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Cosa fu la strage di Capaci

La storia di Giovanni Falcone e di che cosa successe il 23 maggio 1992

Falcone e la scorta salirono su tre Fiat Croma blindate. Della scorta faceva parte anche Arnaldo La Barbera, il capo della squadra mobile di Palermo. Falcone decise di voler guidare personalmente la sua Croma bianca. Di fianco a lui c’era la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, di sei anni più giovane di Falcone, con cui era sposata dal 1986. L’autista Giuseppe Costanza si sedette sul sedile posteriore: sopravvisse all’attentato.

Gli spostamenti, stando a quanto ricostruito dalle indagini successive, vennero seguiti da un’auto che procedeva su una strada parallela, per tenerne d’occhio la posizione. In corrispondenza del tunnel scavato sotto l’autostrada era stato messo un frigorifero bianco, per segnalare il luogo esatto dove era stata scavata la galleria.

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Alle 17.58, un uomo che stava osservando il tratto di autostrada in attesa del passaggio del corteo premette il pulsante del telecomando che azionava l’innesco. L’esplosione, potentissima, prese in pieno la prima auto della scorta, uccidendo sul colpo i tre agenti a bordo, scavando una voragine di diversi metri e facendo saltare in aria e atterrare nell’altra corsia dell’autostrada (a quell’ora poco trafficata) i resti dell’auto. Falcone, invece, che aveva leggermente rallentato negli attimi precedenti l’esplosione, si schiantò con l’auto contro il manto stradale sollevato dall’esplosione e contro i detriti. Lui e la moglie, che non avevano le cinture allacciate, vennero scagliati in avanti. Gli agenti a bordo dell’ultima auto si salvarono.

Giovanni Falcone e la moglie vennero trasportati, ancora vivi, all’ospedale Civico di Palermo. Falcone morì per le molte emorragie interne poco più di un’ora dopo l’attentato, alle 19.05, senza riprendere conoscenza. Francesca Morvillo morì intorno alle 22.

Dopo l’attentato
Cinquantasette giorni dopo, in via D’Amelio a Palermo, vennero uccisi anche Paolo Borsellino e la sua scorta: insieme all’uccisione di Falcone, furono attentati che fecero una grandissima impressione sull’opinione pubblica non solo italiana. Uno dei simboli che ricordano il giudice è l'”albero Falcone”, un albero cresciuto di fronte alla casa di Giovanni Falcone in via Notarbartolo a Palermo, punto di ritrovo e di passaggio obbligato per le manifestazioni e le commemorazioni antimafia nella città.

Uno dei documenti video più celebri e più trasmessi, negli anni successivi, fu il breve discorso della vedova dell’agente di scorta Vito Schifani, Rosaria Costa, che allora aveva 22 anni. Il discorso venne pronunciato durante i funerali nella chiesa di San Domenico e si rivolse direttamente ai mafiosi, “perché ce ne sono qua dentro”, disse.

Nei giorni in cui successe l’attentato a Falcone era in corso l’elezione a presidente della Repubblica, dopo le dimissioni di Francesco Cossiga con due mesi di anticipo rispetto alla scadenza del mandato. I più quotati per la carica erano Giulio Andreotti e Giovanni Spadolini, allora presidente del Senato. Ma le forze politiche non riuscivano a trovare l’accordo per l’elezione, una delle più discusse della storia repubblicana: dopo quindici votazioni senza che si arrivasse a un accordo, il 25 maggio 1992, due giorni dopo la strage, il Parlamento si accordò e votò a larghissima maggioranza Oscar Luigi Scalfaro, un democristiano con una lunga carriera politica alle spalle e una fama di grande onestà, che era stato voluto e proposto in primo luogo da Marco Pannella del Partito Radicale. Fino a pochi giorni prima, Scalfaro non era considerato un candidato con qualche speranza.

Le indagini per stabilire i responsabili dell’attentato furono lunghe e difficili, mentre ci furono sospetti e accuse di coinvolgimenti dei servizi segreti e di depistaggi. Per la strage di Capaci, come è chiamata solitamente l’uccisione di Giovanni Falcone, vennero condannate nel 2002 ventiquattro persone, ma il processo venne successivamente annullato dalla Cassazione. L’esecutore materiale dell’attentato, l’uomo che schiacciò il pulsante, era stato riconosciuto in Giovanni Brusca. Un altro processo, concluso in Cassazione nel 2008, ha condannato come mandanti degli omicidi di Falcone e Borsellino alcuni importanti capi mafiosi, tra cui Salvatore Montalto, Giuseppe Madonia e Nitto Santapaola.

Prima di Capaci, di Filippo Facci

foto: LaPresse

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