Di contro, c’è chi sostiene che, in giochi come Fallout 3, il mondo in cui si svolge l’azione ha più rilevanza della storia che è stata pensata per regolare l’avanzata del giocatore al suo interno. È un ragionamento valido, specialmente visto quanto il mondo di Fallout 3 sia meraviglioso nella sua devastazione e ipnotico nel senso di solitudine che evoca. Ma se è il mondo l’aspetto fondamentale, perché preoccuparsi di creare una storia? Perché non tagliare semplicemente il nastro di questo mondo di fantasia e lasciare che i giocatori lo esplorino? La risposta è che, probabilmente, un gioco del genere non sarebbe molto coinvolgente. Le trappole, dopotutto, hanno bisogno di un’esca. In un gioco narrativo, la storia e il mondo si combinano per creare un’esperienza. Come scrive il game designer Jesse Schell in The Art of Game Design, «Il gioco non è l’esperienza. Il gioco rende possibile l’esperienza, ma non è l’esperienza». In un mondo vasto come quello di Fallout 3, che permette di vivere un’esperienza incentrata sul vagabondare e sulla solitudine, la storia fornisce, se non altro, una direzione e uno scopo di cui si sente un grande bisogno. A meno che, in futuro, un qualche gioco narrativo non cambi radicalmente le aspettative dei giocatori, le storie, con o senza Supermutanti, resteranno per molti videogiochi il mezzo per incanalare la fruizione dei loro particolarissimi e stravaganti mondi immaginari.
Lo ammetto: i giochi che mi interessano di più sono quelli che decidono di raccontare delle storie. È vero, i videogiochi, in un certo senso, hanno sempre raccontato delle storie. scimmione cattura fidanzata di un idraulico! è una storia, ma è una favoletta rudimentale e totalmente priva delle sfumature evocative o degli spauracchi di una vera fiaba. I videogiochi vengono spesso paragonati ai film, il che può sembrare sensato, viste le molte somiglianze (entrambi hanno una colonna sonora, in entrambi figurano attori, entrambi usano un linguaggio cinematografico e così via). Ma a un’analisi più approfondita il confronto crolla pezzo a pezzo. Nel loro modo di raccontare una storia, non potrebbero essere più diversi. I film preferiscono un tipo di narrazione compressa, che si può attuare perché c’è qualcuno che decide dove puntare la macchina da presa. I videogiochi, invece, contengono più di quanto qualunque giocatore possa mai sperare di vedere, e poiché la persona che decide dove puntare la macchina da presa è, spesso e volentieri, proprio il giocatore, non è da escludere che le «parti migliori» possano rimanere nell’ombra. Dopotutto, quando fissiamo il cielo notturno, la parte migliore non sono le stelle, ma le infinite possibilità di ciò che si trova tra una stella e l’altra. I videogiochi spesso producono una sensazione simile, con la differenza che è possibile scoprire cosa c’è lassù. Brulicanti di segreti, aree nascoste e sorprese che magari saltano all’occhio soltanto alla seconda o terza volta (o quarta) che li rigiochi da capo – ancora sorrido se penso a quando sono riuscito ad arrivare in un isolato, introvabile angolo della Zona Contaminata di Fallout 3 e sono stato accolto dalla parola fanculo scritta con lo spray su una roccia – i videogiochi utilizzano una forma narrativa che è, per molti aspetti, senza precedenti. Le convenzioni di questa forma narrativa risalgono a pochi decenni fa e sono state create da zero da uomini e donne che ancora camminano tra noi. Non sono molti i media i cui Dante e Omero sono raggiungibili al telefono per una chiacchierata. Con i videogiochi questo si può fare.
Non mi interessa stabilire se i videogiochi siano meglio o peggio dei film o dei romanzi o di qualsiasi altra forma d’intrattenimento. Ciò che mi interessa è quello che i videogiochi possono fare e quali emozioni mi suscitano mentre lo fanno. Confrontare i videogiochi con altre forme d’intrattenimento serve solo a ricordarci quello che non sono. La narrazione, comunque, non appartiene ai film più di quanto appartenga ai romanzi. Film, romanzi e videogiochi sono economie separate di cui la narrazione è la moneta comune. Il problema è che, in un ampio spettro di videogiochi, la narrazione dà troppo spesso la sensazione di essere contraffatta ed è facile stancarsi di dover lavare il denaro sporco.
Va detto che Fallout 3 migliora decisamente col passare delle ore. Alcuni momenti (come quando bisogna rubare la Dichiarazione d’indipendenza dall’Archivio Nazionale in rovina, protetto da un robot imparruccato programmato per credersi Button Gwinnett, il secondo firmatario della Dichiarazione) sono avvincenti quanto la migliore fiction che io conosca. Ma non può essere una coincidenza se ogni scena in cui ci siano in ballo le emozioni umane (confrontarsi con un androide cui è stata cancellata la memoria e che crede di essere umano, o guardare un personaggio a te caro mentre soffoca e muore) è poco coinvolgente nel migliore dei casi e risibile nel peggiore. C’è davvero da sorprendersi se le più profonde pulsioni umane restano inattingibili per una forma narrativa che tratta i personaggi come assegnazioni di valori numerici a ipotetiche abilità e caratteristiche?
Nel suo insieme, Fallout 3 è un gioco di profonda eleganza, ricercatezza e intelligenza, al punto che, ogni volta che una caratterizzazione è soltanto abbozzata o che un nodo narrativo non funziona, ne soffro. Quando diciamo che un gioco è ricercato, stiamo dando un giudizio troppo generoso? È necessario adottare un criterio di giudizio completamente nuovo? Ciò che intendiamo è forse che il gioco in questione insulta solo occasionalmente la nostra intelligenza? O questo tipo di intelligenza, almeno quando si tratta di videogiochi, non dovrebbe proprio essere chiamata in causa? Com’è possibile, infine, che io continui a tornare a una forma d’intrattenimento che trovo così incredibilmente frustrante? A quale parte di me parlano i videogiochi, e su quale frequenza?
1 Mondo aperto. [N.d.T.]
2 Termine che in inglese indica il recinto pieno di sabbia entro il quale i bambini possono giocare liberamente. [N.d.T.]
3 Esplorazione libera. [N.d.T.]
Voglia di vincere – Perché i videogiochi sono importanti è il libro sui videogiochi pubblicato da Tom Bissell – giornalista e collaboratore di molte testate statunitensi – nel 2010 e appena tradotto in Italia da ISBN edizioni.