Sionista. Gli scenari possibili sono principalmente tre: il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu potrebbe essere riconfermato alla guida di una nuova coalizione di destra a cui potrebbero partecipare i partiti più piccoli. E questo anche se il Likud dovesse prendere meno voti dell’Unione sionista. Se il margine tra i due principali partiti dovesse essere molto ridotto, ci potrebbe essere anche la possibilità di formare una grande coalizione: trovare però un’intesa sulla questione palestinese e sui problemi economici e sociali del paese sarebbe molto difficile. Questa grossa coalizione potrebbe dunque avere il solo scopo di approvare una nuova legge elettorale e di ritornare al voto. Infine, anche se sembra piuttosto improbabile, il centrosinistra di Isaac Herzog potrebbe vincere con un buon margine e allearsi con i partiti più piccoli, moderati o laici. Quello che succederà effettivamente si conoscerà comunque nei giorni successivi al voto quando i partiti israeliani si saranno consultati e avranno stabilito le alleanze per formare un nuovo governo: probabilmente sarà importante – di nuovo – il ruolo dei partiti più piccoli.