Chi era Jaco Pastorius

Morì in Florida, 25 anni fa, dopo una rissa e una vita complicata: una playlist della sua breve e grande carriera

di Vincenzo Martorella

Il 21 settembre del 1987, venticinque anni e un giorno fa, John Francis Pastorius III, per gli amici Jaco, il più grande bassista della storia, si spense in un letto del Broward General Medical Center di Fort Lauderdale, in Florida, dov’era giunto in coma, con fratture multiple a cranio e braccio sinistro, e con l’occhio sinistro quasi del tutto fuori dall’orbita, nove giorni prima. Nonostante qualche piccolo progresso nel quadro clinico – il musicista, senza mai riprendere pienamente conoscenza, sembrava reagire a stimoli elementari –, due giorni dopo gli effetti di una terribile emorragia spinsero i medici a dichiararlo cerebralmente morto. La mattina del 21 settembre i familiari decisero di staccarlo dalle apparecchiature che lo tenevano artificialmente in vita. Il cuore smise di battere tre ore dopo. Jaco aveva appena trentacinque anni.

A ridurlo in coma, e col volto sfigurato, non fu una caduta accidentale, o un grave incidente d’auto, ma lo scontro col proprietario di un locale, il Midnight Bottle Bar, nel quale Jaco tentò di entrare sfidando la ferma opposizione del gestore; Luc Havan, all’epoca venticinquenne esperto di arti marziali, dichiarò di aver provato ad allontanare il bassista, palesemente su di giri e incontrollabile, con le buone, ma vistosi costretto colpì alla tempia sinistra l’esuberante scocciatore: l’impatto fece crollare Jaco al suolo, e nella caduta il capo batté violentemente sull’asfalto. Una versione dei fatti che però non trovò nessuna conferma: né dalle testimonianze, che raccontavano di un pestaggio in piena regola, né dai referti medici, ma che bastò a Havan per spuntare, nel secondo dibattimento, una condanna per omicidio preterintenzionale. Dopo appena quattro mesi di detenzione, il brutale picchiatore fu scarcerato per buona condotta. Oggi fa l’agente immobiliare a Palm Beach, e chissà gli affari come gli vanno.

A Jaco, quell’undici settembre, gli affari, e non solo quelli, andavano malissimo. Quella stessa sera, ultimo episodio di una ghirlanda di comportamenti folli e sconclusionati, era andato a Fort Lauderdale ad ascoltare il concerto di Carlos Santana, ma fu allontanato dalla sicurezza perché all’improvviso era schizzato sul palco: voleva alzare il braccio, come fanno gli arbitri di un incontro di pugilato per decretare il vincitore, ad Alphonse Johnson, il bassista della band. Frustrato, imbestialito – nonostante Santana l’avesse poi salutato alla fine del concerto – Jaco si diresse verso il Midnight Bottle Bar, aperto tutta la notte, senza sapere che sarebbe stata la sua ultima mattana.

Da anni, ormai, era una specie di vagabondo: a New York, prima, e in Florida, nelle ultime settimane di vita, viveva come un barbone; spesso dormiva letteralmente per strada, chiedendo l’elemosina o offrendo lezioni di basso per pochi dollari, o un autografo per qualche spicciolo. L’alcol e l’uso di droghe non fecero che peggiorare il suo disturbo psichico: sindrome bipolare, recitava la diagnosi, quindi l’alternarsi di periodi di eccitazione maniacale seguiti da profonde depressioni. I primi sintomi si erano presentati almeno dieci anni prima, ma nessuno ci aveva fatto caso: Pastorius era un genio, un «Monet con molto più ritmo», come fu battezzato da un suo amico. Era davvero il più grande bassista del mondo, e l’aveva ampiamente dimostrato; dapprima, una gavetta spossante, fatta di studio matto e disperatissimo e tournée massacranti in tutti gli States, poi col suo primo disco, omonimo, un miracolo di purezza e perfezione. Infine, con i Weather Report, il supergruppo fusion, capitanato da Joe Zawinul e Wayne Shorter, col quale Jaco allargò, prima, e consolidò, poi, la sua inarrivabile levatura artistica.

Anarchico e, a suo modo, punk, Pastorius visse velocemente; come una schioppettata – fulminea, fragorosa, rapidissima – attraversò, rivoluzionandolo, il mondo della musica: dettò nuove leggi, sovversivi punti di vista, inediti scenari tecnici, amplificando i paesaggi interiori di un’arte, la sua, sempre alla ricerca di se stessa. Se è vero, come scrisse il grande Leo Ferré, che “l’anarchia è la formulazione poetica della disperazione”, allora Jaco fu poeta sommo, e sommamente disperato.

Ma fu anche, e soprattutto, un lucidissimo architetto, pronto a sfidare le leggi della fisica e della gravitazione per svincolare il basso elettrico dal ruolo in cui, per decenni, era stato confinato. Per lui – che guardava oltre – fu semplice: da ragazzo non si limitava a replicare le linee di basso degli hits che ascoltava alla radio, ma ne suonava la melodia, trasformando, cioè, il basso elettrico da strumento di mero accompagnamento a strumento solista. A partire da quel piccolo gesto riuscì a edificare un nuovo sapere tecnico, moltiplicando – come in un vorticoso gioco di specchi – le possibilità di uno strumento ancora giovane e già vecchio.

La playlist che segue è una piccolissima lista della spesa, un breve viaggio organizzato dentro le meraviglie che incise nella sua brevissima carriera.

Foto: Jaco Pastorius in un concerto a New York, il 28 giugno 1982.
(AP Photo/Rene Perez)

Gli esordi
L’inizio, sebbene sia possibile reperire molto materiale precedente in diverse antologie, è Continuum, contenuta in “Jaco Pastorius” (Epic/Sony), il formidabile album d’esordio. Rivoluzionario nell’intenzione e nella realizzazione, un brano in cui il basso elettrico espone la melodia accompagnato dagli altri strumenti, Continuum segna il compimento definitivo della rivoluzione copernicana cui Pastorius sottopose il ruolo e la funzione del basso elettrico, diventato, nelle sue mani, uno strumento in grado di cantare una melodia e improvvisare, ricorrendo ad aspetti tecnici totalmente inediti (come l’uso degli armonici e quello intensivo dei bicordi). In quell’album, va ricordato, è contenuto un altro caposaldo dell’arte di Jaco, ovvero la versione mozzafiato della parkeriana Donna Lee.

Weather Report
Sarebbe opportuno ascoltare tutti i dischi incisi dai Weather Report con Jaco (pubblicati dalla Columbia/Sony): “Black Market”, in cui Pastorius suona solo in due brani (Barbary Coast e Cannonball); il già citato “Heavy Weather”; l’eccezionale “Night Passage”; il doppio live “8:30” (nel quale è contenuto Slang, un solo portentoso); il controverso “Mr. Gone”; e il conclusivo “Weather Report”. Esiste però una buona compilazione, “Weather Report-The Jaco Years”, in grado di offrire le pagine più significative di quell’irripetibile band. Qualche anno fa, inoltre, la Sony ha pubblicato un bel doppio di inediti dal vivo della band (“Live and Unreleased”), che contiene Portrait Of Tracy, un imperdibile, meraviglioso esercizio di poesia.

Dovendo limitarsi a un paio di brani, allora Teen Town, diventato, nel corso degli anni, banco di prova per tutti i bassisti del mondo (nel quale Jaco suona anche la batteria, il suo primo strumento), e Havona, scritta dallo stesso Pastorius, e nobilitata da un assolo prodigioso.

Joni Mitchell
Pastorius iniziò a collaborare con la musicista canadese nel 1976, anno in cui appare il formidabile “Hejira” (Asylum, come i successivi), al quale sarebbero seguiti “Don Juan’s Reckless Daughter” (’77), “Mingus” (’79) e il doppio live “Shadows And Light” (pubblicato nell’80, ma inciso l’anno precedente). Il Jaco telepatico e raffinatissimo accompagnatore emerge in due tracce su tutte: Hejira e Coyote, ed è interessante confrontare le versioni in studio (“Hejira”) con quelle dal vivo, per coglierne il respiro pulsante, la solidissima pulsazione, le differenze di impostazione e l’inesauribile genialità. Se c’è ancora spazio nel vostro lettore, allora aggiungete Goodbye Porky Pie Hat (tratto da “Mingus”,) e The Dry Cleaner From Des Moines (nella versione dal vivo). Il contributo di Pastorius è determinante, soprattutto nel secondo, in cui dà prova del suo walking cubista e di una creatività spinta all’eccesso.

Altre collaborazioni
Nel periodo in cui fu impegnato con i Weather Report e Joni Mitchell, Pastorius incise diversi dischi da sideman. Non possono mancare nella playlist Nativity (contenuta nell’album di Airto Moreira “I’m Fine, How Are You?”, Warner Bros., 1977), così come 4 A.M., una delle più strabilianti performance del bassista, tratta da “Mr. Hands”, di Herbie Hancock (1980, Columbia). Interessante anche la collaborazione di Jaco con l’ex Weather Report Manolo Badrena: nel primo disco solista del percussionista (“Manolo”, A&M, 1979), Jaco è presente nel brano The One Thing.

Word Of Mouth
Il geniale progetto orchestrale di Pastorius (chi, se non lui, poteva immaginare una big band con due suonatori di steel drum?), al quale il bassista iniziò a lavorare mentre era ancora membro effettivo dei Weather Report, è ben rappresentato dal suo disco d’esordio, “Word of Mouth” (Warner Bros., 1981): un vero capolavoro, che contiene alcune tra le gemme più preziose dell’intero repertorio inciso dal bassista: Three Views of a Secret, Liberty City, John and Mary.

Il capitolo successivo è un doppio live, pubblicato originariamente in Giappone (“Twins”, voll. 1 e 2, 1982), che la Warner Bros. riassunse in un disco celeberrimo (“Invitation”, 1983). Da questa brillante esibizione si possono estrapolare l’inossidabile Invitation, il classico di Pee Wee Ellis The Chicken, e la meravigliosa Amerika.

Non va però dimenticato Good Morning Anya, pubblicato per la prima volta in edizione ufficiale nell’antologia “Punk Jazz” (Rhyno/Warner, 2003, che contiene anche molti dei brani della nostra playlist). Il brano faceva parte di “Holiday For Pans”, l’album mai pubblicato che avrebbe dovuto essere il secondo previsto dal contratto che legava Jaco alla Warner Bros. La storia è nota: il master – sebbene incompleto – fu rifiutato dall’etichetta, perché non adatto a ripetere il successo di “Invitation”, e restituito a Pastorius. Il nastro fu, in seguito, rubato, completato e pubblicato in maniera fraudolenta, senza la partecipazione del bassista, e senza che Jaco ne ricevesse un solo centesimo di diritti d’autore. Sebbene il materiale sia, ormai, di dominio pubblico da anni, la freschezza di quel brano lascia stupefatti e ammirati. Pastorius era convinto che quello sarebbe stato il suo capolavoro. Forse aveva ragione.

L’ultimo periodo
Finita l’esperienza della big band, Jaco incise poco o nulla. Alcune tracce le registrò con degli amici, musicisti di secondo piano che cercavano di tenerlo lontano da droga, alcol e dai demoni della sua anima.

Mood Swings, invece, registrato nella primavera di quell’anno, è tra le cose migliori che il bassista ci ha lasciato. Compreso in “Upside Downside” di Mike Stern (Atlantic, 1986), ci restituisce l’immagine più precisa e perfetta di cosa volesse dire “accompagnare” per Pastorius. All’interno di una struttura a scatole cinesi, che però si apre in un blues minore quando ospita i soli di Stern e Bob Berg, Jaco riesce a stare sempre “dentro” il pezzo, respirando all’unisono con gli altri musicisti. L’attenzione a quanto gli succede intorno è totale, e sconfina con la telepatia: ascoltate come riesce ad avvertire in anticipo la frase di Berg (l’episodio inizia quando il timer del vostro lettore segna 4:25).

L’arte dell’ascolto: uno dei grandi segreti di John Francis Pastorius III, per gli amici Jaco, il più grande bassista della storia.