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Il librone su J.D. Salinger

Lo sbarco in Normandia del soldato Salinger, un estratto dalla voluminosa e discussa biografia tradotta e pubblicata ora anche in Italia

SERGENTE MAGGIORE DAVID RODERICK: Avanzammo in fretta. Avevamo tutti lo stesso obiettivo: sbarcare e raggiungere la barriera costiera il prima possibile. Eravamo esposti direttamente al fuoco nemico. Ricordo un ragazzo che partì con la prima ondata: scese dalla lancia e iniziò ad annaspare in acqua. Un tipo grande e grosso lo afferrò per il didietro dei pantaloni, lo sollevò e gli disse: «Ehi, tappetto, cerca di mettere i piedi a terra». Prima che il ragazzo potesse ringraziarlo, il suo soccorritore si beccò una pallottola in testa. I proiettili dell’artiglieria ci piovevano addosso, e i cecchini facevano fuori i miei compagni uno dopo l’altro. Ricordo il primo uomo che venne ucciso sotto il mio comando: non fece in tempo ad arrivare sulla spiaggia che un cecchino tedesco lo centrò in mezzo agli occhi. Più in là si sentiva il rumore delle mitragliatrici: un battaglione stava attaccando una fortificazione nemica.

JOHN McMANUS (professore di storia militare americana): Ricordo la foto di un soldato americano ucciso da un cecchino a Utah, subito prima di raggiungere la barriera. Il suo corpo era perfettamente composto, colpito da una singola pallottola alla testa. È rimasta una delle immagini emblematiche di Utah Beach.

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WERNER KLEEMAN: Una volta arrivati sulla spiaggia vedemmo centinaia di bandierine con la scritta ACHTUNG, MINEN!, ma poi si scoprì che le mine erano fasulle. Vedemmo che alcuni soldati erano già stati uccisi. Giacevano in una fossa, di fronte alla barriera costiera.

JOSEPH BALKOSKI (storico della Maryland National Guard): L’intera prima ondata della Quarta divisione, consistente in più di 600 soldati di fanteria disposti su venti lance da sbarco, era approdata molto più a sud rispetto al punto convenuto.
[Il brigadiere generale Theodore Roosevelt Jr] fu uno dei primi a rendersi conto dell’errore. Il suo ordine («È da qui che cominceremo la guerra!») divenne uno degli elementi più emblematici dell’invasione di Utah Beach.

EDWARD G. MILLER: I punti di riferimento che Salinger era stato addestrato a riconoscere per riuscire a orientarsi una volta sbarcato non c’erano. L’unica fortuna fu che in quella zona le difese tedesche erano un po’ più deboli di quelle che lui avrebbe incontrato se la sua unità fosse approdata più a nord, sulla penisola di Cherbourg; le pallottole, però, erano esattamente le stesse. Le esplosioni, l’artiglieria, la sabbia soffocante, le onde, la confusione, la pioggia, il fumo, il mal di mare.
Salinger, come del resto i suoi commilitoni, ebbe un battesimo del fuoco, per il quale non era affatto preparato. Il giorno dello sbarco, per Salinger, sarebbe stato un giorno di puro terrore. La fretta di correre verso la riva, conquistare posizioni, proteggere se stesso, proteggere gli altri soldati. Fuoco, fumo, grida. Nessun addestramento poteva prepararlo a una simile situazione. Fu un’esperienza brutale e improvvisa, scioccante. Rimase marchiata a fuoco nella sua anima, per sempre.

DAVID SHIELDS: L’unico racconto di Salinger che rievochi direttamente la guerra, «The Magic Foxhole» (La trincea magica, n.d.T.), fu scritto poco dopo il D-Day ed è chiaramente basato su quell’esperienza. Non fu mai pubblicato. Con un atteggiamento cinico verso l’idea stessa della guerra, la storia descrive i traumi subiti da due soldati, uno dei quali (Garrity) racconta la sua esperienza in un monologo dal ritmo serrato. Nella scena iniziale, un cappellano che sta cercando i suoi occhiali tra i cadaveri ammassati su una spiaggia della Normandia viene ucciso dal fuoco nemico. Dio non è più soltanto cieco: è morto. Salinger passerà il resto della sua vita a cercare un rimedio per questa cecità, un sostituto per questo Dio ucciso.

J.D. SALINGER, «The Magic Foxhole» (inedito):

Arriviamo venti minuti prima della H-Hour, nel D-Day. Sulla spiaggia non c’era niente se non i ragazzi morti delle Compagnie «A» e «B» e qualche marinaio morto e un cappellano che arrancava qua e là cercando i suoi occhiali nella sabbia. Era l’unica cosa che si muoveva, e le granate da 88 millimetri gli scoppiavano tutt’intorno, e lui stava lì ad arrancare a quattro zampe cercando i suoi occhiali. Lo fecero fuori… ecco com’era la spiaggia quando arrivai io.

EBERHARD ALSEN: Molti passaggi di «The Magic Foxhole» sono autobiografici e descrivono esattamente ciò che Salinger vide. Un resoconto simile è stato fornito anche dal soldato Ray A. Mann, sbarcato a Utah Beach con l’Ottavo reggimento.

SOLDATO SEMPLICE RAY A. MANN: La nostra squadra schizzò fuori dalla lancia e si diresse verso la spiaggia, a piccoli gruppi. [Di colpo,] dopo 15 o 20 metri, iniziarono a piovere le granate. Le prime colpirono un gruppo che stava proprio di fronte a me. Fino a quel momento mi ero sentito come durante le esercitazioni in Florida, o a Slapton Sands. Ma quando vidi i miei commilitoni agonizzanti, quando sentii le loro grida, capii che stavolta si faceva sul serio. Una seconda scarica di granate cadde vicino al mio gruppo, ed evidentemente colpì il nostro sergente maggiore, perché non lo rividi più. Anche il segretario del reggimento fu colpito. […] Finalmente raggiunsi la barriera costiera e le casematte tedesche, e mi fermai per riprendere fiato e cercare di orientarmi. Anche nel breve lasso di tempo che intercorse tra il mio sbarco e l’arrivo alla barriera, era impressionante vedere quanti soldati continuavano ad arrivare, e il numero di feriti sparpagliati sulla spiaggia. Qua e là vedevo un cappellano che pregava per i morti.

ALEX KERSHAW: Solo la guerra può insegnarti gli effetti della paura sul corpo e sulla mente di un uomo. Salinger desiderava una sola cosa: restare vivo.

JOHN McMANUS: Quando li ho intervistati, i veterani del D-Day mi hanno detto che all’inizio pensavano: «Non vedo l’ora di sparare a qualcuno», e poi, un istante dopo: «Non voglio sparare a nessuno».

SERGENTE MAGGIORE DAVID RODERICK: La nostra artiglieria in uscita emetteva un sibilo. Di sicuro Salinger deve avere imparato molto presto la differenza tra posta in arrivo [l’artiglieria tedesca] e posta in uscita [l’artiglieria americana]. La nostra artiglieria in uscita emetteva un sibilo. La posta in arrivo… be’, tendi i muscoli e ti metti al riparo. Di certo Salinger avrà imparato in fretta a distinguere i diversi suoni, soprattutto quello dell’88 millimetri tedesco, il miglior pezzo d’artiglieria della guerra; sparava come un fucile. Non passava molto tempo tra quando lo sentivi partire e quando arrivava. Boom, e te lo trovavi subito addosso. Un’ottima arma per i tedeschi. Loro avevano anche quelli che chiamavamo «Screaming Meemies», dei razzi che prima di ricadere al suolo salivano molto in alto. Sentivi quel fischio terribile che ti gelava il sangue nelle vene. Non avevano alcun bossolo, e quindi in aria non ruotavano come le granate; di conseguenza il suono era diverso da quello che fa l’artiglieria normale – più inquietante. Il secondo giorno, gli Screaming Meemies fecero fuori otto dei miei uomini.

ALEX KERSHAW: Salinger sapeva quali erano le armi che rischiavano di ucciderlo: shrapnel, mitragliatrici, granate d’artiglieria. E il modo migliore per restare vivo era tenere la testa bassa, possibilmente sotto il livello del suolo; se non sottoterra, almeno il più vicino possibile al terreno.

JOHN CLARK (soldato dell’Ottavo reggimento aviazione): Ho visto cose terribili: pezzi di cadaveri sparsi sulla spiaggia, ragazzi fatti a brandelli. Ma la cosa che mi ha turbato di più è stata un carro armato con una specie di pala che liberava la strada sospingendo i cadaveri in una fossa scavata a lato, in modo che non venissero schiacciati dai camion e dagli altri carri che seguivano.

EDWARD G. MILLER: Dopo lo sbarco, il primo obiettivo per Salinger e il resto del suo reggimento fu quello di organizzare e mettere al sicuro la testa di ponte sulla spiaggia. I combattimenti più sanguinosi, però, non avvennero sulla costa; quella fu conquistata in poche ore. Il vero massacro, l’inferno del combattimento di fanteria, iniziò non appena la spiaggia fu liberata.

ALEX KERSHAW: Utah Beach non fu il teatro delle battaglie più sanguinose del D-Day. a Utah, la Quarta divisione della fanteria subì circa duecento perdite, tutti uomini che Salinger conosceva e con i quali si era addestrato. Il problema di Utah Beach non furono le vittime del D-Day, ma quelle dei giorni immediatamente successivi. Dato che a Utah la battaglia non era stata particolarmente sanguinosa, gli uomini della Quarta divisione – tra cui di certo Salinger e i suoi compagni – iniziarono a guardare al futuro con un falso senso di sicurezza.

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