Che cosa è (e cosa non è) il movimento No TAV

Secondo Irene Tinagli le proteste non hanno a che fare col "vento che cambia", bensì con una antica piaga italiana

Il commento di Irene Tinagli, economista e docente universitaria, alle proteste di questi giorni – e di questi anni – in Val di Susa contro la costruzione di una ferrovia ad alta velocità.

Tra le tante strumentalizzazioni e ambiguità che in questi giorni hanno accompagnato le proteste del movimento No Tav colpisce soprattutto quella di chi vuol far passare la ribellione in Val di Susa come parte di una nuova coscienza civile che si sveglia in Italia, di un vento che ha iniziato a soffiare con i referendum e le amministrative.

Vento nuovo? Al di là dell’ovvia osservazione che le proteste contro la Tav hanno ormai radici decennali, ciò che queste vicende fanno riemergere è, al contrario, una delle piaghe più antiche della vita sociale, politica ed economica italiana.

Un Paese in cui ogni progetto, visione o investimento che travalichi i confini geografici e temporali del qui e adesso si scontra con un mostruoso mosaico di opposizioni particolari. Interessi e prospettive non solo incapaci di coagulare in una visione congiunta di bene comune, ma spesso foraggiati e incoraggiati dagli stessi politici che quella visione unitaria dovrebbero invece contribuire a ricomporre. Un Paese quindi perennemente imprigionato nei localismi, nel «fate quel che vi pare, ma non a casa mia», il Paese in cui tutti puntano il dito contro tutti ma nessuno è mai disposto a mettere in discussione i propri piccoli grandi interessi, dai deputati agli allevatori di mucche, dai ministri ai tassisti.

Il Paese dove i rifiuti traboccano inondando interi paesi, ma dove nessuno vuole un inceneritore, un Paese dove l’energia costa il 35 per cento più che altrove, stroncando la competitività delle imprese, ma dove è impossibile fare un piano energetico di qualsiasi tipo. Un Paese iper-cementificato, ma dove gli avversari della cementificazione gridano inorriditi all’idea di un grattacielo che da solo potrebbe sostituire centinaia di bifamiliari con giardinetto, restituendo all’ambiente chilometri di terra libera.

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