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  • Sabato 3 maggio 2014

«Questa è la mia prigione»

La storia pazzesca – da Bob Dylan a The Wire – di un'antica gang di Baltimora e di come il suo capo in carcere costruì un sistema di contrabbando ed ebbe 5 figli dalle guardie

di Luca Misculin – @LMisculin

BALTIMORE - SEPTEMBER 4: during the IZOD IndyCar Series Baltimore Grand Prix on September 4, 2011 on the streets of Baltimore, Maryland. (Photo by Robert Laberge/Getty Images) *** Local Caption *** Scott Dixon
BALTIMORE - SEPTEMBER 4: during the IZOD IndyCar Series Baltimore Grand Prix on September 4, 2011 on the streets of Baltimore, Maryland. (Photo by Robert Laberge/Getty Images) *** Local Caption *** Scott Dixon

«Questa è la mia prigione. Sul serio. Sono io che prendo l’ultima decisione su ogni cosa, in questo posto. Tutti si rivolgono a me. Prima che un qualsiasi stronzo prenda a pugni in faccia un altro negro, indovina cosa fanno: vengono da me. Sono io che dico se mi va bene o se devono trattenersi. Prima che un qualsiasi stronzo ficchi un coltello dentro qualcuno, viene da me. Sono arrivato a un punto in cui non c’è nessuno più in alto di me. […] Sono io la legge. […] Quindi se io dico a qualche stronzo che deve fare una cosa – picchiare un poliziotto, fare una cosa, uccidere un altro stronzo, farne un’altra – questa viene fatta. Punto.»

Quando dice queste cose per telefono a un suo amico, Tavon White ha 36 anni ed è in carcere, da cui entra ed esce da quando aveva 19 anni. Nel 2009, in seguito a una nuova accusa di tentato omicidio, fu trasferito alla Baltimore City Detention Center (BCDC)una prigione nel centro di Baltimora, la capitale del Maryland, per detenuti in attesa di processo oppure condannati a scontare pochi mesi (negli Stati Uniti questi posti vengono definiti jail, e sono differenti dalle prison, dove vivono i detenuti che devono scontare condanne piuttosto lunghe). Dal 2000 White fa parte della Black Guerrilla Family, un’organizzazione criminale composta perlopiù da detenuti neri e fondata nel 1966.

Fra il 2010 e il 2011 White diventò il capo della Black Guerrilla Family nella prigione di Baltimora: fino al 2013 arrivò a controllare gran parte del carcere attraverso la gestione di una rete di contrabbando. Aveva creato un sistema per far entrare all’interno del carcere qualsiasi cosa – anche tv e Playstation, per fare un esempio – ma soprattutto cellulari e droga, che rivendeva a prezzo maggiorato ai detenuti. Fin qui niente che non si sia visto in tv, ma la vicenda ha un sacco di storie laterali notevoli e piuttosto insolite, raccontate in un lungo articolo del giornalista americano Jeffrey Toobin sul New Yorker. Una su tutte: la maggior parte della merce di contrabbando venduta in carcere dalla Black Guerrilla Family era trasportata dalle guardie carcerarie, principalmente donne. Quattro di queste negli anni hanno avuto una relazione con White, che da loro ha avuto complessivamente cinque figli (l’ultima di loro, la 27enne Tiffany Linder, lo ha accompagnato l’anno scorso in alcuni suoi processi). Una di queste donne ha il nome “Tavon” tatuato sul polso; un’altra sul collo. Durante la detenzione White si comprò un’auto BMW e una Mercedes.

Inoltre, la Black Guerrilla Family era stata creata in un momento piuttosto particolare, nel pieno dei movimenti per l’emancipazione degli afroamericani: il suo fondatore, George Jackson, fu un noto intellettuale e attivista di estrema sinistra che si occupava dei diritti dei neri, ancora oggi piuttosto rispettato. Alcune sue lettere furono messe insieme in un libro di buon successo intitolato Soledad Brother; Bob Dylan nel 1971 gli dedicò una canzone; nel 2007 è uscito un film ispirato alla sua vita, Black August.

Dall’inizio
George Jackson era nato a Chicago il 23 settembre 1941. A vent’anni, nel 1961, a causa di una condanna per rapina a mano armata passò dieci anni (di cui sette in isolamento) nella prigione federale Soledad, nel nulla totale a sud di San Jose. Cominciò a leggere molti libri, principalmente saggi di economia e politica: raccontava di essere stato «redento» da Marx, Lenin, Trotsky, Engels e Mao. Entrò nelle Black Panthers, un’associazione politica per l’emancipazione dei neri divenuta celebre nel 1968 dopo la premiazione di due suoi membri alle Olimpiadi: Tommy Smith e John Carlos, quelli della famosissima foto sul podio col pugno alzato. Scriveva anche parecchio: la suo avvocata, Fay Stender, fu incuriosita dai suoi scritti e nel 1970 riuscì a far pubblicare alcune sue lettere e una sua breve autobiografia con una prefazione dello scrittore francese Jean Genet. Il libro ebbe un buon successo.

Un articolo della New York Review Books dell’8 ottobre 1970 descrive Jackson come una sorta di leader dei prigionieri della Soledad, e scrive che la pena gli fu prolungata più volte senza alcun motivo poiché fu definito dalle autorità del carcere «un pericoloso capetto dei prigionieri che deve essere isolato a causa del suo impatto sulla popolazione carceraria». Huey P. Newton, il cofondatore delle Black Panthers, lo definì «una leggenda delle prigioni californiane».

In Soledad Brother, un libro piuttosto complesso e sofferto, Jackson se la prende spesso con il capitalismo in quanto forma di schiavitù e invoca una rivoluzione che porti all’autodeterminazione della popolazione nera; in un passaggio, in particolare, scrive: «sono un estremista. Sento il bisogno di misure estreme, per risolvere problemi di estrema gravità. Quando si tratta di orgoglio e libertà, non utilizzo né consiglio mezze misure. Per me la vita senza il controllo sui fattori determinanti non è degna dello sforzo di respirare. Senza auto-determinazione io mi sento estremamente penalizzato». In prigione Jackson fondò la Black Guerrilla Family, una gang interna alla prigione concepita come una sorta di «blocco armato» della rivoluzione che Jackson invocava in Soledad Brother.

Jackson morì il 21 agosto 1971 nella prigione di San Quentin, in California. Quella mattina, aveva tentato di produrre una specie di rivolta all’interno del carcere prendendo come ostaggio alcuni secondini. Secondo la leggenda fu ucciso con un colpo di pistola alla testa mentre tentava di fuggire dalla prigione. Poco più di due mesi dopo, Bob Dylan pubblicò George Jackson, una specie di disco singolo che conteneva due versioni della stessa canzone dedicata alla morte di Jackson.

Mi sono alzato questa mattina,
c’erano delle lacrime nel mio letto.
Hanno ucciso un uomo a cui volevo un sacco di bene
Gli hanno sparato in testa
Dio, dio
Hanno fatto fuori George Jackson
Dio, dio


(una versione di Joan Baez della canzone “George Jackson” di Bob Dylan)

Uno degli aspetti meno conosciuti del pensiero di Jackson – e ricordato nell’articolo di Toobin sul New Yorker – è il notevole sessismo contenuto in diversi passaggi di Soledad Brother. In una lettera del 25 febbraio del 1965, per esempio, Jackson scrive che «la teoria della “emancipazione della donna” prodotta dall’uomo bianco è una falsità».

Nelle società dei nostri padri e nel mondo civilizzato di oggi, le donne sentono che è loro dovere essere sempre morbide e obbedienti ai loro uomini. La vita è appositamente semplice per sua natura, e ne sono felici. Nelle società dei neri, quando le donne sono più degli uomini, questi ne prendono tante quante se ne possono permettere, e hanno cura di tutte loro allo stesso modo. Nella società dei bianchi, per qualche insondabile ragione, gli uomini possono prendersi una sola donna… Le altre sono destinate a diventare prostitute, suore o lesbiche. Nelle società civilizzate, le donne fanno i lavori leggeri, portano in grembo i bambini, e danno un senso all’esistenza del maschio. Alle donne piace essere dominate, essere strette forte, e hanno bisogno di qualcuno che se ne prenda cura per via della loro debolezza. È loro costume obbedire e sostenere noi maschi, né devono azzardarsi a pensare.

La Black Guerrilla Family sopravvisse a Jackson, e anzi negli anni successivi si espanse in altri stati: col tempo, secondo Toobin, portò avanti le idee di Jackson in quanto a posizioni politiche radicali, accettazione della criminalità e diffusa misoginia. Nel 1979, il membro della BGF Edward Glenn Brooks si introdusse in casa di Fay Stender – l’ex avvocatessa di Jackson – e la costrinse a scrivere un messaggio.

Io, Fay Stender, ammetto di aver tradito George Jackson e il movimento della prigione quando più avevano bisogno di me.

Dopo averle dettato il messaggio, Brooks sparò a Stender sei colpi di pistola alla schiena, paralizzandola dalla vita in giù. Stender si suicidò nel 1980, dopo aver testimoniato in un processo contro Brooks. Nel 1985, il 25enne spacciatore e membro della BGF Tyrone Robinson sparò e uccise Huey P. Newton, il cofondatore delle Black Panthers, per una vicenda legata alla vendita di una piccola quantità di crack.

Di recente
Nel luglio del 2013, la giornalista del Washington Post Ann Morimow descriveva la Black Guerrilla Family come una specie di “normale” organizzazione criminale, sebbene regolamentata da norme piuttosto insolite al proprio interno. Racconta Morimow che «diventare un membro della BGF richiede imparare un codice di comportamento e passare degli esami sulla storia della gang e sulle sue regole. Nelle celle di alcuni membri sono stati ritrovati dei “test di valutazione” [per nuovi membri]». Morimow scrive che la gang ha assunto negli anni un’organizzazione «paramilitare» che include «al livello più basso i “compagni”, mentre a salire luogotenenti e generali che si occupano di specifici territori».

A Baltimora, all’inizio degli anni Duemila, diventò capo della BGF un certo Eric Brown, finito in carcere nel Baltimore City Convention Center. Fra il 2007 e il 2008, recuperando molto del pensiero di Jackson, Brown scrisse una sorta di nuovo manifesto della BGF, intitolato The Black Book, con l’obiettivo di «rendere le persone partecipi della visione del compagno George Jackson e del fardello per cui visse e morì». The Black Book, come già Soledad Brother, invita gli afroamericani all’auto-emancipazione e li avverte della necessità di «imparare ad amare se stessi e la propria gente, e provare a essere un Uomo nero piuttosto che un pezzo grosso».

Il libro contiene anche una condanna dell’uso della droga e individua i problemi della comunità nera nella «povertà, ignoranza e oppressione». Brown riuscì in qualche modo a pubblicare il Black Book e a distribuirlo ad alcuni detenuti delle prigioni del Maryland. Sul retro del libro, come mostra una foto pubblicata dal Washington Post, sono state pubblicate alcune brevi recensioni del testo scritte da professori locali: in una di queste Leslie P. Blyther, professoressa di diritto penale del community college di Anne Arundel di Arnold, in Maryland, scrive: «Eric Brown è un uomo straordinario. Merita il nostro rispetto, e non perché si è sollevato dalle proprie difficoltà, ma perché ha sollevato altri dalle loro difficoltà. Stare ad ascoltare quello che ha da dire ti cambia la vita!».

Anche nel Black Book, come in Soledad Brother, sono contenuti vari riferimenti misogini riguardo la Donna Nera, la quale è tenuta «per natura» a «servire l’Uomo Nero, a consolarlo, a cucinare per lui e a nutrire i suoi figli». Spiega Brown che nel caso una donna si rifiuti di seguire questi principi «l’Uomo Nuovo deve seguire questi passi: prima riprenderla verbalmente, poi rifiutarsi di andare a letto con lei, quindi picchiarla leggermente».

Nel 2010 Eric Brown è stato condannato a 12 anni assieme ad altri tredici membri della BGF per un sistema di contrabbando che comprendeva diverse prigioni del Maryland e i cui metodi comprendevano estorsioni, minacce, rapine a mano armata, riciclaggio di denaro, tangenti e traffico di droga. Attualmente sta scontando la propria condanna in una prigione della Virginia. Dopo la condanna di Eric Brown, il capo della BFG nel Baltimore City Convention Center è diventato Tavon White. E qui torniamo da dove siamo partiti.

The Bulldog
Tavon White, soprannominato “The Bulldog”, diventò il nuovo capo della BGF dopo la cattura di Brown. Di lui non si sa molto: è noto che ha un diploma di scuola media, che era in attesa di un processo per omicidio e che grazie alla BGF gestiva il contrabbando di droga e altri oggetti dentro al carcere (e che teneva per sé la maggior parte dei guadagni). In una telefonata intercettata, raccontava al suo “vice” di aver guadagnato il mese prima circa 15mila e ottocento dollari, spiegando che «non è male per un mese intero».

La BGF si occupava materialmente di fare entrare la droga e il resto della merce all’interno del carcere, di cui poi stabiliva il prezzo: i detenuti pagavano i vari oggetti ricaricando tramite cellulare alcuni account MoneyPak, delle specie di carte prepagate utilizzate poi dai capi della BGF. Un cellulare poteva costare trecento dollari, mentre una sigaretta circa un dollaro ciascuna. Secondo le indagini, la BGF comprava per esempio partite di marijuana da 350 dollari per poi rivenderle in 28 porzioni da cinquanta dollari ciascuna, ottenendone 1400 dollari.

Alcuni detenuti non appartenenti alla BGF raccontarono inoltre di varie agevolazioni di cui godevano i membri della gang: un ex detenuto spiega che a loro era concesso stare fuori dalle celle per più tempo rispetto ai detenuti “normali” e che erano riusciti a controllare la gestione dei turni di lavoro, di solito assegnati ai detenuti più meritevoli. Un uomo che nel 2009 passò nove mesi nella Baltimore City Detention Center ha raccontato al New Yorker che una volta vide alcuni detenuti giocare alla PlayStation, e pensò di chiedergli se potevano procurargli un cellulare. Lo fecero, per trecento dollari: ma poco tempo dopo glielo rubarono mentre stava dormendo (lo aveva nascosto nella sua stanza). L’uomo disse di essere pronto a lottare per riavere il proprio cellulare, ma alcuni membri della gang lo avvertirono che la BGF «non giocava secondo le regole», e che prendere di mira uno di loro significava «affrontare tutti». Il sistema giudiziario del Maryland è conosciuto per essere molto lento: prima che un detenuto possa andare a processo o essere trasferito possono passare mesi o anni, e in questo modo la BGF riusciva ogni volta a riorganizzarsi e a mantenere il controllo del carcere.

Ma la BGF è riuscita a mantenere il controllo del Baltimore City Convention Center per molti anni grazie in gran parte alla grande influenza che riusciva a esercitare su alcune donne che lavoravano come guardie carcerarie (solo il 25 per cento dei secondini erano uomini): sul New Yorker, Toobin fa capire che la condizione che si era venuta a creare all’intero del Baltimore City Convention Center discendeva direttamente dal pensiero misogino di Jackson e Brown.

Le guardie del Baltimore City Convention Center riuscivano a fare da corrieri grazie ai controlli molto blandi alle quali erano sottoposte prima di entrare in carcere: una nota della polizia a riguardo spiegava che le donne nascondevano la merce «nella loro biancheria intima, nei capelli, all’interno del loro corpo e in altri posti ancora». Un detenuto contattato dal New Yorker ricorda che una guardia «era solita portare cibo di McDonald’s al suo uomo». Un altro ricorda di avere assistito a una scena surreale: un detenuto si rivolse a un secondino donna mentre parlava a un altro uomo chiedendole «con chi cazzo stesse parlando». Secondo alcuni documenti ritrovati in un’altra prigione del Maryland, le nuove reclute della BGF, in particolare, erano istruite a prendere di mira donne dalle caratteristiche precise: cioè dall’autostima molto bassa, dall’evidente insicurezza e da un certo tipo di aspetto fisico.

Brenda Smith, una professoressa americana dell’American University Washington College of Law, ha detto al New Yorker che in alcune zone «le donne sono le uniche a passare le valutazioni per un lavoro in prigione. Devi avere un diploma di scuola superiore. Devi avere la fedina penale a posto. Devi passare un test antidroga». Smith sostiene che questo sia il caso del Baltimore City Convention Center: «gli uomini che vivono accanto alla prigione di Baltimora hanno meno possibilità di passare questo tipo di valutazioni. È logico che questi lavori vadano alle donne. E molte donne che lavorano come guardie là dentro vivono nello stesso quartiere dei detenuti, e li conoscono o li conoscevano da piccoli».

Secondo la testimonianza di un detenuto, fra il 60 e il 75 per cento delle guardie donne era coinvolta «in attività di contrabbando e/o aveva relazioni sessuali con i detenuti». Il sette per cento dei detenuti, è stato stimato, ha avuto contatti sessuali con le guardie carcerarie: la media nazionale dei carceri statunitensi è sotto il due per cento. Secondo un recente articolo pubblicato da Brenda Smith, inoltre, «nelle vicende di donne coinvolte in relazioni sessuali con uomini in carcere, tutte menzionano i benefici che questo tipo di relazione può comportare, rispetto a un rapporto con un uomo fuori dal carcere. Raccontano di sentirsi protette, in un ambiente di lavoro considerato ostile, rispetto alle minacce degli altri detenuti e degli altri membri dello staff. Spiegano che i detenuti mostrano grande disponibilità fisica ed emotiva. Ritengono inoltre di mantenere un certo controllo sulla relazione».

Poi
Nelle prime ore del 4 marzo 2006 un uomo di nome Carl Lackl prese la macchina e guidò fino a est di Baltimora per acquistare crack ed eroina assieme a una sua amica. Durante il tragitto a un certo punto scese dalla macchina per cercare un bagno: vide un uomo – si chiamava Patrick Byers, si scoprì in seguito – sparare a un’altra persona, gettare via il proprio fucile e scappare. Raccontò quello che aveva visto alla polizia, che grazie alla sua descrizione dell’uomo riuscì ad arrestarlo. Byers, in attesa del processo, finì al Baltimore City Convention Center.

Mesi dopo Byers scoprì che era stato Lackl a fornire la testimonianza che aveva portato al suo arresto: usando un telefono di contrabbando comprato dalla BGF, mise quindi una sorta di “taglia” da 2500 dollari su Lackl, cosa che indusse un 15enne di Baltimora a presentarsi a casa di Lackl e a ucciderlo con tre colpi di pistola. Dopo che i dettagli del caso Lackl divennero pubblici, il governo del Maryland – per i fan di The Wire: come se tutto questo non bastasse, il governatore Patrick O’Malley è il politico a cui si ispirarono gli sceneggiatori per il personaggio di Tommy Carcetti – decise di intervenire e cambiare il direttore del Baltimore City Convention Center. Nel 2010 fu nominato un ex poliziotto di nome Wendell France, il quale durante i primi mesi di lavoro spiegò che all’interno del carcere «non stava funzionando nulla». Il procuratore generale del Maryland, Rod Rosenstein, nel 2011 decise di aprire un’inchiesta sulle attività della BGF nel Baltimore City Convention Center. Fra le altre cose, decise di mettere sotto sorveglianza il telefono di Tavon White.

Adesso
Il caso divenne pubblico nell’aprile del 2013. Tavon White fu accusato di contrabbando e traffico di droga assieme ad altri 12 membri della Black Guerrilla Family e a 13 secondini donne. Nell’agosto del 2013 si è dichiarato colpevole riguardo i capi di accusa forniti dalla procura del Maryland. Attualmente è detenuto in una prigione del Maryland e non è ancora stata definita la data del processo (rischia di ricevere un’altra pena di vent’anni di carcere). Il Baltimore City Convention Center ha avviato alcune riforme per limitare che la BGF torni a gestire un sistema di contrabbando: sono stati migliorati i criteri per le nuove assunzioni dei secondini e sono state introdotte norme per regolare rigidamente l’uso dei telefoni cellulari – si parla anche di schermare completamente la struttura – e sono state installate nuove telecamere di sicurezza. Il numero di guardie carcerarie donne è sceso dal 75 per cento al 61 per cento.

nella foto, una veduta di Baltimora: Robert Laberge/Getty Images