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Il futuro del Camerun

Un reportage dal paese col più longevo dittatore del mondo, senza nessun accenno di proteste e rivolte popolari, e con una nuova (finta) elezione alle porte

di Giona Salvati

Paul Biya è riuscito a rimanere al potere anche perché la macchina del consenso che si è costruito attorno è molto ben oliata e, quando si avvicina il pericolo delle elezioni, gli è sufficiente mettere le persone giuste al posto giusto. L’organismo governativo che si occupa delle elezioni (ELECAM), infatti, è gestito interamente dal CPDM e, secondo le leggi in vigore, non ha alcuna autonomia finanziaria. È praticamente una sede distaccata del Ministero dell’Amministrazione Territoriale e della Decentralizzazione (MINATD) e non può nemmeno dichiarare ufficialmente i risultati delle elezioni. Lo stesso MINATD, nel recente passato, è stato accusato di aver truccato i risultati delle elezioni a favore di Paul Biya. I principali partiti di opposizione – Social Democratic Front (SDF), National Union for Democracy and Progress (UNDP) e Cameroon Democratic Union (UDC) – hanno più volte provato a protestare, arrivando anche a boicottare le elezioni nel 1997, ma senza ottenere risultati.

Indipendenza e autonomia
Perché dunque non scendere in piazza e protestare contro il governo? Qui entra in gioco il secondo fattore, quello psicologicamente più forte. Il punto di vista del Camerun riguardo quanto accaduto nel 2011 in Medio Oriente e Nordafrica è molto diverso da quello radicato in Occidente. Parlando con molte persone, la convinzione più diffusa è che «se vuoi ottenere l’indipendenza da qualcuno, te la devi prendere da solo», e che in Nordafrica le rivolte siano state guidate o pilotate dall’estero. C’è molta diffidenza verso l’Europa, specialmente nei confronti della Francia che non ha mai smesso di gestire gli interessi nei suoi vecchi domini coloniali. Si dice spesso che in Camerun (ma anche in Costa D’Avorio e in molti altri Stati) “non si muova foglia che la Francia non voglia”. Di conseguenza non c’è alcuno stimolo a scendere in piazza e mettere in gioco la propria vita e il proprio lavoro per combattere una guerra civile considerata inutile. Una rivolta che porterebbe a un cambiamento soltanto nella forma ma non nella sostanza.

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Riguardo la Libia, per esempio, le idee che circolano sono molto chiare: come mai Gheddafi, che ha fatto comodo alle potenze occidentali fino a poco tempo fa, improvvisamente è diventato un nemico pericoloso da eliminare? Si parla soprattutto della proposta rete satellitare africana, che abbatterebbe i costi delle telecomunicazioni in Africa e su cui Gheddafi aveva molto investito. Gheddafi aveva investito molti soldi anche nell’Unione Africana e nella costituzione di una banca d’investimenti africana, di una banca centrale africana e di un fondo monetario africano, allo scopo di tagliare definitivamente il cordone ombelicale con l’Europa, in particolare con la Francia, e di cominciare a coniare una moneta diversa dal Franco CFA che permette a Parigi di continuare a mantenere la sua egemonia economica sull’area francofona del continente. Tutte ragioni per cui Gheddafi non era affatto visto male in Camerun, dove oggi molti pensano che le nazioni occidentali abbiano approfittato delle violenze sui manifestanti per liberarsi di un alleato diventato scomodo.

Il futuro del Camerun
Non fosse altro che per ragioni anagrafiche, il potere di Paul Biya attraversa le sue fasi finali. Quello che rimane, però, è un paese dalle istituzioni debolissime e disastrate, abituate a essere piegate alle esigenze personali del presidente. Le opposizioni e la società civile chiedono a gran voce di poter rinviare le elezioni di tre anni per impiegare questo tempo a varare delle riforme costituzionali che possano preparare il terreno a un dopo-Biya più democratico e più regolamentato. La richiesta più urgente e importante è quella di rendere ELECAM, l’ente governativo che si occupa delle elezioni, un ente indipendente e autonomo dalla politica. Difficilmente però queste richieste verranno accolte, perché il CPDM non ha alcun interesse a interrompere la sua egemonia sul paese.

C’è inoltre il problema di organizzare e finanziare le elezioni legislative e comunali che si terranno nel 2012: l’economia camerunense sta attraversando gravi difficoltà e le casse dello Stato non possono permettersi di organizzare tre tornate elettorali in sei mesi. Le elezioni legislative e municipali sono di solito fissate per il marzo successivo alle presidenziali, che di solito si svolgono a ottobre. Per far fronte a queste difficoltà si sta vagliando la possibilità di accorpare le tre consultazioni in una data unica, oppure di chiedere aiuto economico ad alcune fondazioni e sponsor internazionali, che però accetterebbero di intervenire solo nel caso in cui le elezioni avvenissero in una cornice di maggior legalità e trasparenza. L’ultima parola è nelle mani di Paul Biya, che si dice stia preparando da tempo la sua uscita dalla scena politica del Paese. I prossimi sessanta giorni saranno molto indicativi per il futuro di questo paese. Il Camerun farà di tutto per farcela da solo.

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