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  • Domenica 16 ottobre 2011

Gli USA e il complotto iraniano

Secondo alcuni esperti le accuse all'Iran di questi giorni contraddicono quasi tutto quello che si sa della politica estera iraniana e delle sue forze speciali

Martedì 11 ottobre, il procuratore generale degli Stati Uniti Eric Holder ha accusato alcuni alti funzionari iraniani di aver diretto un complotto per l’uccisione dell’ambasciatore saudita negli Stati Uniti. L’annuncio ha stupito molto esperti di politica internazionale e commentatori, che hanno trovato i dettagli della questione molto implausibili e molto diversi dal modo in cui è gestita la politica estera iraniana da molti anni. Giovedì 13, Barack Obama ha fatto la prima dichiarazione pubblica sulla vicenda, dicendo che gli Stati Uniti promuoveranno “le sanzioni più dure” contro l’Iran. Ma anche il presidente si è dimostrato cosciente delle critiche alle accuse, dicendo che “non avremmo portato avanti il caso, se non sapessimo esattamente come sostenere tutti gli aspetti dell’accusa”.

L’attentatore implausibile
Due giorni fa il New York Times aveva pubblicato un ritratto di Mansur Arbabsiar, il 56enne iraniano emigrato negli Stati Uniti che secondo il Dipartimento di Giustizia sarebbe stato il tramite tra alti funzionari iraniani e i narcos messicani dei Los Zetas, per organizzare una serie di attentati alle ambasciate di Israele e dell’Arabia Saudita e per uccidere l’ambasciatore saudita negli Stati Uniti. I vicini di casa e i suoi amici, che lo chiamavano Jack, lo hanno descritto come una persona disordinatissima, che perdeva in continuazione le chiavi o il cellulare, ma che certamente non era un violento né un fondamentalista (beveva e fumava marijuana).

Jack è in carcere dal 29 settembre ed è già comparso una volta davanti a un giudice federale. Durante i suoi oltre trent’anni in Texas (ci era arrivato da ragazzo, e per un po’ dopo il suo arrivo aveva studiato ingegneria meccanica a Kingsville) aveva avviato molte piccole imprese commerciali, dalla vendita di cavalli ai gelati e ai panini, fino alle auto usate. Quasi tutti erano falliti, con un seguito di cause legali e di creditori arrabbiati.

L’uomo accusato di essere il principale organizzatore del complotto, a detta di chi lo conosceva, non ne aveva i mezzi né la capacità. Ma oltre all’inaffidabilità di Jack Arbabsiar, anche chi ha valutato il presunto complotto dal punto di vista delle relazioni internazionali ha fatto osservazioni critiche sulla plausibilità della vicenda.

La politica estera iraniana
Stephen Walt, sul suo blog su Foreign Policy, ha scritto che

a meno che l’amministrazione Obama (e in particolare il procuratore generale Eric Holder) non abbia prove ben più concrete di quelle che ha reso pubbliche finora, rischia di fare una figuraccia diplomatica pari a quella del famoso discorso di Powell al Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulle presunte armi di distruzione di massa dell’Iraq.

Gli Stati Uniti, dice Walt, non si sono mai stati restii a rispondere con la forza ad ogni attacco sul proprio territorio: dall’attacco giapponese a Pearl Harbour, che causò l’ingresso degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale, all’attacco alle Torri Gemelle, che produsse la War on Terror del presidente Bush. Difficile che i dirigenti iraniani, “che non sono stupidi” (come scrive Walt) si espongano al rischio di organizzare un attentato che sarebbe interpretato dagli Stati Uniti come una dichiarazione di guerra.

L’analista Afshon Ostovar ha detto che il primo obbiettivo delle autorità iraniane, fin dalla rivoluzione del 1979 che ha portato all’istituzione di una repubblica islamica, è quello di assicurare la sopravvivenza del regime e di evitare lo scontro diretto con gli Stati Uniti.

Che cos’è la Quds Force
È vero che i politici e i religiosi iraniani più moderati e realisti hanno spesso faticato a tenere a freno le frange più estremiste, e che la stessa spaccatura si è vista, negli ultimi dieci anni, anche all’interno delle Guardie della Rivoluzione, di cui fa parte la Quds Force. Arbabsiar, secondo le accuse statunitensi, sarebbe stato l’intermediario tra la Quds Force e i cartelli della droga messicani per organizzare l’attentato. Ma il corpo militare iraniano si è costruito negli anni la fama di essere estremamente efficiente e ben organizzata, e difficilmente, dicono gli esperti, avrebbe fatto affidamento su un rivenditore di auto usate inseguito dai creditori a Corpus Christi, Texas.

La Quds Force è un corpo con poche migliaia di membri (le stime dicono tra 5.000 e 15.000) che fa parte della formazione militare iraniana delle Guardie della Rivoluzione, ed è stata creata dopo la fine della guerra tra Iran e Iraq (1980-1988). Il suo capo, il generale Ghassem Suleimani, dipende direttamente dall’ayatollah Ali Khamenei, l’autorità politica e religiosa più alta in Iran.

Simile alle forze per le operazioni speciali statunitensi, si occupa soprattutto del sostegno a gruppi stranieri, a cui fornisce addestramento militare, denaro e materiali. Ha molti mezzi e una grande disponibilità di denaro, ma opera soprattutto attraverso la sua solida rete di contatti in Iraq, Afghanistan e Libano (dove fornisce armi ad Hamas). I suoi collaboratori hanno spesso legami molto stretti con i comandanti delle Guardie della Rivoluzione e i leader iraniani, e raramente la Quds Force lascia tracce del suo passaggio. In linea con questa strategia, fino ad oggi non si conoscevano legami di alcun tipo con i cartelli della droga messicani.

foto: Win McNamee/Getty Images