Cina e UE litigano per i pannelli solari

L'Europa indaga sulle politiche dei prezzi adottate dai produttori cinesi, accusati di vendere i loro sistemi per l'energia pulita al di sotto del costo di produzione

HAMI, CHINA - AUGUST 22: (CHINA OUT) Construction workers install solar panels at Hami Solar Power Station on August 22, 2011 in Hami, Xinjiang Uyghur Autonomous Region of China. The 20MW Hami Solar Power Station, with total area of 830,000 square meters and total investment of 326 million RMB (about 51 million USD), is the first solar power station in Xinjiang. It will be put into operation in 2012. (Photo by ChinaFotoPress/Getty Images)
HAMI, CHINA - AUGUST 22: (CHINA OUT) Construction workers install solar panels at Hami Solar Power Station on August 22, 2011 in Hami, Xinjiang Uyghur Autonomous Region of China. The 20MW Hami Solar Power Station, with total area of 830,000 square meters and total investment of 326 million RMB (about 51 million USD), is the first solar power station in Xinjiang. It will be put into operation in 2012. (Photo by ChinaFotoPress/Getty Images)

L’Unione europea ha deciso ieri di aprire un’inchiesta sui produttori cinesi di pannelli solari per verificare se stiano praticando in Europa il cosiddetto “dumping”, eliminando cioè con pratiche di concorrenza sleale i competitori, con gravi danni per l’intera industria fotovoltaica europea. Con il termine inglese dumping si indica, nell’ambito del diritto internazionale, ma il concetto deriva dalla dottrina economica, la procedura di vendita di un prodotto su un mercato estero a un prezzo inferiore rispetto a quello di vendita dello stesso prodotto sul mercato di origine (o, addirittura, a quello di produzione). L’inchiesta dell’Ue su quello che è stato definito uno dei più grandi e importanti casi di conflitto economico tra Cina ed Europa durerà 15 mesi ma “se le prove saranno sufficienti”, si legge in una nota ufficiale, sarà possibile imporre meccanismi di difesa commerciale entro nove mesi.

L’origine dell’indagine
La decisione dell’Unione europea è stata assunta in seguito a una denuncia presentata il 25 luglio da un gruppo di imprese europee che lavorano nel settore dell’energia solare e che si sono riunite in un consorzio chiamato Eu ProSun. Il presidente di Eu ProSun, Milan Nitzschke, ha spiegato: «Le aziende cinesi vendono i pannelli solari in Europa ben al di sotto del loro costo di produzione, con un margine di dumping che va dal 60 all’80 per cento. Questo implica che le imprese cinesi del settore subiscono enormi perdite, ma che finora non hanno rischiato la bancarotta perché tali perdite sono compensate dal governo cinese».

Le banche coinvolte, il cui azionista di maggioranza è proprio il governo di Pechino, offrirebbero infatti un accesso illimitato al credito con tassi di interesse molto favorevoli. Il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha calcolato ad esempio che nel 2010 le banche cinesi hanno prestato ai produttori locali di pannelli solari 30 miliardi dollari. L’obiettivo della Commissione dell’Ue sarà dunque quello di determinare se le accuse presentate dal consorzio Eu ProSun siano fondate e assumere, in quel caso, misure doganali che possano proteggere il mercato europeo. Misure già stabilite a maggio dagli Stati Uniti che hanno imposto pesanti tasse sulle importazioni di pannelli solari cinesi in seguito a una denuncia molto simile a quella fatta in Europa.

I produttori cinesi
Prima di cinque anni fa, i cinesi erano praticamente assenti dal mercato del fotovoltaico, ma approfittando degli incentivi offerti nei paesi occidentali per lo sviluppo di questo mercato sono diventati, a partire dal 2007, i primi produttori mondiali di pannelli: nel mondo, infatti, dei dieci più grandi produttori di pannelli solari, cinque sono cinesi. E proprio dalla Cina arriva la maggior parte dei sistemi installati in Europa: nel 2011 le imprese cinesi hanno esportato nei 27 paesi dell’Ue pannelli e componenti per 21 miliardi di euro.

Producendo su larga scala e a basso costo, i pannelli cinesi (più economici e comunque di buona qualità) hanno invaso il mercato contribuendo ad aumentare un’offerta che è ora due volte superiore alla domanda. E questa sovrapproduzione ha causato un calo dei prezzi che negli ultimi tre anni, in alcuni Paesi, ha raggiunto il 75 per cento.

Le conseguenze per le aziende europee
A fronte dei prezzi molto bassi imposti dalla Cina, l’industria solare europea (che secondo l’Ue dovrebbe svolgere un ruolo strategico producendo entro il 2020 il 20 per cento dell’energia da fonti rinnovabili) è invece in grande difficoltà. Decine di produttori, negli ultimi anni, sono stati costretti a chiudere la loro attività, come ad esempio la società tedesca Q-Cells, che un tempo era leader mondiale di questo settore.

Nel 2011 l’Italia è stato il maggior mercato d’Europa per quanto riguarda i pannelli solari: l’Istat ha calcolato che il valore dei pannelli solari cinesi importati nel nostro Paese è stato di 3,19 miliardi di euro.

(I fondi del governo italiano per l’energia)

La risposta della Cina all’indagine europea
Alcune aziende cinesi coinvolte, come ad esempio Yingli Green Energy, Suntech Power Holdings, Trina Solar e Canadian Solar, hanno minacciato di scatenare una sorta di guerra commerciale contro l’Europa, anche se il governo cinese, nella sua prima reazione, non ha fatto alcun riferimento a possibili ritorsioni. Il portavoce del ministero del Commercio cinese Shen Danyang, invitando l’Ue «alla consultazione e alla cooperazione», ha detto: «La Cina esprime il suo profondo rammarico. Le possibili restrizioni imposte ai pannelli solari cinesi non hanno a che fare solo con gli interessi delle industrie cinese ed europea, ma rovinerebbero lo sviluppo del settore dell’energia solare e delle energie rinnovabili in tutto il mondo».