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Cosa resta del Lido di Venezia

E di Venezia: storia di quello che non sarà raccontato nei giorni dei divi in laguna

di Filippomaria Pontani

Perché al di là del Lido, Venezia è a tutti gli effetti una città assediata: dal mega-progetto noto come “Veneto-City”, o “Quadrante di Tessera”, che cementificherebbe con edifici privati e parcheggi (per quali abitanti?) 15 kmq di terra nella zona dell’aeroporto, a detrimento di arie, acque e luoghi, e a tutto beneficio di una speculazione edilizia che nemmeno in Albania. Dall’incombere di una “sublagunare” che sconcerebbe la laguna, le falde acquifere, e intere zone della città per poter creare una inaudita e pericolosa metropolitana sotto l’acqua. Dal progetto demenziale di una TAV che dovrebbe passare in trincea nella gronda lagunare, con i rischi evidenti per la stabilità di tutto il territorio (per ora è tutto fermo solo perché Trenitalia è in difficoltà, ma nessuno sembra chiedersi se non valga la pena di raddoppiare o migliorare le linee esistenti, né quali persone s’intenderebbe far viaggiare sui binari ultramoderni da Kiev a Verona, là dove attualmente il traffico è irrisorio. Dalle enormi navi da crociera che troneggiano verso sera nel Canale della Giudecca fino a sfiorare San Giorgio e Palazzo Ducale (la Venezia terminal passeggeri sta per costruire altre otto banchine, in vista di ulteriori 20-25 mila turisti al giorno). Dal ridicolo di una nuova “Venice Gateway”, mostruosa “porta monumentale” alla città (completa di alberghi e centri commerciali, che pensate) disegnata dall’architetto Gehry e pronta a costare 17 milioni di euro a tutto beneficio della SAVE, la famelica società di gestione dell’aeroporto che è a monte anche di Veneto City. Dallo stesso Mose, che sta compromettendo in modo irreversibile l’intero ecosistema della Laguna di Venezia in nome di un beneficio assolutamente incerto, e in spregio di soluzioni ben più economiche e sostenibili (le paratoie a gravità, per esempio) che però sfuggivano al controllo del potentissimo consorzio Venezia Nuova – il quale non a caso è in società con Mossetto e ha recentemente ricevuto per il Mose dal Comitatone ministeriale qualcosa come 630 milioni di euro (per capire le proporzioni: per la manutenzione ordinaria di Venezia il sindaco Orsoni pare sia riuscito a spuntare, dopo un’epica battaglia, 50 milioni in due anni).

Nonostante (o forse proprio a causa di) molti anni di amministrazione di centrosinistra, ora come non mai la città sembra in mano alle lobbies private dei costruttori, la mano pubblica ha perso voce in capitolo salvo la facoltà di accondiscendere compiacente a una serie di “interventi per la valorizzazione e lo sviluppo” (quasi sempre legati a un facile immobiliarismo) e di “eventi” (parola magica che assessori, rettori e consigliori pronunciano ormai quotidianamente, fiaccando la resistenza di quanti preferirebbero che tanto le strutture cittadine garantissero piuttosto un decoroso funzionamento ordinario). Tutto è volto a monetizzare il capitale di prestigio che Venezia indiscutibilmente possiede sul piano internazionale: e così si fa cassa con i cartelloni pubblicitari che da anni ormai coprono Piazza San Marco e il Ponte dei Sospiri, si manda un elicottero turistico a sorvolare la città per consentire le foto dall’alto (lo stesso avviene sulle cascate del Niagara); e ora anche Benetton – già beneficato dal costosissimo (e oggi pericolante) Ponte di Calatrava – intende realizzare un luccicante megastore nel Fontego dei Tedeschi, là dove fino all’anno scorso c’erano le Poste centrali, e dove 500 anni fa si esibiva un giovane Giorgione (la Marca Trevigiana ha sempre esportato molto, a Venezia).

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Il tutto mentre la vera tragedia veneziana latita sullo sfondo: Marghera, dopo la fine della chimica, vive da anni un presente incerto e un futuro grigio, nella neghittosità delle amministrazioni che dovrebbero bonificarla (prospettiva di per sé teoricamente vantaggiosa, visto che il territorio è comunque ben urbanizzato, con strade, fogne e ferrovie, a differenza della campagna di Tessera); e nell’attesa messianica della realizzazione di una piattaforma off-shore per navi petroliere e transoceaniche (sic), di cui proprio l’ex polo chimico sarebbe la base in terraferma (ma non si sa bene dove trovare i 1,5 miliardi per la realizzazione di questo mastodonte, tutti – sembra – a carico dei privati; anzi, nessuno sa nemmeno dove trovare i 100 milioni urgenti per la bonifica urgente). Il tutto mentre la Regione smarrisce perfino i soldi per finanziare il diritto allo studio nelle tre università del Veneto, ma è condannata dai giudici a pagare decine di milioni come risarcimento alle imprese per passati errori di progettazione o di valutazione (il lodo Astaldi; la metropolitana di superficie): tutte graziose eredità di Galan, il quale dopo tanti galloni maturati in Veneto è stato promosso a ministro, addirittura dei Beni culturali.

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