Le tasse scenderanno o no?

Il governo dice di averle tagliate ma un suo documento stima un aumento della pressione fiscale nei prossimi anni: una guida semplice per capire cosa vogliono dire questi dati

di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca

Nell’ultimo mese il presidente del Consiglio Matteo Renzi e diversi membri del governo hanno parlato spesso del taglio delle tasse che avverrà a partire dal 2015. Nella manovra approvata lo scorso ottobre è effettivamente presente uno dei tagli di imposte più significativi degli ultimi anni. Questo però non significa automaticamente che la pressione fiscale sia complessivamente destinata a scendere nel prossimo anno: paradossalmente, a quanto risulta da alcuni documenti prodotti dallo stesso governo e da alcune dichiarazioni del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, secondo le stime la pressione fiscale nei prossimi anni aumenterà.

Questi dati si trovano nella nota di aggiornamento al DEF, un documento pubblicato lo scorso 30 settembre dal ministero dell’Economia:

L’incidenza delle entrate finali sul PIL passa dal 48,3 per cento del 2014 al 48,7 nel 2016 per poi ridursi progressivamente al 48,2 per cento nel 2018. Un’analoga evoluzione è attesa per la pressione fiscale che dal 43,3 nel 2014 raggiungerebbe il 43,6 per cento nel 2016 per poi ridursi al 43,2 per cento nel 2018.

Questo significa che il ministero dell’Economia stima che la pressione fiscale – occhio: misurata come percentuale del PIL – passerà dal 43,3 per cento attuale al 43,6 per cento nei prossimi due anni. In altre parole, aldilà dei singoli tagli di imposte, la stima è che complessivamente le tasse aumenteranno nei prossimi anni. Queste cifre sono state in parte confermate dal ministro dell’Economia, che lo scorso 4 novembre ha dichiarato che la pressione fiscale «mostra una riduzione contenuta nel 2015, passando dal 43,3% del 2014 al 43,2%», cioè complessivamente le tasse scenderanno leggermente il prossimo anno. Ma nei due anni successivi, la pressione fiscale: «si stabilizza al 43,6% in ciascuno degli anni 2016 e 2017», in altre parole, complessivamente, le imposte saliranno nel 2016 e rimarranno a quel livello anche nel 2017.

Il giornalista Oscar Giannino è stato tra i primi ad accorgersi di questi dati, e ne ha chiesto conto al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Sandro Gozi durante la puntata del talk show PiazzaPulita di lunedì scorso. Al tema aveva dedicato un articolo anche l’analista finanziario Mario Seminerio sul suo blog Phastidio; il capogruppo alla Camera di Forza Italia Renato Brunetta aveva commentato le stime di Padoan poco dopo la sua audizione il 4 novembre.

Ma com’è possibile che con i tagli annunciati per 18 miliardi di euro dal governo Renzi la pressione fiscale aumenti nei prossimi anni? Prima di tutto è importante precisare che la cifra dei 18 miliardi è un totale “lordo” che non tiene conto degli aumenti di imposte contenuti nella legge. Se dai 18 miliardi di tagli sottraiamo gli aumenti di tassazione sulle rendite finanziarie, quelli sui fondi pensione e un’altra serie di piccoli aumenti ed altri effetti, viene fuori che i tagli ammontano in realtà a circa 13 miliardi di euro (qui avevamo analizzato nel dettaglio tutte queste voci).

La pressione fiscale, però, non aumenta soltanto quando si alzano le tasse: anche la lotta all’evasione fiscale produce un aumento della pressione fiscale. Quest’ultima infatti si calcola prendendo tutte le entrate fiscali dello stato e rapportandole al PIL. Se le entrate fiscali aumentano perché la lotta all’evasione diviene più efficace, allora la pressione fiscale aumenta: vuol dire che più persone pagano le tasse, non che le persone pagano più tasse. Il governo ha inserito nella manovra 3,9 miliardi provenienti dalla lotta all’evasione e questo denaro finisce inevitabilmente conteggiato come aumento della pressione fiscale.

Ma non è tutto: a questo punto c’è da considerare in maniera più approfondita che cos’è questa “pressione fiscale”. Si tratta del nome comune con cui viene chiamato il rapporto tra gettito fiscale e PIL. In altre parole è la somma di imposte e contributi calcolata come percentuale del PIL. Il governo controlla più o meno direttamente i primi due valori (tasse e contributi) ma non ha un controllo diretto sul PIL. Se quest’ultimo diminuisce, o non cresce abbastanza, nonostante il taglio delle tasse la pressione fiscale calcolata sul PIL non diminuisce. In parte, l’Italia si trova proprio in questa situazione di recessione o bassa crescita. Secondo le stime del governo il PIL nel 2014 scenderà dello 0,3 per cento mentre la crescita nel 2015 sarà molto ridotta, circa lo 0,6 per cento. Se questi numeri fossero corretti, allora la stima di Padoan, cioè pressione fiscale leggermente in calo o stabile nel 2015 e in crescita negli anni successivi, potrebbe essere valida.

Queste stime di crescita, però, non sono molto condivise. Per esempio, per quanto riguarda il 2014 la Commissione Europea stima un calo del PIL dello 0,4 per cento e non dello 0,3. Anche la crescita prevista per il 2015 dal governo (più 0,6 per cento) è considerata da molti troppo ottimistica: le stime più diffuse parlano di una crescita pari a zero o al massimo intorno allo 0,5 per cento. Se il PIL sarà effettivamente più basso di quello stimato dal governo, allora è chiaro che la pressione fiscale, calcolata come percentuale proprio del PIL, risulterà più alta. A questo punto, però, bisogna fare un’altra considerazione, stavolta a favore del governo. Il cosiddetto “bonus da 80 euro” vale in tutto 10 miliardi: per quanto i suoi effetti pratici siano in tutto e per tutto simili a quelli di un taglio delle imposte, formalmente viene categorizzato come aumento di spesa. In altre parole, per ragioni contabili, non viene conteggiato come riduzione della pressione fiscale.

In conclusione, mettendo insieme tutti questi fattori, non sembra che la manovra avrà un grande impatto sulla pressione fiscale nei prossimi anni. Come si comprende dalle tabelle realizzate dal ministero dell’Economia, in uno scenario ottimistico ci sarà per il 2015 una lievissima riduzione della pressione fiscale seguita da un quasi altrettanto lieve aumento. In uno scenario appena peggiore la riduzione del 2015 potrebbe trasformarsi in un aumento ridotto della pressione fiscale, seguito da anni di aumenti ancora più significativi.