Il manifesto dei trentenni del PD

Quaranta dirigenti e amministratori locali del partito chiedono a Bersani proposte economiche più liberali

Oggi il Foglio pubblica un manifesto politico firmato da 40 dirigenti e amministratori locali del Partito Democratico, tutti più o meno trentenni, che chiede di fatto al partito di Bersani di assumere posizioni più liberali in economia. Claudio Cerasa lo presenta sul Foglio e sintetizza così le loro posizioni: “Difesa della Bce e delle riforme liberali. Apertura alla riforma delle pensioni e alla riforma del mercato del lavoro. Attacco al massimalismo di sinistra e al conservatorismo del partito. E poi dure critiche ai finti innovatori del Pd, ai falsi portabandiera del rinnovamento, ai critici del blairismo (e del giavazzismo) e a tutti coloro che credono che il modo migliore per far maturare il PD sia quello di indirizzare la rotta del partito sul binario morto della lotta dura pura e senza paura al famigerato “neo liberismo””.

La più grave crisi economica dal Dopoguerra a oggi coincide con una altrettanto difficile crisi politica. Gli italiani nati negli anni Settanta, Ottanta e Novanta non possono continuare ad affidare il proprio destino ai riti della politica vecchia. Il berlusconismo al crepuscolo, perso il contatto con il paese reale, sopravvive solo nel palazzo. Ha forse i numeri per una rabberciata maggioranza parlamentare ma il pallottoliere non può sostituire la politica e nella società italiana il ciclo del Cavaliere si è chiuso.
Si tratta, per il Partito democratico e per la nostra generazione, di un’opportunità straordinaria, l’occasione di chiudere una pagina per scriverne una nuova. Per concorrere a una proposta alternativa di governo che sappia guardare oltre la mera manutenzione delle nostre tradizionali aree di consenso e intercettare l’Italia profonda, inclusi i delusi del centrodestra e i tanti, troppi, tentati dall’astensionismo, soprattutto fra i nostri coetanei.

La sfida è avvicinare alla politica chi è distante, i tanti giovani che la percepiscono come qualcosa di inconcludente e negativo, da cui stare alla larga. Ma il punto di partenza deve essere chi c’è: quei ragazzi e quelle ragazze che, con una scelta controcorrente rispetto alla propria generazione, hanno deciso valesse la pena di mettersi in gioco, di impegnarsi in prima persona, di provare a cambiare il mondo partendo dal proprio quartiere o dal proprio paese. Giovani impegnati nel partito, che vivono con profondo senso di appartenenza e non come una casa provvisoria, o come un mero restyling di organizzazioni gloriose ma che oramai fanno parte dei libri di storia.
C’è chi usa il giovanilismo come una clava, da brandire verso il quartier generale, poi ci sono i quasi cinquantenni che ritengono di essere loro i portabandiera del rinnovamento e infine quelli che avrebbero i requisiti dal punto di vista anagrafico ma guardano al passato e non al futuro, imbrigliati nella nostalgia di vecchi partiti che nemmeno hanno conosciuto. Noi riteniamo si possa lavorare per un Pd aperto e innovativo, senza cadere nel vizio, vecchissimo, di scalare un partito parlandone male, senza partecipare al tiro al bersaglio verso il nostro segretario ma nemmeno aspettando il proprio turno mettendoci in fila.
La nostra generazione ha tutte le carte in regola per dare un contributo importante, perché è composta da ragazzi e ragazze che non devono ricorrere alla preposizione ex per definire la propria identità politica, perché non abbiamo mai trovato sulle schede elettorali i simboli della Dc, del Pci, o del Psi. Una generazione che non ha nostalgie né rimpianti, non sente il peso delle vecchie appartenenze, non deve sfuggire all’insidiosa tentazione di guardarsi indietro. Non abbiamo conosciuto le grandi narrazioni del passato, né il piccolo mondo antico di Peppone e don Camillo.

La nostra memoria collettiva comincia proprio dalla fine: il crollo del muro di Berlino nell’89, la stagione di Mani pulite e del maggioritario, la scomparsa o la trasformazione dei grandi partiti di massa, l’orrore e l’indignazione per le stragi mafiose dei primi anni Novanta. L’immaginario del presente si alimenta con i ricordi dell’11 settembre, della nascita dell’Euro, con l’Erasmus, con il sogno di Obama, con l’incubo Fukushima.
Il nostro tempo è quello della rete e dalla rivoluzione tecnologica che ha grandi conseguenze anche nelle pratiche sociali e nel modo di vivere lo spazio pubblico. Bersani ha giustamente evocato la categoria dei nativi del Pd, che in fondo corrisponde a quella dei digital nativi: una generazione abituata più a consultare Wikipedia o a cercare un concetto o un informazione su Google che a sfogliare le pagine di una enciclopedia. Una generazione che ha dimestichezza e confidenza con i new media, che scrive sui blog o condivide video su YouTube, che si relaziona e interagisce con gli altri attraverso i social network come Myspace, Facebook, Twitter.
Il ricambio generazionale non deve essere solo una formula di rito, la recita di un mantra da proclamare più che da realizzare, quanto piuttosto la scommessa di rendere protagonisti chi, lontano dai riflettori, nei circoli, nei banchi nei consigli comunali, provinciali e regionali, negli organismi, è già classe dirigente. Uno straordinario patrimonio di energie, impegno, fantasia e militanza, un buon punto di partenza per praticare un cambiamento che non sia solo un’operazione mediatica, o una cooptazione di polli da batteria. E per farlo crediamo sia uno strumento positivo quello delle primarie che costituisce un momento di grande partecipazione e, finché permane questa sciagurata legge elettorale, rappresenta una preziosa occasione per ridurre il divario fra cittadini e politica e la disillusione verso un Parlamento di nominati.

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