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  • Lunedì 31 marzo 2014

Il Portogallo è fuori dalla crisi?

A tre anni dall'inizio degli aiuti – e dell'austerità – è il paese che cresce di più nella zona euro, e il tasso di disoccupazione sta scendendo: resta da capire cosa fare adesso

A customer passes by under a Portuguese flag at the Saldanha traditional market in downtown Lisbon on January 15, 2014. AFP PHOTO/ PATRICIA DE MELO MOREIRA (Photo credit should read PATRICIA DE MELO MOREIRA/AFP/Getty Images)
A customer passes by under a Portuguese flag at the Saldanha traditional market in downtown Lisbon on January 15, 2014. AFP PHOTO/ PATRICIA DE MELO MOREIRA (Photo credit should read PATRICIA DE MELO MOREIRA/AFP/Getty Images)

In Portogallo, uno dei paesi europei che negli scorsi anni ha attraversato una grave e profonda recessione economica, le cose da qualche tempo migliorano: il Wall Street Journal scrive che è stato “un buon allievo” tra i paesi dell’eurozona costretti a dure riforme dalle istituzioni internazionali. Dagli ultimi dati economici disponibili risultano infatti una diminuzione della disoccupazione, un alto tasso di crescita e buone previsioni per il futuro. Questo miglioramento non poteva arrivare in un momento migliore per il governo del primo ministro Pedro Passos Coelho, a capo di una coalizione di centrodestra, che ha affrontato questo periodo con molte difficoltà, manovre molto restrittive, tagli e imposizioni fiscali che hanno causato anche grandi proteste e mobilitazioni di piazza in tutto il paese.

A metà del 2014 si concluderà il piano di aiuti triennale stabilito nel 2011 – quando la situazione era molto critica e il paese era vicino alla bancarotta – tra il Portogallo, l’Unione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale, e il paese dovrà tornare a finanziarsi sui mercati. Il programma per far fronte alla crisi prevedeva, a seguito di un risanamento progressivo del deficit, aiuti finanziari per 78 miliardi di euro. Se la preoccupazione iniziale era che allo scadere del programma il Portogallo avrebbe avuto bisogno di un secondo piano di aiuti, come accaduto alla Grecia, ora si discute invece di quale sia il modo migliore per uscirne (ma ci arriviamo).

I dati
Nell’ultimo trimestre del 2013 l’economia del Portogallo è cresciuta dello 0,5 per cento rispetto ai tre mesi precedenti e dell’1,6 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012, il dato più alto della zona euro. Nel secondo trimestre del 2013, il Prodotto Interno Lordo (PIL) era cresciuto dell’1,1 per cento, rispetto al meno 0,4 per cento del trimestre precedente. La Banca del Portogallo ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita per i prossimi mesi; l’indice della fiducia nell’economia del paese, misurato dalla Commissione europea in base a vari parametri, ha raggiunto nel mese di marzo il tasso più alto dal 2008. La crescita è stata favorita soprattutto dalle esportazioni, con un aumento del 24 per cento a partire dal 2008, diffuso in tutti i settori del ciclo produttivo. Le esportazioni rappresentano attualmente il 41 per cento del prodotto interno lordo del Portogallo.

I risultati nelle esportazioni hanno inciso anche sui dati della disoccupazione: nel secondo trimestre il tasso di disoccupazione è diminuito al 16,4 per cento, rispetto al 17,7 per cento del trimestre precedente; nel gennaio del 2014 è sceso poco più del 15 per cento. Se questo tasso – scrive il Wall Street Journal – «resta ancora troppo elevato», il miglioramento generale è stato sufficiente per dare una spinta alla domanda interna.

Portogallo disoccupazione

La scorsa settimana, e per la prima volta dal gennaio 2010, il rendimento dei titoli di stato decennali portoghesi è sceso sotto la soglia del 4 per cento (3,999 per cento), indice che il governo non ha più bisogno di promettere rendimenti astronomici per ottenere denaro in prestito. Il risultato di tutti questi elementi messi insieme è che l’obiettivo di ridurre il deficit di bilancio (come stabilito dal piano di aiuti) sembra essere adesso raggiungibile.

Come l’Irlanda?
Lo scorso 16 dicembre il presidente della BCE, Mario Draghi, aveva detto che molto probabilmente il Portogallo avrebbe dovuto intraprendere un programma di austerità per un “periodo transitorio” scegliendo l’aiuto di una “linea di credito precauzionale” in modo da agevolare il ritorno sui mercati alla fine dell’attuale programma. L’alternativa – non esclusa dal governo del Portogallo – sarebbe stata quella di “un’uscita pulita” dal piano di aiuti, come ha fatto l’Irlanda in una simile circostanza.

L’Irlanda è uscita dal programma di aiuti europei nel dicembre del 2013. Il piano era cominciato tre anni prima, in seguito all’inizio della crisi finanziaria. Da allora l’Irlanda aveva ricevuto una serie di prestiti, pari in tutto a 85 miliardi di euro. Questi prestiti sono stati concessi in cambio di alcune misure fiscali, un esempio delle politiche di austerità che hanno riguardato lo stesso Portogallo. Uscendo dal piano di aiuti, all’Irlanda non fu affidata nemmeno una linea di credito precauzionale: il paese recuperò insomma la piena indipendenza finanziaria, rinunciando così a un ulteriore aiuto per sopperire alle esigenze a breve scadenza che imponevano comunque delle condizioni – anche se meno stringenti rispetto a un programma di sostegno integrale – e guadagnando l’uscita dal monitoraggio continuo di UE, FMI e BCE.

«La tentazione di seguire l’esempio dell’Irlanda è molto forte», precisa il Wall Street Journal riguardo il Portogallo. Per quanto il prestito internazionale e le riforme abbiano contribuito a determinare la ripresa economica, molti portoghesi hanno vissuto il coinvolgimento della “troika” come un asservimento, in forte contrasto con l’immagine che il paese ha di sé: quella dello stato sovrano più antico d’Europa. La possibilità (e anche l’esito) del recupero della sovranità finanziaria dipende però da molte variabili, e ci sono due differenze sostanziali tra l’Irlanda e il Portogallo. Innanzitutto il Portogallo è più vulnerabile: le varie agenzie di rating avevano dato una valutazione piuttosto positiva del debito pubblico irlandese, mentre nonostante i miglioramenti il Portogallo è ancora valutato come «junk rating» (ad alto rischio). Inoltre, al momento della sua uscita dal piano di aiuti l’Irlanda aveva accumulato una riserva di liquidità sufficiente a coprire l’entità di un eventuale finanziamento per un anno, una sorta di “cuscino” di salvataggio che il Portogallo attualmente non ha.

Un altro elemento di vulnerabilità è che il Portogallo è molto elevato l’indebitamento del settore privato e societario (224 per cento del PIL alla fine del 2012, secondo Eurostat). Questo significa che le aziende stanno ancora lottando per ristrutturare i loro bilanci e trovare nuovi capitali per gli investimenti, e che le prospettive di crescita a lungo termine sono tutte da conquistare e non scontate. Inoltre, il credito continua a contrarsi: anche se la Banca del Portogallo sostiene che molti esportatori sono stati finora in grado di ricevere i finanziamenti necessari, le famiglie e le imprese che lavorano sul mercato interno faticano ancora molto a ottenere prestiti e mutui.

Resta infine la questione politica, sul grado cioè di impegno del governo e dei partiti di opposizione portoghesi a mantenere e proseguire le misure che hanno portato ai miglioramenti citati dopo la fine formale del programma: anche se i socialisti all’opposizione hanno fatto sapere che intendono rispettare le regole di bilancio dell’Unione europea (le elezioni politiche nel paese si svolgeranno nel 2015), nei fatti finora si sono costantemente opposti a molte delle misure fiscali promosse per soddisfare i criteri del programma di aiuti.