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  • Giovedì 6 giugno 2013

La storia del gruppo Bilderberg

L’organizzazione delle élites internazionali nel libro Club Bilderberg

di Domenico Moro

Aliberti Editore ha pubblicato Club Bilderberg, gli uomini che comandano il mondo di Domenico Moro. In questo estratto Moro ricostruisce la storia del Bilderberg, e la composizione dei suoi organismi dirigenti.

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Precursore e per certi versi padre del Bilderberg è il Council on Foreign Relations. Il Cfr fu fondato nel 1921 da prominenti personalità statunitensi allo scopo di completare l’uscita dal tradizionale isolazionismo degli Usa, iniziata con l’intervento militare nel conflitto che si combatteva in Europa. L’obiettivo era far assumere agli Usa una maggiore responsabilità e il ruolo di decision maker nei nuovi assetti mondiali post bellici. Cosa che, però, si realizzò solo dopo la seconda guerra mondiale con la liquidazione di Germania e Giappone. Anche se con molte somiglianze con il Bilderberg il Council on Foreign Relations se ne distingueva per l’essere almeno inizialmente ristretto ai soli cittadini statunitensi e perché non rifletteva ancora il ruolo guida che gli Usa avrebbero assunto. Tuttavia, il Cfr svolse un ruolo attivo di consulente del governo Usa durante la guerra, confermando la tesi di Wright Mills sulla formazione dell’élite del potere nel corso del conflitto e, secondo alcuni, influenzò direttamente le politiche di ricostruzione post-belliche, tra le quali la formazione delle istituzioni previste negli Accordi di Bretton Woods (Banca mondiale, Fmi).

Il periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale presenta, rispetto al primo dopoguerra, uno scenario internazionale mutato e contrassegnato da due fenomeni. Il primo è la ricostruzione di un mercato mondiale capitalistico sotto l’egemonia Usa, e basato sulla ricostruzione, sul modello statunitense, delle economie giapponese e soprattutto europea occidentale. Il secondo è la sfida rappresentata dal rafforzamento dell’Urss e dei partiti socialisti e comunisti non solo nel Terzo mondo ma anche in molti Paesi avanzati. Ciò evidentemente poneva questioni importanti di mantenimento della stabilità politica ed economica. Davanti alle élites si presentavano, quindi, problemi nuovi e più globali, che rendevano necessaria la formazione di sedi di confronto e di elaborazione di strategie adeguate. In particolare, sedi transnazionali, che riunissero le élites atlantiche, ovvero quelle di Usa ed Europa occidentale. Le élites venivano così a costituire un livello informale e parallelo a quello ufficiale degli Stati. Questi, infatti, sul piano economico avevano costituito l’Fmi e la Banca mondiale e sul piano politico-militare la Nato, che, per l’appunto nacque come alleanza atlantica, tra Usa e Europa occidentale, in funzione di contrasto all’Urss.

Il gruppo Bilderberg nacque il 29 maggio 1954 e prese il nome dall’albergo in Olanda in cui si riunì per la prima volta. Tra i principali ispiratori e primo segretario ci fu Joseph Retinger, di origine polacca e fondatore anche del Movimento Europeo, organizzazione ispiratrice del processo di unificazione europea. Lo scopo dichiarato della costituzione del Bilderberg era incentivare il dialogo tra i leading citizens di Usa ed Europa Occidentale per «creare una migliore comprensione delle forze complesse e delle principali tendenze che influenzavano le nazioni occidentali nel periodo postbellico». Ma, tiene a precisare il Gruppo, la fine della Guerra fredda non ha diminuito bensì ha aumentato l’importanza di queste riunioni. Secondo il Bilderberg, ciò che rende unici gli incontri sono tre caratteristiche. L’ampia presenza di leading citizens, provenienti da vari settori della società, in incontri che hanno una durata di tre giorni e impegnano i convenuti in discussioni informali e off-the records su tematiche di importanza attuale, specialmente di politica estera ed economia internazionale. Il forte feeling tra i partecipanti, che permette di superare la varietà di orientamento e impostazione derivata dalla provenienza da nazioni diverse. La privacy degli incontri, che non ha altro scopo se non quello di permettere ai partecipanti di esprimersi apertamente e liberamente.
Il Bilderberg si presenta come «un forum internazionale, piccolo, informale e non ufficiale nel quale possono essere espressi punti di vista diversi e la reciproca comprensione sviluppata. L’unica attività del Bilderberg sono le conferenze. Durante gli incontri non vengono fatte votazioni, né prese risoluzioni, e neanche fatte dichiarazioni politiche». Dal 1954 si sono tenuti cinquantanove incontri, uno all’anno, i cui partecipanti e l’agenda vengono resi pubblici alla stampa, a differenza dei contenuti dei dibattiti. I partecipanti ai dibattiti variano ogni volta e vengono scelti dal presidente dopo consultazioni con lo Steering Committee sulla base delle loro conoscenze ed esperienze a riguardo delle tematiche che verranno affrontate. La composizione dei partecipanti, che solitamente sono circa 120, è la seguente: sul piano della provenienza geografica per i due terzi vengono dall’Europa Occidentale ed il rimanente dagli Stati Uniti. Sul piano dei settori sociali, essi provengono per un terzo dalla politica e dalla istituzioni, e per due terzi dalla finanza, dall’industria e dalle comunicazioni. Ad ogni modo, i convenuti partecipano a livello personale e non ufficiale.

Gli organismi di autogoverno del Bilderberg sono il presidente e lo Steering Committee, il comitato direttivo. Il presidente è eletto dallo Steering Committee, mentre quest’ultimo è eletto non si capisce bene da chi per quattro anni ed i suoi membri possono essere rieletti. Esiste, inoltre, la figura del Segretario esecutivo che riporta al presidente. Compiti del presidente sono presiedere il direttivo, decidere con esso le tematiche da discutere e, come detto, selezionare i partecipanti alle conferenze annuali. Le spese del mantenimento del segretariato sono a carico del direttivo, mentre quelle dei meeting annuali sono a carico dei membri del direttivo del Paese ospitante.
Vediamo ora da dove vengono, quanti e chi sono i membri del direttivo. I Paesi cui appartengono sono 18 e sono collocati esclusivamente in Nord America (con l’esclusione del Messico) e in Europa Occidentale, con la sola eccezione della Turchia. Tali Paesi fanno quasi tutti parte, spesso sin dall’inizio, della Nato, tranne la Svizzera, la Finlandia, l’Austria, la Svezia e l’Irlanda. I membri del gruppo dirigente sono 35, di cui 33 dello Steering Committee, cui si aggiungono il presidente, il francese Henri de Castries, ed il membro anziano dell’Advisory Group, lo statunitense David Rockefeller. L’egemonia statunitense è chiara, come del resto lo è anche nella Nato, anche se il presidente è europeo. Numericamente prevalgono le personalità anglosassoni, in tutto 16 (45,7 per cento). In particolare gli statunitensi sono 11 (31,4 per cento), ai quali si aggiungono 3 britannici e 2 canadesi. Gli altri Paesi, con l’eccezione della Francia con 3 membri (che ha il presidente Jean Claude Trichet classificato come “internazionale”) e della Germania con 2, hanno tutti un solo membro nel direttivo. Molti Paesi sono sottorappresentati, a partire dalla Germania che pure è la seconda nazione presente nel comitato direttivo per economia e popolazione e dall’Italia, che ha un solo membro, Franco Bernabè, presidente di Telecom Italia, come la Norvegia, il Portogallo e la Grecia.

La composizione è piuttosto varia e copre quasi tutti i settori, anche se prevale la finanza. Nello Steering Committee ci sono membri che hanno incarichi direttivi in 13 grandi imprese finanziarie. Di queste 2 sono grandi gruppi assicurativi, 4 fondi d’investimento (attivi in hedge fund e private equity), e 7 grandi banche. Dopo la finanza c’è l’industria con 11 imprese. Vi sono rappresentati quasi tutti i settori più importanti, il metalmeccanico (2), i mass media (2), il siderurgico (2), il chimico e farmaceutico (2), il petrolifero (1), l’informatico (1), e le telecomunicazioni (1). Inoltre, sono presenti esponenti di 4 think-tank, 3 esponenti del mondo politico (un ministre d’État belga, un membro della Camera dei Lord e il Lord cancelliere e segretario alla giustizia britannico), 2 di quello accademico e infine un esponente del mondo della distribuzione e uno di uno studio legale internazionale. Gli Usa prevalgono nella finanza, mentre gli europei nell’industria. Sono statunitensi 2 banchieri e 4 dirigenti di fondi d’investimento, ovvero la totalità del sottosettore, 3 rappresentanti dei think-tank, il che suggerisce una egemonia ideologica, un accademico e soltanto 2 esponenti di imprese industriali. La Gran Bretagna ha 2 politici e un banchiere. Il resto dell’Europa occidentale ha 8 dirigenti di imprese industriali su 11 totali, 3 banchieri e un dirigente di un fondo d’investimento, 2 di assicurazioni, il presidente di un think-tank, un accademico, un legale internazionale e un politico. In effetti, la nazionalità dei membri del direttivo non coincide sempre con quella delle imprese cui fanno riferimento, dato che si tratta spesso di imprese transnazionali. Ad esempio, l’irlandese Peter D. Sutherland è dirigente di Goldman Sachs che in effetti è una banca statunitense. Non tutte tra le imprese presenti sono gruppi transnazionali al vertice della classifica delle imprese mondiali come Royal Dutch Shell e Microsoft – quinta e decima al mondo per profitti nel 2010 – o ai primi posti nel ranking dei loro settori, come Alcoa, EADS, Novartis, e Telecom Italia tra le industriali, Goldman Sachs, Barclays, Axa, Zurich Insurance tra le finanziarie. Le altre sono grandi imprese ma non hanno una dimensione particolarmente grande a livello mondiale, anche se spesso si tratta di aziende prestigiose e con contatti ramificati come la banca Lazard. In effetti, l’appartenenza allo Steering Committee del Bilderberg non dipende strettamente dalla grandezza o importanza dei gruppi che si dirigono, ma – come vedremo – dalla internità al network dell’élite degli affari mondiale. È, insomma, una appartenenza in gran parte personale, anche se ovviamente l’essere inseriti in certe imprese aiuta.

Vale forse la pena soffermarsi sulle biografie di qualcuno dei membri del gruppo dirigente. Henri Conte de Castries, presidente del Bilderberg dal 2010, proviene da una antica famiglia della nobiltà francese, cui appartiene anche Christian de Castries comandante a Dien Bien Phu, ed è un esempio dell’intreccio tra aristocrazia e mondo degli affari. Nella storia del Bilderberg un esempio importante ne è anche il principe Bernhard van Lippe-Biesterfeld, marito della regina Giuliana d’Olanda e tra i fondatori del Bilderberg di cui fu primo presidente dal 1954 al 1976, allorché dovette dimettersi per il suo coinvolgimento nello scandalo delle tangenti Lockheed. Il principe occupò anche posizioni di responsabilità in due corporation che ricorrono spesso nel Bilderberg e nella Trilaterale, la Shell e SGB. Henri de Castries è rappresentativo dell’esistenza del meccanismo delle revolving doors anche in Francia. Fu alto funzionario del ministero del Tesoro francese sotto il governo Chirac, durante il quale (1986) partecipò alla privatizzazione di varie aziende tra cui Compagnie Générale d’Electricité, ora chiamata Alcatel-Lucent. Nel 1989 entrò in Axa, la seconda compagnia assicuratrice mondiale per asset (2011), di cui è diventato presidente nel 2000. Caratteristiche simili ha anche il belga Étienne visconte Davignon, nominato dal re del Belgio ministre d’État, che è stato prima Commissario europeo agli affari industriali e poi dirigente di importanti gruppi industriali belgi, come Société Générale e Gdf Suez. Altra figura interessante è il già citato David Rockefeller, una specie di trait d’union in carne ed ossa di varie organizzazioni dell’elite statunitense e mondiale. È, infatti, uno dei fondatori del Bilderberg e della Trilaterale ed è stato presidente tra 1970 e 1985 del Council on Foreign Relations. Il nonno, John Davison Rockefeller, fu uno dei protagonisti dell’espansione economica statunitense di fine Ottocento, attraverso la fondazione della Standard Oil, grazie alla quale acquisì il monopolio della produzione e raffinazione di petrolio e divenne l’uomo più ricco del mondo. Il padre di David, John Davison Rockefeller Junior, fu punto di riferimento dell’alta finanza negli anni Venti-Trenta e rimase coinvolto in scandali per la corruzione di membri del Congresso e nel massacro di Ludlow, durante lo sciopero dei minatori nel 1914. David Rockefeller, oggi patriarca della famiglia, oltre ad essere stato presidente della JP Morgan Chase, ottava banca mondiale per asset totali nel 2012, di cui è ancora il principale azionista, ha ricoperto importanti ruoli in multinazionali di primaria importanza, come Exxon Mobil e General Electric. Recentemente David Rockefeller ha siglato una alleanza strategica con Lord Jacob Rothschild, patriarca dell’altra storica dinastia della finanza internazionale. Un altro personaggio la cui presenza nel comitato direttivo di Bilderberg è alquanto significativa è Richard Perle, uno degli ideologi principali della corrente neoconservatrice, che ha influenzato la politica estera Usa dell’ultimo decennio. Perle fu assistente del ministro della Difesa sotto la presidenza Reagan e successivamente con Bush II è stato membro e poi presidente del Defence Policy Board. Perle è nel Bilderberg come Resident Fellow dell’American Enterprise Institute, ma è anche membro di un altro think-tank neoconservatore, il Project for the New American Century, formatosi nel 1997 con lo scopo di promuovere la leadership globale americana. Nel gennaio 1998 Perle firmò, insieme ad altri membri di questo gruppo di pressione, tra cui Donald Rumsfeld e Paul Wolfowitz, una lettera diretta al presidente Clinton in cui si chiedeva di rimuovere con la forza Saddam Hussein. L’obiettivo del gruppo era, come si evince da un altro documento «mantenere nell’area del Golfo una consistente forza militare americana», dato che il Golfo è «una regione di vitale importanza», a causa della concentrazione di riserve petrolifere che vi si trova. Perle, insieme a Rumsfeld e Wolfowitz che diventeranno rispettivamente ministro e vice ministro alla Difesa con Bush II, sarà parte del gruppo dirigente statunitense che inizierà, sull’onda emotiva dell’attacco alle torri gemelle, l’invasione dell’Iraq e la cosiddetta “guerra al terrore”, che dura ancora oggi.

Molto interessante è anche osservare la composizione del Gruppo Bilderberg nel passato. Cominciamo dai presidenti, che, compreso l’attuale, sono stati sette e sempre europei occidentali, con una prevalenza britannica con tre presidenti, ai quali si aggiungono un olandese, un belga, un tedesco e attualmente un francese. Si tratta di personaggi di primissimo piano nella politica europea. Come abbiamo detto il primo presidente del comitato direttivo fu il principe Bernhard van Lippe-Biesterfeld della Casa reale olandese. Il secondo, tra 1975 e 1977, fu Walter Scheel, già vice primo ministro e ministro degli esteri tedesco dal 1969 al 1974 e Presidente della Repubblica Federale di Germania dal 1974 al 1979. Gli succedette tra 1977 e 1980 il duca Alexander Douglas-Home, primo ministro britannico dal 1963 al 1964 e ministro degli esteri nel 1970. Fu poi la volta di Eric Roll barone di Roll of Ipsden dal 1986 al 1989, che tra 1968 e 1977 è stato uno dei direttori della Banca d’Inghilterra, e del barone Peter Carington, che fu segretario di Stato britannico per gli affari esteri e del Commonwealth e segretario generale della Nato dal 1984 al 1988. Infine, Etienne Davignon, di cui abbiamo già parlato, fu presidente tra 1998 e 2011, allorché fu sostituito da Henri de Castries tutt’ora in carica.

Vi sono inoltre 135 personaggi che hanno fatto parte dello Steering Committee nel passato e ora non ne fanno più parte. Tra questi citiamo solo alcuni nomi prestigiosi, come Henri Kissinger, forse il maggiore tra i segretari di Stato Usa dopo la seconda guerra mondiale e sempre presente come invitato anche agli ultimi incontri, Edmond de Rothschild della omonima dinastia finanziaria, l’olandese Wim Duisenberg, primo presidente della Bce, e il già citato Paul Wolfowitz. La presenza anglosassone è sempre preponderante, ma in modo meno forte di quanto non sia nel direttivo attuale, con il 44,4 per cento dei membri, di cui 39 sono statunitensi (29,1 per cento), 15 britannici (11,1 per cento) e 5 canadesi (3,7 per cento). Il terzo Paese in assoluto e primo Paese europeo, con l’esclusione della Gran Bretagna, è questa volta sorprendentemente l’Italia che è stata presente nei vari direttivi con 11 personalità (8,1 per cento), seguita dalla Germania con 8 (5,9 per cento), e da Francia e Danimarca con 7 (5,2 per cento). La forte presenza numerica italiana e le personalità di spicco assoluto dei membri italiani dello Steering Committee sta a dimostrare il consistente impegno italiano nella storia dell’organizzazione. La composizione del gruppo italiano vede la prevalenza di personalità provenienti dalla burocrazia economica e politica internazionale e europea e dal mondo della grande industria. In particolare alcuni hanno svolto un ruolo importante nella costruzione del mercato europeo e della valuta unica. Quasi sempre si registra un intreccio tra i due ambiti, della grande industria e della burocrazia internazionale. Inoltre, si nota anche un intreccio con la politica nazionale, visto che 4 membri hanno ricoperto incarichi in almeno un governo italiano, due sono stati presidenti del Consiglio, due ministri e uno sottosegretario.

È importante notare che ben 7 su undici degli italiani che hanno fatto parte dello Steering Committee nella storia del Bilderberg sono stati legati, seppure in modalità diverse, al gruppo Fiat. Senza contare che anche l’attuale e unico membro italiano dello Steering, Franco Bernabè, è passato per la Fiat, in gioventù come Chief Economist nell’ufficio pianificazione e successivamente come membro del Cda. Ad ogni modo, dei 7 «uomini Fiat», Gianni e Umberto Agnelli appartengono alla famiglia fondatrice che ancora controlla il gruppo. La presenza degli Agnelli e della Fiat in organizzazioni a forte presenza Usa come il Bilderberg e la Trilaterale non deve stupire. Essi hanno stabilito fin dall’origine con gli Usa un forte legame, che con la recente acquisizione della Chrysler si è consolidato anche sul piano industriale. Il capostipite della famiglia, Giovanni Agnelli, era amico di un altro magnate statunitense dell’auto, Henry Ford. Il nipote Gianni, l’“avvocato”, il cui bisnonno materno, George W. Campbell, fu ministro del Tesoro Usa, era in gioventù membro del jet-set internazionale, divenendo amico di personalità influenti come John Fitzgerald Kennedy, presidente Usa. Dal 1966 alla morte, avvenuta nel 2003, Gianni occupò la carica di presidente della Fiat. Il fratello Umberto, già presidente dell’Ifil, la «cassaforte» di famiglia, gli successe nel 2004 come presidente del Gruppo Fiat. L’importanza di Gianni Agnelli nel Bilderberg è testimoniata dalle parole di un abituale frequentatore degli incontri del gruppo: «Nelle occasioni in cui fui presente, Agnelli era in qualche modo, così mi sembrò, la figura chiave; la figura cui gli altri facevano riferimento e si rimettevano».

Uomo Fiat fu anche Vittorio Valletta, che aderì alla massoneria negli anni Venti e che diventò amministratore delegato della Fiat nel 1939. Epurato nel 1944 dal Comitato nazionale di liberazione (Cnl) per collaborazionismo con l’occupante tedesco, fu reintegrato nel suo ruolo nel 1946 divenendo anche presidente della Fiat fino al 1966. Dal mondo della burocrazia economica e politica europea ed internazionale provengono 6 personaggi, di cui 4 hanno fatto parte del mondo Fiat. Il marchese Gian Gaspare Cittadini-Cesi fu ambasciatore e segretario generale di quella che sarebbe diventata l’Organization for Economic Cooperation and Development (Ocse) e amministratore delegato di Fiat Francia. Straordinaria è la figura di Renato Ruggero, che ha attraversato tutti gli ambiti, accumulando incarichi di vertice ai livelli politico-burocratico nazionali e soprattutto internazionali. Fu capo gabinetto e poi portavoce (1977) del presidente della Commissione europea e tra i negoziatori dell’entrata dell’Italia nel Sistema monetario europeo (Sme), che anticipò l’euro. Divenne successivamente ambasciatore italiano a Bruxelles e segretario generale del ministro degli Esteri (massima carica della diplomazia italiana). Dal 1987 al 1991 fu ministro degli Esteri in due governi successivi e dal 1991 al 1995 responsabile delle relazioni internazionali del Gruppo Fiat. Dal 1995 al 1999 fu direttore generale del Wto e poi presidente dell’Eni. Nel 2006 fu ministro degli esteri, ma solo per sei mesi dopodiché diede le dimissioni dal governo di Silvio Berlusconi, che non sembra avere un gran feeling con la Fiat in particolare e con i membri del Bilderberg. Tra questi c’è sicuramente Tommaso Padoa-Schioppa, alla cui nomina come governatore della Banca d’Italia Berlusconi si è sempre opposto. Ad ogni modo, la carriera di Padoa-Schioppa è stata notevole. Direttore generale per l’economia e le finanze della Commissione Europea nel periodo di lancio dello Sme (1979-1983), vicedirettore della Banca d’Italia (1984-1987), membro del comitato istituito dal presidente della Commissione europea Delors, suo amico personale, per redigere il progetto di Unione monetaria europea, presidente Consob, membro del comitato esecutivo della Bce (1998-2006), ministro dell’Economia con il Prodi II (2006-2008), presidente del comitato monetario e finanziario internazionale dell’Fmi, e, dulcis in fundo, membro del consiglio di amministrazione di Fiat industrial (2010).

Un altro membro autorevole del Bilderberg con cui Berlusconi non sembra essersi sempre inteso è Mario Monti, ben noto come ex rettore e presidente del consiglio d’amministrazione della Università Bocconi. Meno risaputo è che anche Monti, amico personale di Gianni Agnelli, è stato un uomo Fiat. Nel 1989, a soli 46 anni, fece tris d’assi, stando contemporaneamente nel consiglio d’amministrazione della Fiat, della Banca Commerciale italiana e delle Assicurazioni Generali. Successivamente Berlusconi lo mandò a Bruxelles come commissario europeo, dove ebbe la delega al mercato interno e all’integrazione e ai servizi finanziari. Quando D’Alema, nuovo presidente del Consiglio, lo riconfermò, gli fu data la delega alla concorrenza che mantenne fino al 2004. Fatto questo che non gli ha impedito di diventare successivamente consulente antitrust della Coca-cola e di Goldman Sachs. Presidente europeo della Commissione Trilaterale e membro del Bilderberg, se ne dimise nel momento in cui fu nominato presidente del Consiglio dei ministri da Napolitano in sostituzione di un Berlusconi ormai inviso a una buona fetta dell’élite italiana e soprattutto transnazionale.

Ma, forse il “calibro” più grande tra gli uomini Bilderberg italiani, almeno tra i burocrati-politici, è un altro professore: Romano Prodi. Presidente Iri, quando questa era una delle prime conglomerate del mondo, Presidente della Commissione europea e due volte presidente del Consiglio dei ministri italiano. La presenza di Prodi (e di Padoa-Schioppa) nello Steering Committee è abbastanza significativa di quanto il Bilderberg sia capace di mettere insieme figure conservatrici e progressiste, di centrodestra e di centrosinistra. E probabilmente è ancora più significativo del fatto che differenze tra le due ali dello schieramento politico non ce ne sono, o almeno non ce ne sono di significative per quanto attiene agli interessi del network del capitale transnazionale. L’elemento dominante è l’adesione alla prevalenza del mercato autoregolato sull’intervento statale. Non a caso Prodi fu l’artefice del progressivo smantellamento dell’Iri e della privatizzazione delle banche e dell’industria di Stato, nonché di provvedimenti di liberalizzazione in molti settori. Tuttavia, come il rapporto tra capitale finanziario e Stato muta, così mutano anche le personalità del Bilderberg. Infatti, nello Steering Committee fu presente anche Pasquale Saraceno, grande commis d’État italiano. Economista di orientamento cattolico come Prodi (fu anche docente alla Cattolica di Milano) entrò nell’Iri già durante il fascismo. Nel dopoguerra, da consulente del ministro Vanoni, fautore dell’intervento dello Stato in economia, e di altri ministri democristiani fu tra i sostenitori della programmazione economica e della Cassa del Mezzogiorno, nonché il fondatore dell’Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno (Svimez). Anche lui come altri del Bilderberg, inoltre, fece il suo necessario passaggio europeo, come rappresentante italiano nella Commissione economica per l’Europa di Bruxelles e consigliere della Banca europea degli investimenti (Bei), l’istituzione che dal 1957 finanzia gli investimenti per il raggiungimento degli obiettivi europei. Terminiamo la nostra carrellata sui membri italiani del comitato direttivo del Bilderberg con gli ultimi due personaggi, forse minori ma ugualmente significativi. Il primo è Stefano Silvestri, che è stato sottosegretario alla Difesa tra 1995 e 1996 e, oltre ad essere consulente di ministri della Difesa, Esteri e Industria, è presidente dell’Istituto Affari internazionali (Iai), un think-tank italiano impegnato sulle questioni militari e di chiaro indirizzo «atlantico». Il secondo è Paolo Zannoni, un top manager collegato al capitale transnazionale di origine Usa ed italiana. Zannoni, di cui si dice che fossero ottime le entrature con Gianni Agnelli, è stato presidente di Prysmian Spa, azienda italiana leader mondiale nel settore cavi e sistemi per il trasporto di energia e telecomunicazioni, ma controllata da Goldman Sachs (banca collegata ai Rockefeller) con il 31,7 per cento e con la partecipazione di altre banche e fondi di investimento Usa, come Blackrock, JP Morgan Chase, Lazard. Oggi, Zannoni è sempre nell’orbita di Goldman Sachs, di cui è managing director, e siede nel consiglio d’amministrazione e nel comitato risorse umane di Atlantia, holding operante nelle infrastrutture e controllata dalla famiglia Benetton.