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  • Martedì 20 novembre 2012

Successo e fallimento di Jonah Lehrer

Storia di un giovane e promettente giornalista americano che ha distrutto la sua carriera per rendere più efficaci i suoi articoli

di Vincenzo Latronico

NEW YORK, NY – May 29: Science writer and contributer to Radio Lab, Jonah Lehrer attends the “You and Your Irrational Brain” panel discussion at Water Taxi Beach in Long Island City in conjunction with the World Science Festival on May 29, 2008 in New York City. (Photo by Thos Robinson/Getty Images for World Science Festival)

NEW YORK, NY – May 29: Science writer and contributer to Radio Lab, Jonah Lehrer attends the “You and Your Irrational Brain” panel discussion at Water Taxi Beach in Long Island City in conjunction with the World Science Festival on May 29, 2008 in New York City. (Photo by Thos Robinson/Getty Images for World Science Festival)

Questo mese il settimanale americano New York Magazine racconta la storia del successo e del fallimento, entrambi spettacolari, di Jonah Lehrer: già star della divulgazione scientifica, ora rinnegato dei media statunitensi che lo avevano accolto e osannato. È una storia di plagi ed esagerazioni, di TED Talks (in parte) e di meccanismi di Internet. È anche una storia con una morale, ma non è chiaro quale sia.

Chi era Jonah Lehrer
Nel giugno 2012 Jonah Lehrer stava per compiere 31 anni, ed era probabilmente uno dei giornalisti più felici e invidiati degli Stati Uniti d’America. Il suo blog, Frontal Cortex, era appena stato acquisito dal New Yorker come parte di un nuovo piano di espansione al digitale; lui stesso era stato assunto come staff writer della rivista, una posizione ambitissima che quasi nessuno aveva occupato alla sua età prima di allora. Il suo terzo libro di divulgazione scientifica – Imagine: How Creativity Works – era appena uscito negli Stati Uniti e Inghilterra; le recensioni erano ambigue, ma aveva già scalato parecchie classifiche di non-fiction. Soprattutto, Lehrer continuava ad essere molto richiesto come oratore: convention aziendali, seminari e raduni di associazioni si contendevano (pagando cachet a cinque cifre) gli interventi in cui mescolava in modo brillante e accessibile neuroscienze, letteratura e cultura pop, snocciolando idee sorprendenti e applicabili alla vita quotidiana.

Il modello ideale delle conferenze di Lehrer erano le TED Talk – cui pure non era mai stato invitato. Un altro modello era Malcolm Gladwell: anch’egli staff writer al New Yorker, anch’egli autore di bestseller di “pop science”, e soprattutto super-star del cosiddetto lecture circuit. Confessions of a Public Speaker, un saggio di Scott Burkin che analizza la transizione sempre più frequente dei giornalisti di successo nel mondo delle conferenze, fissa il prezzo per un intervento di Gladwell a 80.000 dollari. Quella, a detta di molti, era la strada di Jonah Lehrer. È una strada che si è interrotta. L’ha interrotta, nello specifico, un’email di un anonimo lettore del New Yorker al “cane da guardia del giornalismo”, Jim Romenesko. Era un’email che parlava del passato.

Il passato
Il passato di Jonah Lehrer sembrava «adatto alla narrazione che ci aspettiamo da un piccolo genio», avrebbe scritto Roxane Gay dopo la caduta, ma dopo è facile. Aveva studiato neuroscienze alla Columbia University di New York, facendo ricerca con un premio Nobel; nel mentre trovava il tempo di dirigere la rivista letteraria dell’università, la Columbia Review. Al termine degli studi aveva ottenuto una Rhodes Scholarship, una prestigiosa borsa di studio ad Oxford, cominciando a lavorare a Proust Was a Neuroscientist, il libro di divulgazione neuroscientifica (la tesi: era già tutto in Proust) che gli avrebbe fatto trovare il successo.

Lehrer cominciava, anche, a scrivere il blog Frontal Cortex, dedicato a pillole di informazione scientifica solida ma accessibile e “pop” (esempi: Ogni bambino è uno scienziato; La neuroscienza di McDonald’s; Benefici educativi dei font brutti; L’importanza delle vacanze). Dopo centinaia di post, il blog sarebbe stato acquisito da Wired, con lodi sperticate del direttore Chris Anderson. Oltre a scrivere per Wired (e un secondo libro, di tema simile ai primi: How We Decide), in questo periodo Lehrer pubblica anche sul Wall Street Journal e sul New York Times. Poi, appunto, c’è l’assunzione al New Yorker, e poi c’è l’email a Romenesko: che non parlava (solo) dei nuovi articoli, ma anche di quelli vecchi.

L’auto-plagio
Il 19 giugno un post sul blog di Romenesko mostra che l’ultimo pezzo di Lehrer per il New Yorker era praticamente identico a un suo articolo apparso l’anno precedente sul Wall Street Journal. La redazione, sentita al telefono, sostiene di non saperlo. La notizia rimbalza in giro e molti altri blog (fra cui Daily Intel, del New York Magazine) scovano numerosi casi in cui Lehrer ha “riciclato” frasi, paragrafi o interi pezzi da lui pubblicati in precedenza, senza rimandi alla fonte.

Le reazioni sono miste. Nel mondo giornalistico statunitense non si sa bene cosa pensare dell’auto-plagio: quasi tutti concordano che non sia una cosa perfettamente trasparente, ma secondo alcuni è accettabile, secondo altri “così così”, secondo altri ancora indifendibile. Non è chiaro chi sia la vittima: i committenti o i lettori? Ma i primi non hanno, si suppone, perso traffico per questo; e ragionevolmente i secondi non se n’erano accorti, poiché c’era voluto così tanto perché la sovrapposizione saltasse fuori.

Ad ogni modo non è una tragedia. Lehrer «esprime rimorso» pubblicamente (parole sue: «È stata una cosa stupida e incredibilmente pigra e non capiterà più») e al New Yorker annunciano che non perderà il posto per questo. Certo, i suoi post su Frontal Cortex si interrompono, e a tutti i precedenti viene apposta una premessa non proprio gioiosa: «Nota della redazione: porzioni di questo articolo sono già apparse in un pezzo di Jonah Lehrer del XXX su YYY. Ci scusiamo per la duplicazione», ma quel «ci scusiamo» è in inglese un «we regret» che ammette letture meno caritatevoli. Ma in fondo, sembra, la tempesta è passata.

La tempesta, come è ovvio, è solo in pausa: moltissimi blogger e giornalisti cominciano a sezionare i testi di Lehrer, spinti dall’invidia forse, o forse dalla sensazione che ci siano altre scoperte da fare. Ci sono.

Un excursus personale
Lo stato d’animo di Lehrer in quei giorni è ciò che più mi affascina di questa vicenda. Sei un giovane giornalista di grande successo, ammirato dai tuoi lettori e dai tuoi editor, invidiato o stimato dai colleghi; sei bello e sano. Hai appena comprato una casa storica da due milioni di dollari, dove ti sei trasferito con una moglie che ami. Sei stato beccato a fare una piccola irregolarità che non compromette quasi in nulla la tua carriera, e che però, lo sai, attirerà sui tuoi scritti molte attenzioni. Sai anche che queste attenzioni troveranno altro, e che in questo caso sarà ben più grave. O meglio, non lo sai: lo temi, come il fumatore teme il tumore al polmone: con la consapevolezza che è una speranza che va contro ogni aspettativa razionale. Eppure continuiamo a sperare. Io fumo, ad esempio.

Ecco: sei in quella splendida casa e tua moglie, sorridendo, ti dice, «Fortuna che è tutto risolto», riferendosi alla piccola turbolenza dell’autoplagio senza sapere la tempesta che questa ha annunciato. Non rispondi. Sorride di nuovo, ti viene accanto. «Tutto è bene quel che finisce bene, no?»

Si ricomincia
Michael Moynihan è un giornalista, e fra le altre cose ha cantato in un gruppo metal e tradotto in inglese alcuni scritti di Julius Evola. È anche un grande fan di Bob Dylan: per questo, dopo aver letto del piccolo scandalo intorno a Lehrer, si è ricordato di alcuni dubbi che aveva avuto leggendo il primo capitolo di Imagine. Il libro iniziava parlando proprio di Bob Dylan, e gli metteva in bocca frasi che un fan appassionato non riconosceva. Non solo: non saltavano fuori cercandole su Google – il che, nel caso di una fonte stra-famosa, suona perlomeno sospetto. Moynihan scrive a Lehrer chiedendo spiegazioni su una citazione in particolare.

Lehrer risponde che era in realtà un suo collage di due citazioni, e indica come fonti il documentario Don’t look back e un’intervista radio. Ma Moynihan non trova nessuna delle due; ogni richiesta di informazioni più specifiche viene ignorata. Di una terza, Lehrer spiega che proviene dal libro di Dylan, Chronicles: ma non c’è. In effetti, spiega Lehrer, veniva dagli archivi di un programma radio, che durano cento ore e all’interno dei quali non sa offrire la localizzazione. È chiaro in che direzione si sta andando. Di un’altra citazione si scopre che viene in realtà da un libro di Marianne Faithfull, ed è fuori contesto; di un’ultima, Lehrer sostiene di averla scovata in materiali girati ma tagliati nel montaggio di No Direction Home, un altro film su Dylan, grazie a un contatto con l’agente di questo; ma l’agente dichiara a Moynihan di non conoscere Lehrer. Lehrer scompare al telefono, smette di rispondere alle mail; Moynihan annuncia che scriverà un pezzo a riguardo, e Lehrer ricompare la notte prima dell’uscita, tempestandolo di chiamate perché ci ripensi. Il pezzo esce su Tablet il 30 luglio.

La caduta
Immaginare quello che succede dopo è facile, ma ciò non lo rende meno drammatico. Saltano fuori decine di altri casi in cui Lehrer ha omesso, manipolato o deliberatamente frainteso delle informazioni in suo possesso, per rendere i suoi argomenti più efficaci. Forse temendo una causa, sia l’editore statunitense che quello inglese di Imagine ritirano il libro dal mercato. Lehrer perde il posto al New Yorker. Il Wall Street Journal elimina i suoi pezzi dagli archivi online. Wired commissiona a Charles Seife, esperto di etica del giornalismo, un’analisi della correttezza dei pezzi di Lehrer; alla fine decidono di non pubblicarla, ma esce su Slate. Non è molto generosa. Lehrer perde il posto a Wired.

Cominciano a fioccare i commenti, su blog e giornali, fra compiacimento, Schadenfreude e (poca) compassione; escono con titoli come La caduta di un intellettuale hipster e Jonah Lehrer getta tutto all’aria. Lehrer scompare dalla scena pubblica e annuncia, dopo un po’, che sta lavorando a un libro su questa storia, in cui spiegherà come e perché ha sbagliato – un bel memoir di redenzione, probabilmente destinato al successo ma che difficilmente restituirà al suo autore (la cui abilità di scrittore è indubbia) la credibilità che aveva prima. La storia è questa.

La morale
Poi, certo, c’è la morale – che si esprime bene in forma di domande. Una di queste domande potrebbe essere: perché Jonah Lehrer, promettente, intelligente e capace, ha sentito il bisogno di commettere piccole trasgressioni, via via più consistenti, all’etica del giornalismo e al patto con i suoi lettori? Non si è reso conto di rischiare grosso – soprattutto nel caso di Bob Dylan?

Risposta ovvia, e in parte probabilmente vera: perché era ambizioso. Perché era convinto di essere tanto bravo da poterla far franca. Perché, in fondo, gli era sempre andata bene – anzi, gli era sempre andata meglio.

Ma questo apre la via a un’altra risposta, in forma di domanda: chi gliel’aveva fatta andare bene? Secondo alcuni (fra cui i già citati pezzi su New York e su Salon), c’è un complesso di interessi che spinge il giornalismo (soprattutto scientifico), il lecture circuit e il sistema dei blog a produrre contenuti sempre più sorprendenti, efficaci, applicabili alla vita quotidiana e, soprattutto, vendibili. Si riprecuote a volte sulla ricerca, che viene travisata o esagerata, in particolar modo quella neuroscientifica, per trovarvi “grandi rivelazioni” che potrebbero non esservi; e sulla vita dei giornalisti, costretti a produrre grandi idee spendibili a un ritmo vertiginoso. E quando le grandi idee non saltano fuori, be’, magari ce n’è una dell’anno scorso che funziona, o magari questa qui, con solo qualche aggiustamento, potrebbe funzionare.

Questo non è un modo per scusare Lehrer: è un modo per mostrare, nei suoi errori, la conseguenza forse naturale di un sistema che ha prodotto e facilitato la sua carriera per poi avventarsi sul suo cadavere al primo segno di cedimento, sempre nel nome di un certo tipo di “notizia”. È anche un sistema, certo, che lo riassorbirà con un sorriso tollerante non appena farà ammenda pubblica, col libro che già sta scrivendo, perché in fondo a un “ragazzo prodigio” si scusano certe intemperanze; perché editor e autori, in fondo, si rivedono in lui; perché, in fondo, cadute come questa sono proprio adatte alla narrazione che ci aspettiamo da un piccolo genio.

Personalmente
Personalmente non so bene cosa pensare di questa vicenda. Lo scandalo intorno all’auto-plagio mi sembra esagerato; è qualcosa che gli scrittori hanno sempre fatto, in una certa misura. Borges, ad esempio, fa tornare interi paragrafi nei suoi scritti di saggistica – perversamente, si tratta di quelli sul tempo ciclico: solo che ai tempi non c’era Internet per scoprirli. Vero: ma d’altro canto, adesso c’è, e gli standard cambiano. L’invenzione di virgolettati, la modifica di fatti, la citazione non dichiarata di comunicati stampa o pezzi di altri giornalisti (tutte cose che sono state scoperte) sono ben più gravi: ma, paradossalmente, non fatico a capire da cosa nascano. Ma anche questa non è una scusa. Forse potremmo limitarci ad apprezzare lo spettacolo di una cometa che sale, brilla e scompare, confortati o amareggiati, a seconda di come la si pensa, dalla certezza che fra un po’ tornerà a brillare sopra le nostre teste. La sua orbita è quella.

Foto: Jonah Lehrer nel maggio 2008 a New (Thos Robinson/Getty Images for World Science Festival)