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Come funziona l’informazione italiana

Un'esauriente descrizione dei percorsi delle notizie e del lavoro dei giornali contemporanei nel nuovo libro di Aldo Giannuli

Aldo Giannuli, storico e saggista esperto di storia italiana del Novecento, ha pubblicato un nuovo libro per Ponte alle Grazie che si intitola Come i servizi segreti usano i media: a dispetto del titolo allarmante e un po’ paranoico, alcuni capitoli sono delle ottime e complete descrizioni dei meccanismi dell’informazione italiana e dei suoi funzionamenti. Come il secondo che qui mostriamo, “Viaggio nell’informazione”.

Come nasce una notizia. Le fonti di base
Per comprendere il rapporto fra servizi e informazione (sia in entrata che in uscita) occorre capire come si formano le notizie e lungo quale percorso diventano i pezzi che leggiamo sui giornali o guardiamo in tv.
Una visione ingenua vorrebbe che ogni pezzo fosse il frutto delle ricerche del giornalista: dal produttore al consumatore. Le cose non stanno così: anche se parte di quello che leggiamo è effettivamente elaborato da chi firma, di solito il processo è molto più lungo e complesso. Cercheremo di fare un «viaggio dentro la notizia» per esaminare come la notizia diventa articolo.

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In buona parte dei casi, all’origine della notizia c’è il comunicato o la conferenza stampa di qualche ente, organizzazione o azienda su un determinato avvenimento: la scoperta di un omicidio fatta da una questura, l’andamento delle operazioni militari in zona di guerra spiegate dallo Stato Maggiore, la proclamazione di uno sciopero da parte di un sindacato, la decisione di una banca centrale di alzare il tasso di sconto, l’andamento della giornata in borsa affari. Meno frequentemente c’è l’intervista a qualche personaggio o al testimone di un particolare evento.

E fin qui parliamo dell’informazione ufficiale, per sua natura di parte e tutta da verificare ma non sempre verificata. Poi c’è l’informazione «ufficiosa» proveniente dalla stessa fonte: notizie soffiate confidenzialmente nell’orecchio di qualche giornalista. Di solito si tratta di quelle dichiarazioni di cui la fonte non intende assumere esplicitamente la paternità, o perché troppo polemiche nei confronti di altri, o perché si ritiene che in questo modo siano più efficaci, o ancora perché ciò sarebbe politicamente inopportuno. Ad esempio, se un comando militare vuol far sapere che giudica errate e controproducenti le decisioni dell’autorità politica, difficilmente lo dirà in una conferenza stampa, piuttosto preferirà far sapere al giornalista amico che c’è maretta oppure gli farà arrivare la notizia del tale episodio, che dimostra quanto infelice e intempestiva sia stata quella tale decisione del governo.

Accade talvolta che queste soffiate riflettano anche dissensi interni all’ente da cui provengono: ad esempio, può esserci rivalità fra i comandanti militari o spaccatura nel gruppo dirigente di un partito o dissenso nel board di una banca, e la notizia confidenziale può rispecchiare la posizione di uno dei contendenti nei confronti dell’altro.

Naturalmente, la fonte ufficiosa è, per definizione, non citabile, cosa che presenta un problema molto serio: entro quali limiti è possibile accettare dichiarazioni ufficiose? Magari c’è un’informazione di primissima importanza che l’opinione pubblica vuol conoscere, ma la fonte non è menzionabile. Fuori discussione tradire la fonte e rivelarla: il giornalista deve essere leale e se promette l’anonimato alla fonte è un impegno d’onore garantirlo. Molti giornalisti sono scorretti e pubblicano con tanto di virgolette: sbagliato, in questo modo si rischia di inaridire questo genere di fonti e sarebbe un danno. Ricordiamoci che senza una fonte di questo tipo non sarebbe stata possibile un’inchiesta come quella sul Watergate. D’altra parte, la confidenza sarebbe stata fatta sicuramente a voce e la fonte sicuramente smentirebbe, lasciando tutti nel dubbio se la cosa sia vera o se la sia inventata il giornalista.

In effetti, il rischio delle fonti ufficiose, a maggior ragione di quelle non citate, è proprio quello che il giornalista si inventi tutto pur di fare uno scoop. Ovviamente, il giornalista copre con la propria credibilità il silenzio sulla fonte: se un importante giornalista scrive «Apprendiamo da fonte autorevole…» si può pensare che, trattandosi di uno stimato professionista che non ha bisogno di certi espedienti, rischiando la sua attendibilità, la notizia sia molto probabilmente vera. Il guaio è che a questo ricorrono anche i principianti.
Ci sono stati anche casi di libri di giornalisti interamente costruiti su fonti anonime, il che non è accettabile.

Il problema è complicato dal fatto che la legge (peraltro giustamente) fornisce una serie di garanzie sul segreto professionale ai giornalisti, che possono rifiutarsi di rivelare le loro fonti anche in sede giudiziaria. La cosa sta suscitando crescenti polemiche (soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in Italia) e si sta facendo strada una giurisprudenza sempre meno favorevole ai giornalisti, che si vedono spesso condannati. Se e come usare questo tipo di fonti è una scelta ampiamente discrezionale del giornalista, tuttavia buona norma vorrebbe che egli accompagnasse a queste «rivelazioni» un minimo di accertamento, consultando documenti, altre fonti ecc., e magari portando qualche elemento di riscontro; anche perché c’è un altro rischio: che il giornalista sia in perfetta buona fede e la «fonte ufficiosa» ci sia davvero, ma gli stia raccontando una sonora frottola per propri scopi. Insomma, che la fonte stia gestendo il giornalista anziché farsi gestire.

Da questo punto di vista il giornalista ha la possibilità di farsi mettere sulla buona strada dalle sue «fonti private». È infatti normale che un giornalista abbia sue fonti personali più o meno retribuite: talvolta si tratta di una figura di secondo piano, magari una dattilografa o un centralinista che possono sapere qualcosa di interessante, e qualche altra volta di persona più altolocata. Si tratta delle cosiddette «gole profonde.» Ma, dato che molti intervistati e molte «gole profonde» appartengono al mondo delle istituzioni, delle aziende o delle organizzazioni e ne sono spesso voce diretta o indiretta, si deduce che, nella maggioranza dei casi, l’informazione viene da qualche palazzo.

Le «gole profonde» si dividono, grosso modo, in due categorie: quelle che lo fanno per soldi e quelle che lo fanno per altra utilità (ad esempio mettere in giro notizie che danneggino avversari politici oppure ottenere in cambio altre informazioni, vendicarsi di un capo dispotico oppure ottenere un trattamento di favore per qualche propria iniziativa). Comunque per interesse. Ma non ci sono mai fonti disinteressate? Si, l’ultima è stata segnalata dal WWF 27 anni fa, ma da allora non se ne ha più notizia. Chi è «gola profonda» lo è stabilmente, quindi in modo professionale: è logico che abbia qualche interesse a farlo, forse non pecuniario ma almeno ideologico, comunque si tratta pur sempre di una fonte interessata.

Diverso è il caso delle «fonti occasionali», dove è più probabile imbattersi in qualcuno che non abbia secondi fini e magari lo faccia per «amore di verità»: è più comune di quanto si immagini. Il problema della fonte occasionale è piuttosto un altro: il rischio di incappare in un mitomane o, più semplicemente, in una persona che ha frainteso qualcosa o che, anche involontariamente, esagera.

Nei primi anni della rivoluzione bolscevica la stampa occidentale si trovò esclusa dalla Russia, per cui i corrispondenti si concentrarono a Riga, in Lettonia, da dove cercavano di fare il loro mestiere raccogliendo notizie da nobili, pope e alti ufficiali in fuga dalla Russia. Risultato:

[Il New York Times] tra il 1917 ed il 1919 raccontò 91 volte che il governo bolscevico era caduto… 4 volte che Lenin e Trotskij si stavano preparando alla fuga; 3 volte che Lenin e Trotskij erano fuggiti dalla Russia; 3 volte che Lenin era stato arrestato ed 1 volta che Lenin era stato ucciso.

La «gola profonda» è un professionista e sta attento a valutare le informazioni che passa, perché sa che un piede in fallo potrebbe pregiudicare il suo rapporto con chi lo gestisce, pertanto valuta freddamente e senza coinvolgimento emotivo quello che vede. La fonte occasionale, al contrario, spesso non ha distacco emotivo e si lascia condizionare dai suoi stati d’animo: è una fonte più «genuina» ma anche più «grezza». E la professionalità, anche in questo caso, è un valore.

Le agenzie
La notizia, peraltro, nella maggior parte dei casi non arriva direttamente al giornale o alla televisione, ma passa per il tramite delle agenzie. Infatti, solo pochi media molto forti (la Rai, ad esempio) riescono a coprire con la propria rete di corrispondenti l’intero suolo nazionale e non sempre un avvenimento merita la spesa di un inviato speciale. Questo è tanto più vero a livello internazionale, dove nessuno dei media, per quanto importante e ramificato, riesce a coprire più di alcune grandi città. Si ricorre allora alla rete di agenzie giornalistiche: spesso alcuni pezzi riproducono direttamente il notiziario di qualche agenzia.
Le agenzie sono molto meno numerose delle testate giornalistiche, pertanto agiscono in regime di oligopolio.

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