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  • Mercoledì 21 maggio 2014

Cinque condanne per l’omicidio di Anna Politkovskaja

Dopo otto anni e tre processi, cinque uomini sono stati riconosciuti organizzatori ed esecutori dell'omicidio della giornalista russa: mancano ancora i mandanti

Russian human rights activists attend a rally in honour of slain Russian journalist Anna Politkovskaya in Moscow on October 7, 2010. The Russian investigative journalist, known for her critical coverage of the war in Chechnya, was found murdered 07 October 2006 in the hallway of the building where she lived in Moscow. AFP PHOTO / NATALIA KOLESNIKOVA (Photo credit should read NATALIA KOLESNIKOVA/AFP/Getty Images)
Russian human rights activists attend a rally in honour of slain Russian journalist Anna Politkovskaya in Moscow on October 7, 2010. The Russian investigative journalist, known for her critical coverage of the war in Chechnya, was found murdered 07 October 2006 in the hallway of the building where she lived in Moscow. AFP PHOTO / NATALIA KOLESNIKOVA (Photo credit should read NATALIA KOLESNIKOVA/AFP/Getty Images)

Aggiornamento del 9 giugno 2014: un tribunale di Mosca ha stabilito oggi le pene per i cinque uomini già giudicati colpevoli dell’omicidio di Anna Politkovskaja. Rustam Makhmudov, colui che ha sparato, e suo zio Lom-Ali Gaitukayev, l’organizzatore, sono stati condannati all’ergastolo. Ibragim e Dzhabrail Makhmudov sono stati condannati rispettivamente a dodici e quattordici anni di carcere, mentre l’ex-dirigente della polizia di Mosca, Serghiei Khadzhikurbanov, che ha partecipato alla preparazione dell’omicidio, ha ricevuto una pena pari a vent’anni.

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Martedì 20 maggio, dopo otto anni e tre processi, la giuria popolare del tribunale di Mosca ha dichiarato cinque uomini colpevoli dell’omicidio di Anna Politkovskaja, giornalista e attivista per i diritti umani russa uccisa con quattro colpi di pistola nell’ascensore del condominio dove abitava, nel centro di Mosca, nel pomeriggio del 7 ottobre 2006. Si tratta di tre fratelli ceceni: Rustam, Ibragim e Dzhabrail Makhmudov, del loro zio Lom-Ali Gaitukayev e di un ex-dirigente della polizia di Mosca, Serghiei Khadzhikurbanov, tutti accusati di aver organizzato e eseguito l’omicidio. I loro avvocati hanno dichiarato che presenteranno ricorso. Dopo la decisione della giuria il giudice dovrà emettere la sentenza e stabilire l’entità delle pene.

Nel 2009 tre dei condannati (Ibragim e Dzhabrail Makhmudov insieme a Khadzhikurbanov) erano stati assolti per insufficienza di prove: molti osservatori avevano avuto l’impressione che la polizia avesse “costruito” le prove per trovare in fretta un colpevole. Rustam Makhmudov era ancora latitante e Gaitukayev era stato ascoltato solo come testimone. Nell’ottobre del 2010 le indagini vennero riaperte, anche grazie alle pressioni del Comitato Internazionale per la difesa dei Giornalisti, che oltre al caso Politkovskaya si batte da anni perché emergano tutte le verità sui giornalisti uccisi in Russia dal 2000 a oggi. Le nuove indagini portarono agli arresti del sospetto omicida (Rustam Makhmudov) e di un ex colonnello della polizia, accusato di essere l’organizzatore del piano. Pochi mesi dopo la sua apertura il secondo processo era stato sospeso a seguito di un ricorso presentato dalla famiglia di Anna Politkovskaja, ed era stato riaperto nel luglio del 2013.

Le condanne di ieri sono state accolte positivamente dalla famiglia della giornalista, ma è anche stato detto, tramite i loro avvocati, che «i cinque uomini giudicati colpevoli sono solo alcune delle persone che dovrebbero essere portate davanti alla giustizia» e che «il caso sarà realmente risolto solo quando sarà fatto il nome del vero mandante dell’omicidio». Diversi analisti critici del Cremlino sostengono che questo non avverrà molto facilmente, dato che l’inchiesta potrebbe potrebbe portare a qualcuno troppo vicino al governo. Nel frattempo, in un processo secondario, l’ex colonnello Dmitry Pavlyuchenkov era stato condannato a undici anni di carcere per aver partecipato all’organizzazione dell’omicidio e fornito l’arma.

L’omicidio di Anna Politkovskaja, che al momento della sua morte aveva fama internazionale per la sua attività di denuncia dei crimini del governo russo, ebbe grande risalto in tutto il mondo. Il libro più celebre della giornalista, La Russia di Putin pubblicato in Italia da Adelphi, era un’ampia inchiesta sul governo di Vladimir Putin, sui problemi sociali ed economici della Russia e sulla gestione del dissenso da parte dei servizi segreti con l’appoggio del governo. Anna Mazepa era nata a New York nel 1958, ma era cresciuta a Mosca, dove si era laureata in giornalismo nel 1980 e aveva conosciuto e poi sposato il compagno di studi Alexander Politkovskij, cambiando il suo cognome in Politkovskaja. Dopo qualche anno al grande quotidiano Izvestia, che durante l’Unione Sovietica era uno degli organi ufficiali di stampa insieme alla Pravda, la giornalista passò alla piccola stampa indipendente, prima con alla Obshchaja Gazeta e poi, dal 1999, al bisettimanale d’inchiesta Novaya Gazeta, molto critico nei confronti della classe politica della Russia post-sovietica.

Il giorno in cui fu uccisa, l’editore della Novaja Gazeta, Dmitry Muratov, affermò che Politkovskaya stava per pubblicare un nuovo articolo sulle torture commesse dalle forze di sicurezza cecene legate al potente primo ministro Ramsan Kadyrov, fedele al Cremlino. L’articolo fu pubblicato dai suoi colleghi due giorni dopo il suo omicidio. Vladimir Putin dichiarò che la morte della giornalista era «un crimine inaccettabile che non poteva restare impunito», ma descrisse anche come «insignificante» la capacità di Anna Politkovskaya di influire sulla politica russa.