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  • Lunedì 10 ottobre 2011

La polizia americana e le caselle email

Il governo ha ottenuto da Google molte informazioni sulla posta di un collaboratore di Wikileaks, sollevando di nuovo la questione dei limiti dei controlli online

A woman looks at her email on a computer screen in Washington on November 23, 2010. Americans will take a break from the office over the Thanksgiving and Christmas holidays but most won’t stop checking their work emails, according to a survey released on Tuesday. The Harris Interactive survey conducted for Xobni, an email software firm, found that 59 percent of employed American adults will consult work emails over the holidays. Fifty-five percent will check work emails at least once a day and 28 percent will do so multiple times throughout the day, the survey found. AFP PHOTO/Nicholas KAMM (Photo credit should read NICHOLAS KAMM/AFP/Getty Images)

A woman looks at her email on a computer screen in Washington on November 23, 2010. Americans will take a break from the office over the Thanksgiving and Christmas holidays but most won’t stop checking their work emails, according to a survey released on Tuesday. The Harris Interactive survey conducted for Xobni, an email software firm, found that 59 percent of employed American adults will consult work emails over the holidays. Fifty-five percent will check work emails at least once a day and 28 percent will do so multiple times throughout the day, the survey found. AFP PHOTO/Nicholas KAMM (Photo credit should read NICHOLAS KAMM/AFP/Getty Images)

Il governo statunitense ha ottenuto un’ordinanza giudiziaria per avere informazioni sugli account di posta elettronica di Jacob Appelbaum, un collaboratore di WikiLeaks. L’uso dell’ordinanza è stato rivelato da un’inchiesta del Wall Street Journal, che ha detto di aver potuto visionare i documenti giudiziari. La sicurezza delle comunicazioni attraverso il computer e gli smartphone è stata oggetto, negli ultimi mesi, di molte controversie legali negli Stati Uniti.

Il caso Appelbaum
Jacob Appelbaum, 28 anni, è uno sviluppatore che collabora con TOR Project, una comunità online che sviluppa e fornisce gratuitamente un software per proteggere l’anonimato della navigazione su internet: il software di TOR devia il traffico Internet di chi lo utilizza in una serie di server sparsi per il mondo, per rendere il più possibile difficili da identificare la località da cui ci si connette e i siti che si visitano.

Il software di TOR (sigla che sta per The Onion Router) è usato soprattutto nei paesi in cui l’uso di Internet è ristretto e posto sotto il controllo delle autorità, e riceve parte dei suoi fondi dal governo degli Stati Uniti. Ma il software è consigliato anche da WikiLeaks ai suoi collaboratori anonimi, per proteggere la loro identità quando inviano al sito informazioni riservate.

Appelbaum è un volontario di entrambi i progetti. Nel 2010, dopo la pubblicazione delle centinaia di migliaia di comunicazioni diplomatiche e documenti su Afghanistan e Iraq, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha avviato un’energica azione legale contro WikiLeaks e i suoi collaboratori: a dicembre scorso ha ottenuto un’ordinanza giudiziaria per avere informazioni sugli account di Twitter di diverse persone, tra cui la parlamentare islandese Birgitta Jonsdottir e lo stesso Jacob Appelbaum. Twitter fece ricorso contro l’ordinanza e riuscì ad ottenere che questa non fosse segreta, ma venisse notificata agli utenti interessati.

Il Dipartimento di Giustizia è riuscito poi a ottenere un’altra ordinanza segreta per obbligare Google e un piccolo provider di servizi internet, Sonic.net, a consegnare informazioni sull’account di posta elettronica di Appelbaum all’insaputa dell’interessato: l’ordinanza, datata al gennaio del 2011, chiede a Google e a Sonic di consegnare la lista di tutti gli indirizzi IP collegati all’account Gmail del ragazzo (ma non il testo delle email), a partire dal novembre del 2009. Gli indirizzi IP sono numeri che permettono di localizzare i computer con cui si è navigato su internet. Ad Appelbaum non è stata notificata alcuna accusa da parte delle autorità.

Il Quarto Emendamento
Il problema principale, dal punto di vista legale, è stabilire se la posta elettronica e tutte le informazioni che contiene (soprattutto di localizzazione) ricadano o no nelle protezioni previste dal Quarto Emendamento della Costituzione statunitense. La questione si pone in termini molto simili anche per le informazioni che le forze dell’ordine degli USA raccolgono con gli stingrays, un apparecchio per la localizzazione dei cellulari.

Il Quarto Emendamento stabilisce che

Il diritto dei cittadini di essere sicuri nelle loro persone, case, documenti ed effetti contro irragionevoli perquisizioni e sequestri non deve essere violato, e non devono essere emessi mandati se non nel caso di plausibile motivo [probable cause], sostenuto da un giuramento o una dichiarazione, e che in particolare descriva il luogo da perquisire e le persone o gli oggetti da sequestrare

Ottenere un mandato di perquisizione o sequestro da un giudice è quindi piuttosto difficile da parte della polizia. Nel caso delle informazioni sul traffico Internet o sulla localizzazione dei cellulari, però, le forze dell’ordine usano strumenti legali diversi, e in particolare l’Electronic Communications Privacy Act del 1986, emanato quando Internet come lo conosciamo oggi ancora non esisteva: in questo modo le autorità possono accedere a informazioni sulla posta elettronica e sui cellulari dell’indagato con relativa facilità, senza fare i conti con le garanzie del Quarto Emendamento. Il senatore Patrick Leahy, democratico del Vermont, ha dichiarato pochi mesi fa che il provvedimento che lui stesso scrisse e presentò è ormai “datato”.

Utilizzando l’ECPA, poi, il proprietario dell’account di posta elettronica può non venire mai a conoscenza dell’ispezione a suo carico. L’ordinanza giudiziaria che la permette è quasi sempre segreta, e al provider di servizi internet che deve fornire i dati viene vietato di avvisare l’utente.

Molte grandi aziende di servizi internet stanno spingendo perché l’incertezza normativa venga risolta in modo da dare più garanzie agli utenti, mentre casi come quello di Appelbaum stanno suscitando numerosi pronunciamenti giudiziari e un dibattito legale negli Stati Uniti che non si è ancora risolto. La riservatezza impedisce anche di rendersi conto di quanto spesso vengano effettuate ispezioni negli account di posta: nel 2009, Google svelò che in sei mesi il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti gli aveva chiesto 4.601 volte di accedere ai dati dei suoi utenti, e che il provider aveva dovuto acconsentire nel 94% dei casi.

foto: NICHOLAS KAMM/AFP/Getty Images