Durante il processo, dopo la condanna e l’esecuzione, moltissimi intellettuali di sinistra in tutto il mondo difesero i coniugi Rosenberg, accusando gli Stati Uniti di aver inscenato un processo farsa per soddisfare la paranoia dell’opinione pubblica. Tra gli altri sostennero questa tesi Bertolt Brecht, Dashiell Hammett, Frida Kahlo e suo marito Diego Rivera, Jean Paul Sartre e Pablo Picasso. Il Papa, Pio XII, chiese pubblicamente che ai Rosenberg venisse risparmiata la pena di morte.
All’epoca della condanna i Rosenberg avevano due figli, Micheal e Robert, di 10 e 6 anni. Negli anni successivi i due figli portarono avanti una campagna per dimostrare l’innocenza dei loro genitori, chiedendo la diffusione di documenti secretati e portando avanti diverse cause legali.
Come andò veramente
Negli ultimi anni la pubblicazione di una serie di documenti, sia in Unione Sovietica che negli Stati Uniti, e le testimonianze di alcuni dei protagonisti, hanno aiutato a fare un po’ di chiarezza sul caso dei Rosenberg. Si è scoperto che molte delle accuse erano vere, mentre altre erano state manipolate.
Nel 1995 furono pubblicate una serie di comunicazioni russe intercettate dai servizi segreti americani e inglesi negli anni Quaranta e Cinquanta. Queste comunicazioni – chiamate in codice VENONA – rivelarono che Julius Rosenberg aveva davvero un qualche tipo di rapporto con i servizi segreti russi, anche se i figli non ritennero quelle intercettazioni una prova credibile della colpevolezza dei loro genitori, anche perché nei messaggi di VENONA non si faceva quasi nessuna menzione della loro madre, Ethel Rosenberg.
Le accuse contro di lei sono diventate sempre più deboli negli ultimi anni. Nel 2001 David Greenglass rivelò che accusando Ethel aveva compiuto una falsa testimonianza. Non ricordava chi avesse trascritto i documenti segreti in quella sera del settembre 1945. Spiegò che aveva accusato sua sorella per proteggere la moglie, Ruth e che fu incoraggiato a farlo dagli investigatori e dai magistrati che portavano avanti l’accusa.
Il racconto di Greenglass fu confermato nel 2008, quando vennero resi pubblici i documenti del gran giurì, l’udienza segreta che portò all’inizio del processo contro i Rosenberg. Nel corso del gran giurì Ruth Greenglass disse che era stata lei a trascrivere il documento segreto: al processo, qualche mese dopo, Ruth cambiò versione e sostenne che era stata Ethel a trascriverlo. Queste rivelazioni sembrano confermare uno dei sospetti diffusi già all’epoca del processo: Ethel Rosenberg venne coinvolta nel processo come mezzo per fare pressioni su suo marito, Julius, e ottenere da lui una confessione in cambio del prosciogliemento della moglie.
Nel 2008 l’altro attivista coinvolto nel processo, Martin Sobell, confessò al New York Times che sia lui che i Rosenberg erano stati delle spie. Confermò che Ethel Rosenberg era in qualche modo a conoscenza delle attività del marito, ma che non lo aiutò mai attivamente. Le parole di Sobell hanno convinto anche i figli dei Rosenberg. Una settimana dopo l’intervista di Sobel, ammisero che i loro genitori avevano davvero compiuto attività di spionaggio a favore dell’Unione Sovietica.
L’unica questione rimasta aperta era se davvero, come aveva scritto il giudice Kaufman, lo spionaggio dei Ronseberg aveva “cambiato la storia”, consegnando ai russi il segreto della bomba atomica. Dopo molti anni la risposta sembra essere negativa. Secondo quanto hanno scritto molti esperti, che hanno preso in esame i documenti copiati da Julius, né lui né Greenglass capivano niente di energia nucleare e questo influenzò i documenti che rubarono e il modo in cui li copiarono.
Nel 1989 Boris V. Brokhovich, il direttore dell’impianto di arricchimento del plutonio con cui fu costruita la prima bomba atomica sovietica, confermò quest’impressione. In un’intervista al New York Times, Brokhovich raccontò che lo sviluppo della bomba in Russia «fu un processo fatto di tentativi ed errori. Non ottenemmo niente dai Rosenberg. Li avete fatti sedere sulla sedia elettrica per niente».