La vita con DNA artificiale

Un gruppo di ricercatori ha modificato un batterio per fargli elaborare pezzi sintetici di codice genetico: ha funzionato e ci sono enormi implicazioni e possibilità

di Emanuele Menietti – @emenietti

Da quando esiste per come la conosciamo, la vita si è basata su quattro pilastri fondamentali: adenina (A), guanina (G), citosina (C) e timina (T), le quattro basi che combinandosi insieme costituiscono il DNA, il codice necessario per lo sviluppo e il funzionamento della maggior parte degli organismi viventi (c’è una quinta base che si chiama uracile e che sostituisce la timina nell’RNA, che serve per replicare e trascrivere il DNA). Un gruppo di ricercatori dello Scripps Research Institute di La Jolla, in California (Stati Uniti), ha annunciato di essere riuscito ad arricchire l’alfabeto del DNA, aggiungendo due nuove basi sintetiche, che hanno dimostrato di funzionare in alcuni esperimenti di laboratorio sui batteri. La scoperta potrebbe portare in futuro a nuove terapie genetiche per trattare particolari malattie.

La ricerca, cui ha collaborato Foyd Romesberg, è stata pubblicata sulla rivista scientifica Nature, raccogliendo molto interesse all’interno della comunità scientifica. “Abbiamo ottenuto una cellula vivente che contiene al suo interno più informazioni genetiche di quelle naturali”, ha spiegato il ricercatore.

Come hanno imparato anche i più distratti a scuola, il DNA ha la forma di una doppia elica e i suoi “pioli” sono costituiti da coppie di basi: la A si lega sempre alla T, mentre la C sempre alla G. A seconda di come si alternano lungo la doppia elica, le basi danno istruzioni diverse agli organuli della cellula per produrre diversi tipi di aminoacidi. A loro volta, gli aminoacidi si combinano in catene e formano le proteine. La loro posizione nelle catene è determinata dal DNA e quelli che compaiono nelle proteine di tutti gli organismi viventi sono solo 20 (23, secondo alcuni nuovi studi ancora molto dibattuti).

Studi ed esperimenti per creare basi del DNA alternative erano già stati condotti in passato e avevano portato alla realizzazione di alcune varianti, che però non facevano molto una volta immesse nel codice genetico per farle moltiplicare. A partire dal 2008, Romesberg avviò una serie di studi ed esperimenti sulle basi del DNA, identificando 60 possibili nuovi candidati, utili per realizzare 3600 diverse combinazioni. Tra tutte e 60, due basi chiamate d5SICS e dNaM si rivelarono molto promettenti, perché per come erano fatte avevano un’alta compatibilità con gli enzimi che si occupano di copiare e tradurre il codice del DNA.

Trovate le due nuove possibili basi, i ricercatori hanno dovuto affrontare il compito non semplice di fare in modo che queste fossero naturalmente accettate dalle cellule, durante i loro meccanismi di moltiplicazione: l’obiettivo era fare in modo che d5SICS e dNaM non venissero scartate durante il processo. Per ottenere questo risultato i ricercatori hanno modificato geneticamente un batterio di Escherichia coli (quello che vive nell’intestino di un sacco di mammiferi, compreso il nostro, ed è fondamentale per i processi digestivi) in modo da fargli accettare le due nuove basi.

Il sistema era in parte basato su una sorta di serbatoio esterno di DNA, ottenuto sfruttando una diatomea, un’alga unicellulare. Quando la fornitura di basi alternative si è esaurita, E. coli ha progressivamente ripristinato le classiche basi, scartando d5SICS e dNaM. L’obiettivo di diversi gruppi di ricerca è ora trovare il modo di indurre le cellule a produrre autonomamente le nuove basi, senza avere bisogno del serbatoio esterno.

Romesberg e colleghi vogliono trovare il modo di usare il DNA artificiale per indurre le cellule a produrre nuovi tipi di aminoacidi, diversi dai 20 già presenti nelle proteine degli esseri viventi. Ogni aminoacido è codificato da catene di tre lettere di DNA, aggiungendone due nuove si potrebbe aumentare notevolmente il numero di aminoacidi diversi a disposizione. Romesberg spiega l’importanza della cosa con un’efficace analogia: “Se leggi un libro scritto con quattro lettere, non potrai leggere molte storie interessanti. Ma se ti vengono date più lettere, ti puoi inventare nuove parole, puoi trovare nuovi modi di usarle e puoi probabilmente raccontare storie più interessanti”.

La ricerca in questo campo richiederà ancora anni prima di arrivare a qualche applicazione concreta, ma le conseguenze per molti ambiti della medicina potrebbero essere enormi. Si potrebbe per esempio creare un meccanismo per fare in modo che particolari aminoacidi, di nuova formazione, siano tossici solamente nei confronti delle cellule del cancro. In laboratorio, si potrebbero usare aminoacidi fosforescenti per tracciare meglio particolari reazioni al microscopio.

L’idea è creare cellule ibride, in grado di gestire ed elaborare in parallelo due diversi tipi di codice genetico. Quello naturale servirebbe alla cellula per mantenersi vitale, mentre quello sintetico per sfruttare le capacità della cellula di costruire nuovi aminoacidi. Le cellule diventerebbero una sorta di fabbriche in miniatura, grazie alle quali si potrebbero produrre principi attivi in poco tempo e a basso costo, da utilizzare in numerose terapie. Per riuscirci, i ricercatori dovranno però trovare il modo di tenere sotto controllo il meccanismo e di non compromettere la stabilità della cellula.