I compiti a casa dei genitori

Annalena Benini sui bambini, sulle mamme e i papà che devono aiutarli, sui doposcuola: cose che sanno e apprezzeranno tutti i genitori all'ascolto

1955: Mrs Boice, a flight instructer by trade, helps her son with his homework. (Photo by Three Lions/Getty Images)
1955: Mrs Boice, a flight instructer by trade, helps her son with his homework. (Photo by Three Lions/Getty Images)

Il Foglio di sabato ospitava un racconto-riflessione di Annalena Benini sul rapporto dei genitori con i compiti a casa dei bambini e sui tempi che cambiano e non cambiano insieme.

Vieni qui, siediti bene, non sbriciolare, facciamo i compiti. Scrivere dieci paroline con “eu”. Ma come non le sai? E’ facile: Europa, eureka, pneumatico, feudale, freudiano, neuroni, ad esempio. Non capisco perché piangi, adesso. Su, scrivi: eu-fe-mi-smo. La sera dei dittonghi, in prima elementare, pensai che avevo sbagliato tutto. Mandarla a scuola un anno prima (non per ambizione ma per lasciarla con le amiche a cui sognava un giorno di mostrare un vero chihuahua bianco che avrebbe chiamato Fragolina) era stata una pessima idea: avevo sottratto a mia figlia un anno di vita leggera, al parco o a testa in giù sul divano, un anno di pomeriggi senza i compiti a casa, ma soprattutto, cosa perfino più grave, l’avevo sottratto a me. Se il contadino ha quindici mele e gliene cadono sette, quante mele gli restano? Nascondo le mani dietro la schiena per non far vedere che conto con le dita, a lei inspiegabilmente piace la matematica e potrei riuscire a convincerla che è merito mio, della mia precisione, ma poi comincia a sbuffare, a cancellare, a fare le orecchie nelle pagine, a sbadigliare, a scrivere numeri inventati e a far cadere la matita per terra. Mi innervosisco, dovrei pure lavorare, mi mette il muso, che cos’è un abaco? La parte peggiore di tutta la giornata. Non odiavo i compiti per casa da bambina, ma ricordo le facce di mia madre quando le annunciavo che c’era la ricerca sul Friuli Venezia Giulia. Doveva procurarmi il materiale, farmelo copiare, fingere di conoscere il numero esatto di abitanti del Friuli e la sua superficie in chilometri quadrati, poi aiutarmi a studiare il clima e l’economia, parole come: pastorizia. Anche oggi ho problemi a collocare geograficamente Pordenone. Non odiavo i compiti da bambina, ma credo di odiare quelli di mia figlia. E’ troppo piccola per farli da sola, e poi ho letto ovunque che le devo trasmettere il senso dell’importanza della scuola sgobbando insieme a lei. Deve capire subito che la vita è responsabilità e scrivanie, doppi turni di lavoro, artrite cervicale e occhiali da vista. Il suo mondo è cambiato (non chiede più: “Babbo, tu che lavoro fai? Le bolle di sapone?”, e per la prima volta pronuncia frasi inaudite: hai visto il mio libro d’inglese?), ma drammaticamente, con i compiti a casa, è cambiato moltissimo anche il nostro piccolo mondo adulto.

(continua a leggere sul sito del Foglio)

(Three Lions/Getty Images)