L'assassionio di Oscar Romero

L’assassinio di Oscar Romero

Venne ucciso il 24 marzo 1980: il simbolo dei sacerdoti che in America Latina si opposero alle dittature

di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca

L’elezione di un Papa sudamericano e gesuita ha fatto tornare a parlare della Teologia della Liberazione e del rapporto che in Sudamerica la Chiesa cattolica ha avuto con le dittature militari. Poche figure che vissero quegli anni sono così complesse come quella di Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador – la capitale di El Salvador – ucciso il 24 marzo del 1980 da un membro di uno squadrone della morte paramilitare.

Gli anni di Romero
Romero fu arcivescovo di San Salvador tra il 1977 e il 1980. Erano gli anni della guerra fredda tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica: la dottrina politica americana dell’epoca vedeva nel Sudamerica il cosiddetto “giardino di casa”, un’area saldamente all’interno della sua sfera di influenza dove non era possibile tollerare dei regimi ostili – cioè comunisti. Visto che qualunque alternativa era preferibile, spesso gli Stati Uniti fornirono aiuti, appoggio e addestramento a regimi militari, spesso estremamente brutali, che in quegli anni si imposero un po’ dappertutto nel continente.

Quasi ovunque la gerarchia ecclesiastica si schierò a fianco di questi regimi in nome della lotta al marxismo e in certi casi, come in Argentina, gran parte dei vertici cattolici appoggiarono pubblicamente i dittatori e le cosiddette giunte militari. Anche in reazione a questo fenomeno, dopo il Concilio Vaticano II, nacque in Sudamerica un corrente chiamata Teologia della Liberazione, di cui molti animatori appartenevano all’ordine dei Gesuiti (anche se papa Francesco in passato ne è sempre stato considerato distante).

La Teologia della Liberazione predicava una Chiesa vicina ai più poveri e, nella sua versione più estrema, una vera e propria aderenza all’analisi della società fatta dal marxismo. Alcuni teologi della liberazione dissero che Marx avrebbe dovuto essere per la chiesa moderna ciò che Aristotele era stato per quella medioevale.

Altri sacerdoti arrivarono a predicare il rifiuto della comunione per i ricchi, mentre altri ancora parteciparono attivamente ai movimenti rivoluzionari di ispirazione socialista o comunista che sorgevano un po’ ovunque nel continente – in particolare molti sacerdoti parteciparono alla guerriglia sandinista in Nicaragua. Un sacerdote, che dopo la rivoluzione entrò a far parte del governo sandinista, disse che prima di diventare cristiani bisognava essere marxisti-leninisti.

Oscar Romero
Romero all’epoca era considerato un conservatore molto distante dalla Teologia della Liberazione. Era nato il 15 agosto del 1917 a Ciudad Barrios, nel nordest di El Salvador, e venne ordinato sacerdote nel 1942. Oltre trent’anni dopo, nel 1977, fu nominato arcivescovo della capitale San Salvador. In poco tempo dimostrò che, almeno in parte, i suoi critici avevano ragione, dato che prese le distanze dalle forme più estreme della Teologia della Liberazione.

Nei primi discorsi e nelle prime lettere che produsse come arcivescovo condannò la guerriglia di sinistra che combatteva nel paese, sostenendo che la violenza non era giustificabile, se non in casi estremi. Scrisse che il materialismo marxista era una negazione della dottrina cattolica e quindi sarebbe stato «autodistruttivo e insensato» adottarlo all’interno della Chiesa.

Romero e i poveri
Nonostante le sue prese di posizione, Romero era molto distante dal feroce anticomunismo dei vescovi argentini e dal loro atteggiamento nei confronti della dittatura di Videla. Nel 1977 venne assassinato a El Salvador Rutilio Grande, un sacerdote gesuita e amico personale di Romero. Grande era un esponente della Teologia della Liberazione che aveva a lungo lavorato con i contadini più poveri e aveva duramente criticato il governo, all’epoca in mano ai militari. L’omicidio colpì profondamente Romero, che tempo dopo disse: «Quando guardai Rutilio che giaceva morto davanti a me pensai: “Se lo hanno ucciso per ciò che faceva, allora io devo seguire il suo stesso sentiero”».

Romero cominciò a parlare sempre più spesso delle divisioni e delle ingiustizie sociali di El Salvador e condannò gli assassinii e le torture che il governo portava avanti nei confronti degli oppositori politici. Intanto i rapporti tra il governo e la Chiesa peggioravano sempre di più: la giunta militare voleva che nel governo entrassero dei sacerdoti e chiedeva un appoggio forte da parte della Chiesa. Di fronte al rifiuto di Romero e di altri sacerdoti di schierarsi apertamente con il governo, la giunta cominciò a chiudere le scuole religiose e a perseguitare i sacerdoti che come Grande lavoravano con gli strati sociali più poveri della popolazione.

Il colpo di stato del 1979
Nel 1979, un colpo di stato depose il governo militare del colonnello Molina, non più ritenuto in grado di tenere a bada la guerriglia di sinistra e le altre tensioni sociali che attraversavano il paese. Ma la nuova giunta, di cui facevano parte diversi militari liberali e alcuni civili, non riuscì a fermare le violente azioni repressive che l’esercito e soprattutto le bande paramilitari – i famosi “squadroni della morte”, espressione nata pochi anni prima in Brasile – continuavano a compiere nei confronti dei movimenti studenteschi, mentre la guerriglia continuava a diffondersi in tutto il paese.

La giunta venne sciolta e al governo venne chiamato José Napoleon Duarte, ex sindaco di El Salvador che aveva perso le elezioni contro il colonnello Molina e si trovava in esilio in Venezuela. In molti all’epoca videro nel comportamento di Duarte una scelta opportunistica e considerarono la sua figura soltanto un paravento per il governo dei militari.

In quei mesi, dopo aver brevemente creduto che il colpo di stato del ’79 potesse rappresentare una svolta liberale per il paese, Romero era ormai diventato uno dei più accesi critici del governo. Nel 1980 scrisse al presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, chiedendogli di cessare l’invio di aiuti al governo del Salvador. Per questa ed altre iniziative, Romero diventò una figura conosciuta in tutto il mondo. Visitò l’Europa e incontrò papa Giovanni Paolo II. Durante il viaggio spiegò che era impossibile sostenere il governo di El Salvador perché appoggiava le torture e gli assassinii compiuti dai gruppi paramilitari.

Romero aveva un seguito enorme nel suo paese, grazie ai suo sermoni domenicali trasmessi alla radio. All’epoca erano il principale, se non l’unico, modo che i salvadoregni avevano per conoscere cosa stesse accadendo veramente nel paese. Durante i sermoni Romero leggeva la lista delle sparizioni, degli assassini e delle torture degli oppositori politici. Romero venne ribattezzato “la voce dei senza voce”.

L’assassinio
Romero sapeva che la sua attività gli aveva procurato numerosi nemici e che la sua vita era a rischio. Nei suoi ultimi sermoni ricorreva spesso il tema del martirio e del suo sacrificio per la causa dei poveri e degli oppressi. «Come cristiano – disse – non credo nella morte senza resurrezione. Se mi uccidono, io ritornerò ancora a fianco al popolo salvadoregno».

Nonostante le continue minacce alla sua sicurezza, Romero continuò a tenere i suoi sermoni. Le chiese dove parlava erano spesso così piene che bisognava tenere le porte aperte mentre i fedeli si affollavano all’esterno. La mattina del 24 marzo del 1980 Romero stava partecipando a una di queste funzioni, nella piccola chiesa della Divina Provvidenza nella capitale San Salvador.

Secondo i testimoni, verso la fine della messa, un’automobile arrivò davanti alla chiesa e venne parcheggiata proprio davanti all’ingresso. Dalla macchina uscì un uomo solo che appoggiò un fucile alla portiera dell’auto aperta. L’entrata della chiesa era spalancata, quindi l’uomo prese la mira, lì dove si trovava, e sparò un solo colpo. Romero, colpito alla testa, cadde immediatamente. Secondo la registrazione audio della funzione religiosa, il colpo venne sparato durante la consacrazione eucaristica, mentre Romero alzava il calice verso l’alto.

Le conseguenze
Nessun individuo né alcuna organizzazione vennero mai condannati o rivendicarono l’assassinio. I responsabili, però, sono ritenuti quasi all’unanimità le squadre della morte paramilitari che all’epoca erano comandate dall’ex maggiore dell’esercito Roberto D’Aubuisson. Questi gruppi paramilitari erano tra i più criticati nei sermoni di Romero.

Alcuni ritengono l’assassinio di Romero come l’inizio vero e proprio della guerra civile in Salvador che durò dal 1980 al 1992, quando con gli accordi di pace di Città del Messico la guerriglia venne trasformata in un partito politico, l’esercito venne regolato e venne creata una polizia civile. Si stima che i dodici anni di guerra civile abbiano causato almeno 75 mila morti, più un numero imprecisato di desaparecidos.

Nel 1983 papa Giovanni Paolo II, nella sua prima visita nel paese, pregò sulla tomba di Romero nonostante l’opposizione del governo e della chiesa locale. Romero venne nominato Servo di Dio, il gradino prima di Beato e Santo. Un processo per la sua canonizzazione è cominciato nel 1990 e, dopo più di vent’anni, è ancora in corso. In molti hanno criticato la Chiesa per la lentezza della sua canonizzazione attribuendola alla vicinanza di Romero a una corrente scomoda per la Chiesa cattolica come la Teologia della Liberazione.

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