I giornali nati solo sull’online faticano a imporsi perché non hanno né l’esperienza né il back office dei grandi quotidiani. Ma attenzione: oggi nel nostro Paese, anche per la protezione della lingua, non abbiamo ancora avuto tutta la massiccia concorrenza dei grandi aggregatori, come Google o Amazon, o dei grandi network come Sky e la stessa Mediaset.
Se quest’ultima, come sembra, acquistasse Libero e Virgilio, unendoli a Tgcom, formerebbe un formidabile player. Google e Amazon sono in grado di fare un boccone dei giornali tradizionali, se solo decidessero di investire massicciamente in risorse giornalistiche. Il 50 per cento di chi cerca notizie in Italia digita prima di tutto Google. E ciò consente a Google di prosciugare i ricavi pubblicitari dei giornali tradizionali riproducendone gratis i contenuti. Senza riconoscere il diritto d’autore. In tutti gli altri Paesi l’informazione in Rete è dominata da aggregatori e giganti televisivi. La tenaglia si sta chiudendo e questo impone agli editori, soprattutto al nostro, chiarezza strategica e interventi tempestivi. L’esatto opposto delle liturgie alle quali abbiamo assistito in questi giorni.
Vi parlavo prima di un Rinascimento multimediale del ruolo del giornalista. I giornali su carta e online non sono mai stati così letti. Nel 2011, per la prima volta, gli utenti Internet hanno superato il 50 per cento della popolazione. Nel marzo scorso gli iscritti a Facebook erano 22 milioni, quelli a Twitter 2,5 milioni. I social media hanno dato vita a una forma nuova di giornalismo partecipativo che ha prodotto profondi mutamenti nella società e nella politica. Basti pensare a quello che è accaduto con la primavera araba. Ma hanno reso ancora più indispensabile il nostro lavoro.
Chi partecipa a una comunità multimediale vuole essere informato. Correttamente e tempestivamente. Ha bisogno di una certificazione di qualità che solo le grandi testate, per ora, possono dargli. Ma se su quei social network, noi non ci siamo, il nostro giornale non è adeguatamente rappresentato, i nostri giornalisti non ci sono, i lettori-navigatori si rivolgeranno altrove. Per sempre.
Quando vi dicevo che il giornalista della carta stampata non esiste più, intendevo questo. Non si può pensare di aver esaurito il proprio compito scrivendo, e bene, il proprio pezzo sulla carta e basta. Perché quel pezzo si trasforma, con la nostra firma, il nostro marchio, in un articolo geneticamente modificato che suscita interesse e discussione. Se noi non lo seguiamo, partecipando a nostra volta, discutendo con il pubblico della Rete, quel pezzo sarà un orfano editoriale che si rivolterà contro di noi o diventerà qualcos’altro, con la nostra firma o con il peso della nostra assenza.
La figura del social media editor sarà non solo indispensabile ma determinante nel disegnare il futuro delle testate tradizionali. Ognuno di noi è già un social media editor. Se conosce strumenti, regole e linguaggi, può svolgere un ruolo attivo, da protagonista: capire tendenze e interessi dei propri lettori, anticipare fenomeni di costume, crescere professionalmente e affermarsi pubblicamente. Ma avrà anche la responsabilità di garantire e promuovere la reputazione del proprio giornale.
Dialogare costantemente con i lettori, rispettandoli, è una necessità. Quando siamo sulla Rete non siamo soltanto noi stessi, ma anche e soprattutto giornalisti del Corriere e, nel rispetto delle opinioni personali, non dobbiamo mai dimenticarci che la reputazione del giornale dipende da noi, anche con un semplice retweet. Dovremo dotarci di chiare regole condivise. E saremo tutti protagonisti di un rapporto nuovo con il lettore nelle varie comunità, se sapremo anche comprendere che il rapporto è interattivo, a due vie, non una sola come nell’era della carta stampata.
La stagione che si apre, come avete visto è densa di incognite e di sfide. Ma ricchissima di opportunità. Nessun’altra generazione di giornalisti ha conosciuto una così profonda rivoluzione del modo di scrivere, raccontare, produrre e distribuire l’informazione. A noi spetta scegliere se essere protagonisti o comparse, innovatori o sopravvissuti. Io, nel ringraziarvi per l’attenzione, devo dirvi che non ho dubbi su quale sarà la vostra scelta. Grazie.
foto: Vittorio Zunino Celotto/Getty Images