16 milioni di auto richiamate per un guasto agli airbag

Riguarda un'azienda che li produce per molte grandi case automobilistiche, non è chiaro se riuscirà ad aggiustarle in breve tempo

di Andrea Fiorello – @andreafiorello

<> on November 20, 2014 in Washington, DC.
<> on November 20, 2014 in Washington, DC.

Takata Corporation, un’azienda giapponese fornitrice di componenti per l’industria automobilistica, è al centro di un enorme richiamo a livello mondiale che coinvolge – secondo le stime Reuters – oltre 16 milioni di automobili di diversi marchi. Gli airbag per il lato guida prodotti da Takata all’inizio degli anni Duemila hanno già provocato cinque morti accertate (quattro negli Stati Uniti e una in Malesia) e almeno 160 feriti a causa di un difetto costruttivo della centralina e del dispositivo di gonfiaggio che, in caso di attivazione degli airbag conseguente a un incidente, può esplodere in maniera incontrollata proiettando frammenti di metallo contro i passeggeri dell’automobile.

Negli ultimi mesi i governi di Stati Uniti e Giappone – le nazioni dove sono state vendute la maggior parte delle auto che presentano il difetto, rispettivamente 10 e 2,5 milioni – hanno fatto forti pressioni su Takata e sulle case automobilistiche coinvolte (fino a ora sono stati inclusi i marchi Honda, Acura, Toyota, Lexus, Nissan, Infiniti, BMW, Chrysler, Dodge, Ram, Ford, Mazda, Mitsubishi, Pontiac, Saab e Subaru), perché queste facessero chiarezza sulla situazione e richiamassero i modelli coinvolti per sostituire il componente difettoso. Dalle informazioni rilasciate fino ad ora da Takata e dai costruttori di auto, non si capisce esattamente dove siano stati venduti i circa 4 milioni di automobili restanti.

Come funzionano gli airbag
L’airbag è un dispositivo di sicurezza passiva – la sua funzione cioè non è prevenire gli incidenti, ma ridurne gli effetti negativi – che si trova all’interno del volante, della plancia, dei sedili o dell’abitacolo delle automobili, progettato per proteggere i passeggeri dagli urti in caso d’incidente stradale.

La sua invenzione risale al 1952, fu dello statunitense John W. Hetrick, ma la prima vettura di produzione a montare i “cuscini salvavita” – la Oldsmobile Toronado – fu presentata negli Stati Uniti d’America solo vent’anni dopo, nel 1973. Fino agli anni ottanta l’airbag è stato un dispositivo dall’utilità discussa: nel primo decennio di impiego i suoi limiti tecnici lo rendevano molto meno efficace rispetto ai sistemi moderni, inoltre l’accoglienza dei consumatori nei confronti di questo nuovo (e costoso) accessorio fu piuttosto tiepida, tanto che la stessa Oldsmobile eliminò la possibilità di montare gli airbag sulla Toronado già nel 1977, giustificando la scelta con un sostanziale disinteresse da parte dei clienti.

In Europa la prima casa costruttrice a offrire gli airbag sulle proprie auto fu la tedesca Mercedes-Benz, che dal 1981 cominciò a proporre il dispositivo in opzione sui suoi modelli più prestigiosi e costosi, come la Classe S. Da allora le ricerche automobilistiche nel campo della sicurezza hanno portato a una diffusione sempre maggiore degli airbag, tanto che dal 1 aprile 1989 negli Stati Uniti è obbligatorio che le auto nuove siano dotate del cuscino lato guida, mentre l’obbligo di quello per il passeggero anteriore è entrato in vigore nel 1998. In Europa la normativa varia da nazione a nazione, l’Italia ha imposto l’obbligo di airbag lato guida per i nuovi modelli più potenti dal 1992, mentre quello dei due cuscini anteriori è arrivato su tutte le auto circa dieci anni dopo.

Come funziona un airbag
Il sistema degli airbag è composto da quattro elementi fondamentali: sensori di accelerazione, centralina elettronica di gestione, dispositivo di gonfiaggio e cuscino. Quando i sensori percepiscono un’improvvisa decelerazione dell’auto compatibile con un impatto inviano un segnale alla centralina, che decide se le conseguenze dello scontro sui passeggeri possano essere ridotte dagli airbag. In questo caso, la centralina invia un segnale al dispositivo di gonfiaggio, che tramite l’esplosione di una piccola carica gonfia il cuscino in 30/50 millesimi di secondo, evitando che la testa degli occupanti urti direttamente contro parti rigide dell’abitacolo. Il cuscino, fatto di uno speciale tipo di stoffa, è riempito di azoto o gas inerte e dopo l’impatto una serie di microfori sulla sua superficie ne permettono lo sgonfiamento.

Nel caso degli airbag difettosi prodotti da Takata, progettazione e costruzione errate del dispositivo di gonfiaggio rischiano di creare un eccesso di pressione al suo interno: potrebbe quindi esplodere e produrre schegge di metallo proiettate ad alta velocità verso i passeggeri.

Il produttore giapponese è sospettato di aver nascosto questo difetto all’agenzia governativa statunitense per la sicurezza stradale NHTSA (National Highway Traffic Safety Administration) sin dal 2004, anno in cui – secondo il New York Times – Takata avrebbe cominciato a effettuare in segreto test sui suoi airbag, sulla base di rapporti che segnalavano ferimenti sospetti. Due dei cinquanta airbag provati sarebbero esplosi in maniera incontrollata, con conseguenti schegge, ma dopo tre mesi l’azienda avrebbe ordinato ai tecnici di sospendere le sperimentazioni e distruggere tutti i dati raccolti.

La storia del richiamo Takata
La notizia dei dispositivi di gonfiaggio difettosi è diventata di dominio pubblico solo nell’ultimo anno, ma la storia che ha portato al richiamo in corso iniziò nel 2001 quando alcuni ingegneri della Takata – che produce circa un quinto degli airbag a livello mondiale – identificarono alcuni difetti di produzione nello stabilimento di Monclova, in Messico. Questi problemi riguardavano la saldatura dei dispositivi di gonfiaggio e il trattamento dell’esplosivo (nitrato di ammonio) che, se esposto all’umidità, può causare esplosioni incontrollate. La crescente domanda di airbag da parte delle case automobilistiche avrebbe portato i dipendenti dello stabilimento messicano di Takata a sottovalutare il problema, consegnando anche i pezzi difettosi pur di tenere il passo con le richieste dei clienti, che prevedevano pesanti penali in caso di ritardo.

Nel 2004 la casa automobilistica giapponese Honda avrebbe segnalato a Takata un’esplosione “inusuale” avvenuta in Alabama su una sua Accord del 2002, che aveva proiettato contro il guidatore frammenti e detriti metallici. Il produttore di airbag avrebbe risposto a Honda che si trattava di un’anomalia isolata – dovuta all’esposizione del nitrato di ammonio all’umidità – e non di un difetto di produzione, così le due aziende chiusero la causa legale intentata dal guidatore ferito con un risarcimento, evitando di dover dare ulteriori spiegazioni.

Questo evento portò Takata a effettuare i test segreti, i cui presunti risultati allarmanti a quanto pare furono distrutti. L’azienda giapponese nega l’esito di questi test e sostiene di avere risolto il problema della gestione del nitrato di ammonio nei primi anni duemila, ma nel 2006 lo stabilimento di Monclova fu pesantemente danneggiato da una serie di esplosioni, che mandarono in frantumi le finestre delle case a chilometri di distanza. Secondo i lavoratori, gli scoppi furono alimentati dal nitrato di ammonio conservato accanto allo stabilimento. In appena un mese e nonostante i danni subiti la fabbrica messicana riprese l’attività a pieno regime e il continuo incremento di produzione richiesto dai clienti non diede tempo ai responsabili dello stabilimento – secondo l’agenzia Reuters – di risolvere i problemi  di esposizione all’umidità dell’esplosivo.

Solo nel novembre del 2008 avvenne il primo richiamo ufficiale da parte di Honda, che sostituì il dispositivo di gonfiaggio su 4.205 auto nel mondo. A maggio del 2009 Ashley Parham, nell’Oklahoma, morì a causa dell’esplosione dell’airbag sulla sua Honda Accord del 2001: anche in questo caso il produttore automobilistico e Takata si accordarono per il risarcimento, negando ogni responsabilità. Appena un mese dopo, però, Honda richiamò in tutto il mondo mezzo milione di esemplari prodotti tra il 2001 e il 2002 per lo stesso motivo.

La vigilia di Natale del 2009 una donna della Virginia, al volante della sua Honda Accord del 2001, fu uccisa da schegge metalliche che le recisero i vasi sanguigni del collo, proiettate dall’esplosione dell’airbag avvenuta in seguito a un piccolo incidente. La famiglia fece causa alle due aziende, ma anche in questo caso il processo si chiuse con un accordo sul risarcimento. A seguito di questa morte e dei richiami effettuati da Honda, la NHTSA aprì un’inchiesta per capire la causa degli incidenti, ma cinque mesi dopo chiuse l’indagine non riscontrando anomalie da parte di Takata o Honda.

Negli anni successivi al 2009 Honda ha continuato a effettuare richiami su modelli prodotti tra il 2001 e il 2003. Dalla metà del 2013, ai richiami della casa giapponese si sono aggiunti quelli di altri costruttori e la problematica si è estesa anche a modelli prodotti dopo il 2008. Inoltre, altre due morti sono avvenute in circostanze simili.

Indagine
A giugno di quest’anno la NHTSA ha aperto un’indagine non sui problemi di produzione lamentati da Takata e Honda, ma sulla possibilità che le esplosioni mortali siano state causate dall’esposizione delle auto ad ambienti molto umidi, come quelli di alcuni stati degli Stati Uniti. Questa inchiesta ha portato i produttori a richiamare altre auto, vendute nelle regioni americane ad alto tasso di umidità. Il 30 ottobre, invece, la NHTSA ha dato un mese di tempo a Takata per rispondere ad alcune domande riguardanti i richiami; se entro il 1 dicembre il produttore di airbag giapponese non darà risposte soddisfacenti, dovrà pagare una sanzione fino a 35 milioni di dollari. Nel frattempo, oltre che all’indagine amministrativa, Takata è stata sottoposta anche a indagini penali.

Il quinto decesso è stato reso pubblico da Honda il 13 novembre scorso ed è il primo accertato al di fuori degli Stati Uniti d’America: a luglio una donna incinta sarebbe morta in Malesia, a seguito di una dinamica simile a quella dei decessi precedenti.

Negli ultimi dieci giorni alcune case automobilistiche coinvolte hanno annunciato ulteriori richiami per sostituire gli airbag difettosi e i dirigenti di Takata, Honda North America e Chrysler Group sono comparsi davanti alla commissione per il commercio del Senato degli Stati Uniti, che li ha convocati a seguito di pressioni ricevute da più parti perché il governo federale adotti provvedimenti legislativi più severi sulla sicurezza stradale.

Nell’audizione di fronte alla commissione parlamentare, sono emerse varie difficoltà legate ai richiami in genere e al richiamo Takata in particolare. Uno studio della NHTSA segnala che le case automobilistiche non sempre riescono a rintracciare i proprietari degli esemplari difettosi, perché questi a volte non comunicano variazioni di domicilio alle autorità statali o si disinteressano agli avvisi. Secondo lo studio, tra il 2000 e il 2008 la media di auto effettivamente riparate è stata tra il 55 e il 75 per cento del totale richiamato.

Il responsabile globale per la qualità di Takata, Hiroshi Shimizu, ha dichiarato alla commissione del senato statunitense che la sua azienda non solo continua a usare il nitrato di ammonio, ma che potrebbe avere difficoltà a fornire abbastanza airbag di ricambio. Anche aprendo due nuove linee di assemblaggio e dedicando l’intero stabilimento messicano alla costruzione di pezzi sostitutivi, la produzione non potrebbe superare i 450.000 airbag al mese. A questo ritmo servirebbero quasi due anni per sostituire i dieci milioni di airbag richiamati negli USA.

Le case automobilistiche coinvolte hanno escluso la possibilità di sostituire gli airbag Takata con dispositivi di altri produttori: secondo Toyota sviluppare un dispositivo di gonfiaggio simile a quello Takata, che si adatti all’alloggiamento nel volante, richiederebbe almeno un anno, mentre BMW ha stimato il tempo in due anni.

Foto: una donna ferita dall’esplosione di un airbag durante un incidente, nel 2013, testimonia di fronte a una commissione del Senato degli Stati Uniti che ha esaminato il problema dei guasti della Takata nel corso di un’audizione (Alex Wong/Getty Images)