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  • Mercoledì 1 febbraio 2012

Il complicato Pakistan

Nelle ultime settimane il paese è andato molto vicino all'ennesimo colpo di stato, mentre continua una dura lotta per il potere tra partiti, esercito e intelligence

di Giovanni Zagni

Oggi la BBC e il quotidiano britannico The Times hanno pubblicato ampi stralci di un rapporto segreto della NATO secondo il quale i talebani, sostenuti dal Pakistan, sarebbero pronti a riprendere il controllo dell’Afghanistan nel 2014, quando si ritireranno i 130mila soldati della missione ISAF. Il documento confermerebbe dunque i forti sospetti degli ultimi tempi e cioè che i servizi segreti pakistani dell’ISI (Inter-Services Intelligence) starebbero aiutando i talebani a compiere attentati contro le forze straniere in Afghanistan. Inoltre, il rapporto, frutto di 27mila interrogatori di oltre 4mila talebani, sostiene che sono sempre di più gli afgani che lasciano l’esercito ufficiale per unirsi ai ribelli. Il ministro degli Esteri pakistano, Hina Rabbani Khar, che oggi è in visita proprio nella capitale afgana Kabul, ha respinto ogni accusa.

Il complicato Pakistan
Il Pakistan è un paese di 177 milioni di abitanti, ha il settimo esercito più grande del mondo, possiede armi nucleari e ha l’islam come religione di stato. Durante la sua breve storia (il nome stesso del paese è stato creato negli anni Trenta) ha attraversato quasi sempre momenti difficili, in primo luogo tra l’esercito e i fragili governi civili. Anche in questi giorni la situazione è particolarmente complicata e il paese è sembrato sull’orlo di un colpo di stato: nella lotta per il potere sono coinvolti i due principali partiti politici pakistani, l’esercito, la Corte suprema, gli Stati Uniti, la Cina e i talebani.

Nelle ultime settimane l’esercito ha sfruttato uno scandalo dai contorni poco chiari per aumentare le pressioni sul governo, il cosiddetto caso “Memogate”, che è iniziato a ottobre scorso ma si trascina da mesi. Al centro della vicenda c’è un breve documento inviato all’ammiraglio statunitense Mike Mullen poco dopo l’incursione delle forze speciali USA che hanno ucciso Osama Bin Laden. Mullen è stato Capo dello stato maggiore congiunto, la massima carica nelle forze armate statunitensi, fino al 30 settembre 2011, e lo era anche al momento di ricevere il memo. Il documento, di una pagina sola e non firmato, chiedeva agli Stati Uniti di prendere le difese del governo civile nella lotta politica contro i militari, per evitare l’espansione dell’estremismo islamico nel paese.

Nei giorni delle polemiche più violente tra il governo e i militari, che accusavano il presidente della Repubblica Asif Ali Zardari di essere a conoscenza del memorandum, si è parlato insistentemente della possibilità di un colpo di stato militare. Non sarebbe stato il primo: in meno di 70 anni di indipendenza dello stato pakistano, i militari hanno governato per una trentina. Dopo che il primo ministro Yousuf Raza Gilani ha cacciato il ministro della difesa, un ex generale, e ha preso in casa sua l’ex ambasciatore del Pakistan negli USA, Husain Haqqani (che dice di temere per la propria vita, con qualche ragione) la situazione sembra essersi tranquillizzata. Gilani ha ritirato questa settimana le sue ferme accuse ai vertici dell’esercito e dei servizi segreti, ma forse le forze armate hanno in programma altri metodi, più legali e “democratici”, per liberarsi dei governi scomodi. Foreign Policy, che ci ha dedicato una lunga analisi, lo ha chiamato “il colpo di stato al rallentatore”.

L’esercito
Nel Pakistan di oggi, la sfera di influenza delle forze armate è molto ampia, e non solo in campo politico. Secondo alcune stime, l’esercito controlla circa il 10% dell’economia pakistana, e possiede direttamente o indirettamente fabbriche di cemento e magazzini. Un ruolo importante dell’esercito nella vita economica è comune non solo in Pakistan, ma anche in parecchi paesi del mondo dove i militari hanno un’influenza più o meno stretta sulla vita politica, come Egitto, Turchia, Cina e Birmania, e paesi centroamericani come Honduras e El Salvador.

Ma negli ultimi anni l’esercito ha commesso una serie di errori. Tra il 1999 e il 2008, il paese è stato governato dal generale Pervez Musharraf e la gente è stata obbligata ad accettare un’alleanza militare con gli Stati Uniti, in una zona del mondo in cui il filoamericanismo non è molto di moda. Negli ultimi mesi, poi, l’esercito ha subito due colpi pesanti alla sua reputazione, che hanno danneggiato anche i rapporti con gli Stati Uniti: l’incursione delle forze speciali statunitensi che ha ucciso Bin Laden, di cui l’esercito pakistano era completamente all’oscuro (così come sembrava ignorare che il leader di al-Qaida si nascondesse a pochi metri da un’importante accademia militare) e l’attacco aereo della NATO del 26 novembre, che ha ucciso per errore 24 soldati dell’esercito pakistano.

La situazione politica
L’attuale presidente del Pakistan è Asif Ali Zardari, il vedovo della “signora di ferro” Benazir Bhutto, primo ministro per quattro anni tra il 1988 e il 1996 e uccisa due settimane prima delle elezioni generali del 2008 in un attentato di cui non sono mai stati chiariti né i mandanti né gli esecutori (con forti sospetti nei confronti dell’allora governo militare di Musharraf). Il primo ministro Gilani è in carica dal marzo 2008, e con tre anni e dieci mesi ha già battuto tutti i record di durata dei governi pakistani, nessuno dei quali è mai arrivato alla fine del mandato. Entrambi sono musulmani moderati (sciita Zardari, sufi Gilani) e fanno parte del Partito del Popolo Pakistano (PPP, fondato dal padre di Benazir Bhutto). Guidano un governo ampiamente conosciuto per essere tanto filoamericano quanto corrotto, inefficiente e impopolare. D’altra parte, Zardari è conosciuto da anni come “mister 10%”, dalla percentuale che richiedeva per gestire gli appalti pubblici durante il governo della moglie, e ha alle spalle diverse indagini e condanne per corruzione.

Il loro principale rivale è la Lega Musulmana Pakistana (N): la “N” fa parte del nome ufficiale e sta per “Nawaz”, dal nome di Nawaz Sharif, ex primo ministro e proprietario della più grande società pakistana per la produzione del ferro e dell’acciaio, che ha vissuto in esilio a Londra da quando venne destituito con un colpo di stato militare (incruento) del generale Musharraf, dopo che il primo ministro aveva provato a rimuoverlo. Sharif è tornato in Pakistan meno di cinque anni fa dopo i molti anni di esilio forzato: i rapporti con l’esercito, per forza di cose, non sono molto buoni.

Qui si inserisce l’improvvisa popolarità, da qualche mese a questa parte, di Imran Khan, improbabile candidato presidenziale che deve la sua fortuna al fatto di essere stato capitano della nazionale di cricket nell’unica coppa del mondo vinta dal Pakistan, nel 1992. Per anni era rimasto con il suo partito (il Pakistan Tehreek-e-Insaf, PTI) nelle ultime posizioni in tutti i sondaggi, ma ultimamente ha cominciato a guadagnare il supporto di alcuni parlamentari, che come spesso accade in Pakistan si sono portati in dote i loro fedeli bacini elettorali. Molti sostengono che Khan abbia il supporto dell’esercito e della più potente e famosa agenzia dei servizi segreti pakistani, l’ISI. Khan ha posizioni piuttosto sfuggenti in molti ambiti (tra cui il rapporto con l’islam) ma promette miracoli nel campo dei servizi pubblici e estrema severità contro la corruzione. Oltre a queste promesse piuttosto facili, Khan dice che il Pakistan dovrebbe interrompere ogni collaborazione militare con gli Stati Uniti e avviare il dialogo con i talebani, le due principali posizioni in politica estera dell’esercito pakistano negli ultimi mesi.

La Corte Suprema
Se nello spettro politico attuale l’esercito ha pochi alleati, questi può sempre contare sull’appoggio della Corte Suprema. L’istituzione è dominata dal suo pugnace presidente, Iftikhar Muhammad Chaudhry, nominato nel 2005, sospeso da Musharraf nel 2007, contrastato da Zardari e rimesso al suo posto da Gilani nel 2009. Da quando Chaudhry è tornato al suo posto, la Corte Suprema ha iniziato a emanare una serie di giudizi contro il presidente del Pakistan e il primo ministro. A Zardari è stato tolto il sostegno fornito da una legge di riconciliazione nazionale che aveva eliminato alcune accuse criminali contro di lui e sua moglie Benazir Bhutto; la Corte Suprema ha inoltre precisato che il presidente dello stato non gode dell’immunità.

Quanto al premier Gilani, in una sentenza collegata al caso Zardari del 10 gennaio 2012, la Corte ha scritto che «non è un uomo onesto e ha violato il suo giuramento», andando contro la Costituzione e il Corano. Gli scontri continui tra la Corte Suprema e il potere esecutivo sono causati dalla debolezza del governo e dalla discrezionalità dell’azione della Corte, che non ha un ruolo e un potere ben definito nella costituzione del 1973: Chaudhry ne ha approfittato per inserirsi nella lotta di potere, legiferando negli ultimi anni su qualsiasi cosa, dal prezzo dello zucchero ai diritti dei transessuali fino al traffico della gigantesca Karachi.

I talebani
Per diversi esperti di politica estera statunitense, la situazione in Pakistan e in Afghanistan è collegata così strettamente da essere etichettata con un’unica sigla, AfPak. I due paesi condividono una società che segue ancora divisioni tribali (in Pakistan, soprattutto nel turbolento nordovest) e la presenza degli integralisti religiosi di etnia pashtun, i talebani, che almeno fino al 2001 sono stati sostenuti attivamente dall’esercito e dai servizi segreti dell’ISI. Ufficialmente, le autorità militari hanno detto di aver interrotto qualsiasi rapporto con gli estremisti, e le forze armate statunitensi continuano a portare avanti campagne di bombardamenti delle basi talebane in Pakistan, ma la questione è sicuramente meno cristallina, se è vero che, come ha scritto Pepe Escobar dell’Asia Times, «il Mullah Omar, come sa ogni grano di sabbia nel deserto del Baluci, vive a Quetta, indisturbato dall’onnipresente sorveglianza statunitense».

Le zone tribali sono un’area grande circa quanto la Sicilia e abitata da 3 milioni di persone. Godono di parziale autonomia all’interno del controllo del governo federale. Sono zone turbolente, in cui gli Stati Uniti portano avanti da anni una campagna di “bombardamenti mirati”, iniziata da George W. Bush e continuata da Obama. Ma il proseguimento della missione dipende costantemente dallo stato delle relazioni con l’esercito, che sta toccando livelli molto bassi nell’ultimo periodo. Gli Stati Uniti hanno sospeso centinaia di milioni di dollari di aiuti, ma la fine dell’appoggio esplicito dell’esercito pakistano vorrebbe dire anche la fine dei bombardamenti con i droni.

Da parte sua, l’esercito pakistano continua a dimostrare grande freddezza verso gli Stati Uniti: ha espulso qualche istruttore militare statunitense e a metà settembre il capo dell’esercito Ashfaq Kayani è andato in visita a Pechino, la capitale della futura grande potenza in ascesa nella regione. Ha aperto invece le trattative con i talebani, o almeno con alcuni di loro, quelli riuniti nella sigla TTP, Tehrik-e-Taliban Pakistan, formata nel 2007 e alleata dei talebani afghani. La mossa non è stata apprezzata da tutte le tribù della zona, e sono cominciati sanguinosi attentati contro i gruppi che hanno cercato la tregua.

Paramilitari davanti alla sede della Corte suprema pakistana, a Islamabad
foto: AAMIR QURESHI/AFP/Getty Images