Per una nuova etichetta degli abbracci

Abbracciarsi troppo e subito non rende più amici o più complici, dice Veronica Toney sul Washington Post: e propone di tornare a rispettare ognuno i propri spazi

di Veronica Toney – Washington Post

Polar bears Freedom and Viktor cuddle each other in the water at the Ouwehands Zoo in Rhenen on January 23, 2014. The two bears were reunited after three years. They lived separate, Freedom together with her cubs and Viktor alone to prevent him of hurting the little ones. AFP PHOTO/ ANP - REMKO DE WAAL = netherlands out (Photo credit should read REMKO DE WAAL/AFP/Getty Images)
Polar bears Freedom and Viktor cuddle each other in the water at the Ouwehands Zoo in Rhenen on January 23, 2014. The two bears were reunited after three years. They lived separate, Freedom together with her cubs and Viktor alone to prevent him of hurting the little ones. AFP PHOTO/ ANP - REMKO DE WAAL = netherlands out (Photo credit should read REMKO DE WAAL/AFP/Getty Images)

Alla fine succede sempre. Magari al primo incontro, magari in quelli successivi. Le braccia si allungano verso di te, senza lasciarti la possibilità di obiettare. O di schivare. O di girarti e correre. Le braccia che si avvicinano producono una reazione involontaria: il mio torso si irrigidisce e le mie braccia si alzano: ma non per abbracciare a loro volta, ma per spingere via il corpo estraneo che si avvicina. E ringhio. Naturalmente, per rispetto delle convenzioni sociali, cerco di controllare questa risposta completamente spontanea contorcendola in quello che spero assomigli a un sorriso. «Ah, allora ci abbracciamo» dico in un disperato tentativo di far trapelare il mio imbarazzo.

Non sono una che abbraccia. In primo luogo ci sono i germi da considerare, ma forse più importante ancora è il significato che sta dietro il gesto. Il contatto fisico è stato a lungo considerato un correlato dei sentimenti di una persona verso un’altra persona. Ora che l’abbraccio sta diventando un modo comune di salutarsi, sta perdendo tutto il suo significato. Per questo, quando si parla di contatto, io seguo la regola di Dirty Dancing: “questo è il mio spazio, quello è il tuo spazio”.

Quando spiego questa mia teoria alla gente, cosa che per ovvie ragioni non accade tanto spesso, normalmente ricevo due tipi di risposte. C’è il cenno comprensivo del capo: «Quindi non ti piacciono le persone» (Sbagliato!) o c’è la domanda, mezza sarcastica mezza preoccupata: «Chi ti ha fatto del male?» (Nessuno! non sono la protagonista di qualche film strappalacrime.).

Il problema, gente, non sono io. È arrivato il momento di fare un passo indietro e chiedersi quando – e perché – è diventata una cosa comune superare tutti i passaggi attraverso cui si arriva a conoscere qualcuno per arrivare subito a un abbraccio. Secondo Amy L. Best, professoressa di Sociologia e presidente del dipartimento di Sociologia e Antropologia alla George Mason University, negli ultimi 10 anni le norme sociali sono lentamente cambiate, e sono scomparsi molti confini. «È meno frequente che le persone debbano obbedire a qualche norma sociale di separazione o distanza. Pensate ai libri sull’etichetta di Emily Post, dove c’erano regole su chi dovesse porgere la mano prima o su chi dovesse essere presentato per primo», dice Best. «Ci sono ancore persone che vivono la loro vita seguendo quelle regole. Ma per noi è diventato molto improbabile vedere una cosa del genere».

Questo cambiamento è avvenuto perché la gerarchia sociale è diventata meno importante. Al lavoro il capo non sta più chiuso nell’ufficio più grande e luminoso, ma ha una scrivania in mezzo agli altri dipendenti. È più probabile che i genitori negozino le regole di casa con i loro figli piuttosto che usino un approccio del tipo «si fa così perché lo dico io». Parliamo dei nostri più cari amici: spesso hanno ormai anche il doppio ruolo di colleghi di lavoro, cosa che rende i confini tra di noi quasi inesistenti. Questi cambiamenti hanno sfocato i confini che spesso dividevano le persone.

E poi, non dimentichiamoci dei rischi per la salute causati da tutto questo pazzo toccarsi. Uno studio pubblicato lo scorso agosto dall’American Journal of Infection Control ha concluso che “il pugno” è il saluto più igienico. Diffonde meno germi del “cinque alto” e delle strette di mano. Sicuramente questi ricercatori britannici avrebbero concluso che l’abbraccio all’americana è il meno igienico dei saluti, se lo avessero incluso nella loro lista.

Non sto cercando di suggerire che avremmo bisogno del decoro che vediamo in “Downton Abbey”, ma un pochino in più di distanza quando ci salutiamo non farebbe del male a nessuno. Contrariamente a quello che ci potrebbero far credere le campagne di “abbracci gratis” o app come Cuddlr, c’è qualcosa di bello nella graduale crescita d’intensità delle dimostrazioni d’affetto: la stretta di mano dei primi incontri può lasciar spazio a un occasionale “cinque alto” di festeggiamento o a un pugno contro pugno. Quando si è sviluppato un po’ di sincero affetto (insieme a un atteggiamento più rilassato nella condivisione dei germi), una relazione potrebbe meritarsi un bacio sulla guancia, all’europea, una volta ogni tanto. Un abbraccio dovrebbe restare territorio esclusivo dei momenti davvero emozionanti: un matrimonio, una promozione al lavoro, la nascita di un figlio. Dire “sono uno che abbraccia” non dovrebbe bastare agli abbracciatori professionisti per avere la licenza di saltare tre gradini fondamentali nello sviluppo di un’amicizia.

È chiaro che non sono l’unica a rifuggire gli abbracci completi e vigorosi. Tutti sono famigliari con quelli che Amy Best chiama “quasi abbracci”: spingere il sedere all’infuori e fare contatto solo con la parte alta del corpo. Forse cingere il partner con un braccio, a metà, non troppo. «Penso che spesso le persone si sentano obbligate ad abbracciarti anche quando preferirebbero non farlo», dice Best. «A volte le persone hanno la sensazione di non stare partecipando pienamente al divertimento e allora offrono un abbraccio solo per questo, tanto per offrirlo».

Lasciatemi ora parlare alle persone che più spesso devo affrontare con la mia idea degli spazi personali.

Caro sconosciuto: ti ho appena incontrato. Un abbraccio non cambierà questo stato di cose e non ci farà diventare immediatamente amici. Piuttosto, renderà le cose ancore più imbarazzanti, perché dopo che ci liberiamo dall’abbraccio dovrò chiederti di nuovo come ti chiami, visto che l’unica cosa che mi passa per la testa quando ci abbracciamo è «SMETTILA DI TOCCARMI». E allora: stringiamoci la mano, guardiamoci negli occhi e impegniamoci a ricordarci i nomi l’uno dell’altra prima di continuare la nostra conversazione.

Ciao, amico di amici, collega o conoscente, so che potrebbe esserci confusione con Facebook, Twitter, Tumblr, Instagram, SnapChat e Yo, ma ecco la questione: non ci conosciamo davvero. Anche se è possibile che condividiamo l’amore per le patatine fritte e per le foto di animali, nella vita vera un “cinque alto” sarò più che sufficiente per celebrare i nostri interessi in comune. Garantito, la cosa potrebbe essere poco chiara quando i nostri amici in comune, che conosco davvero, mi si avvicinano per un abbraccio e ci sono braccia da tutte le parti: ma sappi che quel bel momento di vibrante affetto umano sarà rovinato dalla pausa di imbarazzo che precederà il momento in cui noi due dovremo fare contatto.

Caro amico che vedo molto spesso: sei fantastico. Passiamo tempo insieme ridendo, vivendo nuove avventure e spesso mangiando, ma ricevi un solo abbraccio. Può essere all’inizio o alla fine del tempo che passiamo insieme, scegli tu, ma non più di uno. Se ti rivedo domani è probabile che non ti abbraccerò, perché ci siamo appena visti.

Quindi, a meno che tu non sia mia madre, il mio migliore amico che vive dall’altra parte del mondo o un ragazzo carino con cui sto flirtando, c’è un numero massimo di abbracci. Nulla di che preoccuparsi, sconosciuto, nuovo amico o collega di lavoro: quando la nostra relazione sarà finalmente matura per gli abbracci, prometto che non sarai deluso. Sono davvero bravissima, con gli abbracci.

©2014 –  The Washington Post