La volta che Sartre rifiutò il Nobel

Cinquant'anni fa lo scrittore e filosofo francese rifiutò il Nobel per la Letteratura, per via del socialismo e perché non voleva «trasformarsi in un'istituzione»

French playwright and philosopher Jean-Paul Sartre is shown in his study in Paris, on November 28, 1948. (AP Photo)
French playwright and philosopher Jean-Paul Sartre is shown in his study in Paris, on November 28, 1948. (AP Photo)

Il 22 ottobre di cinquant’anni fa il premio Nobel per la Letteratura venne assegnato a Jean Paul Sartre, scrittore e filosofo francese, che però lo rifiutò. Per la Francia fu un vero e proprio scandalo, che costò a Sartre molte critiche e accuse; la più divertente fu probabilmente quella dello scrittore francese André Maurois: sostenne che Sartre non aveva accettato «perché incapace di indossare uno smoking».

La prima lettera di Sartre
Il rifiuto di Sartre fu comunque un evento annunciato. Nel settembre del 1964, un mese prima dell’assegnazione del premio Nobel, quando avevano cominciato a circolare notizie sull’attribuzione del riconoscimento proprio a 
Sartre, questo scrisse una prima lettera all’Accademia svedese in cui diceva:


«Signor Segretario,

da alcune informazioni di cui ora sono venuto a conoscenza, avrei qualche possibilità, quest’anno, di ottenere il premio Nobel. Benchè sia presuntuoso discutere di una votazione prima ancora che abbia avuto luogo, mi prendo la libertà di scriverle per dissipare o evitare un malinteso. Intanto, signor Segretario, le assicuro subito la mia profonda stima per l’accademia svedese e per il premio con cui ha onorato tanti scrittori. Tuttavia, per alcune ragioni del tutto personali e per altre che sono più oggettive, non desidero comparire nella lista dei possibili candidati e non posso né voglio né nel 1964 né dopo accettare questa onorificenza.

La prego, Signor Segretario, di accettare le mie scuse e di credere alla mia altissima considerazione».

Sulla lettera circolano però diverse storie, tra cui quella che non fu mai né aperta né letta. Le Monde riportò che un giornale svedese, il 21 ottobre, aveva scritto che Sartre aveva rinunciato in anticipo al premio per non privare qualcun altro di poterlo ricevere, ma anche che il segretario e il presidente dell’Accademia avevano dichiarato di non aver mai ricevuto una lettera da parte di Sartre. Comunque sia andata, la notizia del possibile rifiuto di Sartre era già in circolazione.

Nel 1964 Sartre aveva pubblicato alcuni dei suoi libri più importanti (La nausea, Il muro, L’età della ragione) ma soprattutto era diventato per molti, soprattutto giovani, un simbolo della “ribellione” e dell’anticonformismo nel Dopoguerra. Era presente e riconosciuto nel dibattito pubblico del tempo: aveva fondato la rivista Les Temps Modernes in cui, insieme ad altri intellettuali come Simone de Beauvoir e Merleau-Ponty, condivideva le proprie idee per esempio contro l’imperialismo americano; aveva sostenuto, almeno in un primo momento, la Rivoluzione cubana; aveva espresso posizioni favorevoli a Mao in Cina; aveva dato il suo appoggio al Partito comunista francese e intrapreso una lotta radicale a favore della causa nazionalista anticolonialista algerina.

L’assegnazione e il rifiuto ufficiale
Il 22 ottobre del 1964 la Fondazione Nobel assegnò a Sartre il premio, motivando la scelta dicendo che «con la sua opera ricca di idee e piena di spirito di libertà e ricerca della verità» Sartre aveva «esercitato un’influenza di vasta portata» per il tempo presente.

SartreIl giorno dopo, il 23 ottobre 1964, Jean-Paul Sartre diede un’intervista alla stampa svedese in cui confermava il suo rifiuto. Questo secondo testo venne inviato anche alle redazioni di diversi quotidiani francesi. Sartre iniziava dicendo di essere «profondamente dispiaciuto» che la questione avesse «assunto l’aspetto di uno scandalo: un premio mi è stato assegnato e io l’ho rifiutato». Confermava di aver inviato la sua prima lettera all’Accademia e precisava con più chiarezza le motivazioni personali e oggettive che l’avevano spinto alla rinuncia. Avevano a che fare con il senso del suo essere scrittore e con il ruolo politico dell’intellettuale.

«Le ragioni per cui ho rinunciato al premio non riguardano l’Accademia svedese, né il premio Nobel in sé, come ho spiegato nella mia lettera all’Accademia dove ho richiamato due tipi di motivazioni: personali e obiettive.

Le ragioni personali sono le seguenti: il mio rifiuto non è un atto di improvvisazione. Ho sempre declinato gli onori ufficiali. Quando nel Dopoguerra, nel 1945, mi è stata proposta la Legione d’Onore, ho rifiutato malgrado avessi degli amici al governo. Ugualmente non ho mai desiderato entrare al Collège de France, come mi è stato suggerito da qualche amico. (…) Lo scrittore deve rifiutare di lasciarsi trasformare in un’istituzione, anche se questo avviene nelle forme più onorevoli, come in questo caso.

Le mie ragioni obiettive sono le seguenti: la sola lotta possibile sul fronte della cultura, in questo momento, è quella per la coesistenza pacifica di due culture, quella dell’est e quella dell’ovest. Non voglio dire che bisogna abbracciarsi – so bene che il confrontarsi di queste due culture prende necessariamente la forma di un conflitto – ma che la coesistenza deve avvenire tra gli uomini e tra le culture, senza l’intervento delle istituzioni. (…) Le mie simpatie si rivolgono innegabilmente verso il socialismo e a ciò che viene chiamato il blocco dell’est, ma io sono nato e sono stato allevato in una famiglia borghese. Spero tuttavia, sia chiaro, che “vinca il migliore”: cioè il socialismo.

Questo è il motivo per cui io non posso accettare le onorificenze conferite dalle alte istanze culturali, sia all’ovest che all’est, anche se capisco con chiarezza la loro ragione di esistere. Anche se tutte le mie simpatie sono dalla parte dei socialisti sarei incapace di accettare, per esempio, il premio Lenin se qualcuno me lo volesse dare, ma non è questo il caso. Durante la guerra d’Algeria, quando abbiamo firmato il “Manifesto dei 212”, avrei accettato il premio con riconoscenza perché non avrebbe onorato solo me ma la libertà per cui si lottava. Ma questo non è successo, ed è solo alla fine della guerra che mi si è assegnato il premio».

Lo scrittore svedese Lars Gyllensten, che dal 1966 al 1989 aveva fatto parte della fondazione che conferisce i Nobel, nel suo libro di memorie ha raccontato di essere stato informato dalla segreteria dell’accademia che Sartre si era rivolto loro nel settembre del 1975 attraverso un intermediario per valutare la possibilità di ottenere l’assegno che undici anni prima non aveva ritirato (i vincitori del Nobel ricevono anche un premio in denaro: oggi l’equivalente di circa 900mila euro). Jean-Paul Sartre avrebbe voluto destinare il denaro a un’iniziativa umanitaria. La sua domanda fu rifiutata, racconta Gyllensten, perché i soldi del premio erano stati investiti nella fondazione. Annie Cohen-Solal, biografa di Sartre, ritiene che questo fatto non sia veritiero.

Nella storia del premio Nobel, istituito nel 1901, quello di Sartre fu un caso unico ed eccezionale. Nel 1958 anche il poeta e scrittore russo Boris Pasternak scrisse all’accademia svedese che non poteva accettare il premio, ma per motivi che non dipendevano da una sua libera scelta (il rifiuto fu infatti motivato con l’ostilità del suo paese, la Russia, dai cui servizi segreti aveva ricevuto varie minacce e avvertimenti). Il terzo caso di rifiuto, infine, fu un rifiuto a metà: George Bernard Shaw nel 1925 accettò il Nobel ma rifiutò di ricevere il premio in denaro che questo prevedeva, chiedendo che venisse utilizzato per la traduzione dallo svedese all’inglese di alcune opere.