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Cento anni fa la Rivoluzione Cinese

Il racconto di un evento strano, epocale ma quasi sconosciuto in Europa

di Matteo Miele, Royal University of Bhutan

Sun Yat-sen non vedeva nulla di male in una collaborazione con i comunisti e aveva portato avanti l’alleanza tra questi e il Guomindang, il partito nazionalista. Nel 1925 però Sun moriva e Chiang Kai-shek fece presto ad assumere il potere. Chiang aveva studiato in Unione Sovietica, ma forse non aveva gradito. Ruppe i rapporti con i comunisti e ne fece massacrare crudelmente un numero incalcolabile. Tra le vittime della violenza nazionalista vi è anche la moglie di Mao, Yang Kaihui.

È il momento più scellerato della Repubblica. I comunisti, con Mao, seppero resistere agli attacchi dei nazionalisti e li costrinsero, nella seconda metà degli anni ’30, ad un’alleanza in funzione anti-nipponica. Nel 1931 i giapponesi avevano invaso la Manciuria e rimesso sul trono di uno stato fantoccio Pu Yi. Poi nel 1937 scoppiava la Seconda guerra sino-giapponese (seconda perché ce ne era stata un’altra tra il 1894 e il 1895). Tutto ciò andò avanti fino alla fine della Seconda guerra mondiale, quando riprese la lotta tra comunisti e nazionalisti. Nel 1949 (lo stesso anno dell’atomica sovietica, un anno veramente sfortunato per Washington) Mao proclamò la Repubblica Popolare Cinese. Chiang Kai-shek fuggiva a Taiwan dove reclamava la legittimità del suo governo, continuando a chiamare il suo paese Repubblica di Cina. Buona parte del mondo occidentale, per un po’, gli crede e gli lascia il seggio nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

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Chiang trasforma Taiwan in una dittatura che pretende la sovranità sul territorio della Cina continentale (e visto che non c’è limite alla megalomania, anche della Mongolia). Gli Stati Uniti, considerato quello che era accaduto in Corea nel 1950, decidono di difendere Taiwan, come un anello della catena del containment che doveva accerchiare l’universo comunista. Poi però, negli anni ’70, si torna alla realtà. La Cina Popolare viene ammessa all’Onu, Nixon va a Pechino e nel 1979 anche Washington riconosce il governo comunista, pur continuando a difendere Taiwan, che lentamente comincia a pensare alla democrazia. Nel 1986 sull’isola nasce un altro partito, il Partito Democratico Progressista, che reclama l’indipendenza di Taiwan. Non più Repubblica di Cina, ma stato indipendente sotto il nome di Taiwan. Questo i cinesi non possono digerirlo e minacciano nuovamente l’isola prima delle elezioni del 1996. Gli americani mandano un paio di navi e la cosa si ferma lì. Ma dal 2000 al 2008 un democratico progressista è il Presidente di Taiwan, Chen Shui-bian. Le cose tornano alla normalità nel 2008 con l’elezione di un esponente del Guomindang, Ma Ying-jeou, attuale presidente. Chen, accusato di corruzione, finisce in carcere. Oggi Cina Popolare e Cina Nazionale si parlano e i comunisti sostengono il Guomindang, che, paradosso della storia, è diventato l’unico canale per la sognata riunificazione.

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