L’idea di sinistra di Matteo Renzi

È rispettosa delle «culture e radici» ma per risolvere i problemi di oggi qualcosa deve cambiare: l'ha spiegata il presidente del Consiglio in una lettera a Repubblica

Italian Prime Minister Matteo Renzi takes part in the Festa dell'Unita, the annual Democratic Party (PD) political meeting in Bologna on September 7, 2014. AFP PHOTO/ VINCENZO PINTO (Photo credit should read VINCENZO PINTO/AFP/Getty Images)
Italian Prime Minister Matteo Renzi takes part in the Festa dell'Unita, the annual Democratic Party (PD) political meeting in Bologna on September 7, 2014. AFP PHOTO/ VINCENZO PINTO (Photo credit should read VINCENZO PINTO/AFP/Getty Images)

L’edizione di oggi di Repubblica ha pubblicato in prima pagina una lettera del presidente del Consiglio Matteo Renzi in risposta a un breve editoriale non firmato apparso sul giornale di ieri. L’editoriale chiedeva «che idea ha della sinistra il segretario PD che la guida» e accusava Renzi di aver mortificato il sindacato e «una storia legata alla conquista e alla difesa di diritti che tutelano i più deboli» nel nome di una battaglia politica sulla nuova riforma del mercato del lavoro (il dibattito fra minoranza di sinistra del PD e governo sulla riforma del mercato del lavoro va avanti da diverso tempo). L’editoriale di ieri riprende nei toni e nel merito un editoriale più lungo e firmato da Ezio Mauro, il direttore di Repubblica, pubblicato il 5 novembre 2014.

Nella lettera di oggi, Renzi dice di aver «sempre rivendicato con fierezza e orgoglio l’appartenenza del Partito Democratico alla sinistra, alla sua storia, la sua identità plurale, le sue culture e le sue radici» e che però un passato così glorioso è necessario «rivitalizzarlo ogni giorno cambiando, trovando soluzioni concrete ed efficaci a problemi che si trasformano». Per stare concretamente dalla parte dei più deboli, dice Renzi, è necessario per esempio estendere un certo tipo di tutele ai lavoratori senza contratti a tempo indeterminato e alle donne che hanno una gravidanza.

Caro Direttore, Repubblica mi chiama in causa personalmente. Mi chiede quale sia la nostra idea di sinistra che rivendico, ad esempio, quando parlo della riforma del lavoro. Come lei sa, non da ora, sono tra quelli che hanno favorito e accelerato la fine dell’era del trattino. Quando non si poteva pronunciare la parola sinistra senza premettere qualche prefisso per attenuarla, quasi a prendere le distanze. Ho sempre rivendicato, con fierezza ed orgoglio, l’appartenenza del Partito democratico alla sinistra, alla sua storia, la sua identità plurale, le sue culture, le sue radici.

Per questo ho spinto al massimo perché il Pd, dopo anni e anni di dibattito, fosse collocato in Europa dove è adesso, dentro la famiglia socialista della quale oggi, grazie al risultato delle ultime elezioni, è il primo partito con oltre 11 milioni di voti. Questo per dire che nei comportamenti concreti, nelle scelte strategiche, il Pd sa da che parte stare.

Dalla parte dei più deboli, dalla parte della speranza e della fiducia in un futuro che va costruito insieme. Non credo sia il caso qui e ora di discutere di pantheon e di storie, ognuno ha i suoi riferimenti, le persone che ci hanno ispirato nella azione politica. Dico solo che nel Partito democratico hanno tutti cittadinanza alla pari, così come le tradizioni, le esperienze, le parole che ognuno di noi porta dentro questo progetto che è collettivo e anche personale perché riguarda nel profondo ognuno di noi, e non perché come vorrebbe chi ci vuole male c’è un uomo solo al comando. Quella del Pd è una sfida plurale, un progetto condiviso da milioni di persone, non la tigna di un individuo. Ed è per questo, però, che non possiamo permetterci di restare fermi a un passato glorioso, ma rivitalizzarlo ogni giorno cambiando, trovando soluzioni concrete ed efficaci a problemi che si trasformano e che riguardano da vicino la vita delle persone.

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foto: VINCENZO PINTO/AFP/Getty Images