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Quando si può fare la guerra

Ezio Mauro e Gustavo Zagrebelski sulle democrazie e le guerre giuste

GZ: Certo che sì. Ma allora dobbiamo chiederci perché questa proposta non piace a tutti. Sarebbe facile la risposta, se il rigetto venisse soltanto da autocrati, despoti, oppressori del più vario tipo. Diremmo semplicemente ch’essi sono contro la democrazia perché sono per la loro autocrazia, il loro dispotismo, il loro potere oppressivo. È così ma, purtroppo, non solo così. Il fatto è che la nostra democrazia, la democrazia dell’Occidente, presenta caratteristiche che non piacciono affatto anche alla gente comune. Propone forme di vita quotidiana che a noi sembrano libertà e a loro sembrano violenza: violenza alla loro identità. Ritorneremo sul concetto d’identità. Qui, basta dire: violenza alle loro tradizioni di vita comunitaria ch’essi non necessariamente considerano oppressive ma, al contrario, protettive. Per esempio: la nostra democrazia si basa sull’individuo o sulla persona, come meglio si voglia dire, e sui suoi diritti prevalenti sulla comunità. Ci sembra ovvio. Ma il primato dell’individuo, abbattendo le barriere culturali comunitarie da cui gli individui di gruppi più deboli sono pur sempre protetti sul lato esterno, può creare quella superficie tutta liscia sulla quale scorre l’omologazione illimitata degli esseri umani e li trasforma in informe umanità. Per l’islam può esserci una percezione di questo tipo, può esserci il timore che la nostra democrazia distrugga il loro modo di vita comunitario. Quello che per noi è liberazione, per esempio dall’oppressione della componente maschile su quella femminile della vita comunitaria, per altri può essere violenza. È difficile da ammettere dal nostro punto di vista, ma dal loro può essere così. Altro esempio: la democrazia dell’Occidente è, inutile negarlo, la forma di governo della parte ricca del mondo, quella che l’economia capitalistica ha reso ricca. Almeno così è stato storicamente. Noi diciamo: democratizzatevi e vi arricchirete anche voi. Ma loro dicono: vi siete arricchiti sullo sfruttamento nostro, delle nostre risorse, dei nostri popoli e state continuando a distruggere le nostre culture. Non saranno più le forme del colonialismo e dell’imperialismo d’un tempo, ma la storia continua con i regimi che ci opprimono col sostegno dell’Occidente democratico. E, anche se la vostra democrazia ci promette maggiore benessere materiale, il sistema economico su cui si basa distrugge il nostro patrimonio morale. Non è il vostro benessere, quello che ci interessa.

Qui non importa dove stiano la ragione e il torto. Importa il fatto che il nostro essere Occidente è visto come portatore di veleni distruttivi ai quali noi per primi dovremmo cercare di porre rimedio. In altri termini, la democrazia come valore universale presuppone molti atti di contrizione da parte nostra per cercare di liberarla da una storia di compromissione col dominio politico, economico e culturale. Non dovremmo stupirci se la nostra democrazia a qualcuno appare un regime odioso, che avvelena proprio la vita quotidiana. Noi dobbiamo difenderci, non c’è dubbio. Ma dobbiamo anche interrogarci. L’Occidente come ideologia ha tanti acritici corifei, ma è un’ideologia di guerra. Abbiamo bisogno di capire quello che, oggi, è l’altro, cioè il mondo islamico e, contemporaneamente, abbiamo bisogno di comprendere noi stessi, in tutti i nostri aspetti, anche quelli che non sappiamo o vogliamo vedere. Del resto, se rileggiamo il grande discorso che Barack Obama ha tenuto all’Università del Cairo il 4 giugno 2009 – il «discorso della mano tesa» o «del nuovo inizio» – non vi troviamo chiaramente espressa questa necessità? Fino a qualche decennio fa, la grande divisione era tra l’Occidente democratico e l’Oriente totalitario. Libertà contro il «dispotismo orientale» che si riproponeva nella forma dei regimi comunisti*. Oggi un nuovo contrasto è in atto. Si corre il rischio di sostituire l’islam al comunismo.

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Tu, poi, ti stupisci degli atti di violenza portati alla normalità della vita nelle nostre società? A me non sembra che ci sia molto da stupire, perché ciò contro cui i terroristi agiscono è, sì, un potere che avvertono come nemico, ma ancor prima è la corruzione della loro concezione della vita quotidiana, che sentono insidiata da modelli per loro inaccettabili.

EM: Un conto sono i modelli astratti, un altro conto è la libertà concreta. Vedi, io capisco che spesso non siamo credibili come Stati, come governi e Paesi, per le nostre politiche e le nostre incongruenze. Ma la democrazia, i suoi principî, i suoi diritti e le sue libertà? Io mi sono sempre interrogato, con molta inquietudine, sui terroristi islamisti di seconda generazione. Vorrei sapere se anche tu hai la medesima inquietudine. Com’è possibile, mi domando da anni sul mio giornale, che ragazzi nati a Londra, cresciuti nella civiltà europea, abituati al cosmopolitismo metropolitano e al multiculturalismo quotidiano, scelgano di inabissarsi nel loro passato familiare retrocedendo a una cultura di morte piuttosto di vivere la libertà quotidiana, che molto semplicemente ti permette di studiare, di lavorare, di frequentare la moschea, di scegliere l’ultimo romanzo in libreria, di parlare con una ragazza al pub, di andare a vedere l’Arsenal in curva? Dunque la democrazia non ha una sua naturale, autonoma e spontanea capacità di attrazione, di conversione, e quindi di immunizzazione e di garanzia? O forse siamo noi occidentali che non abbiamo la capacità di testimoniare la democrazia rendendola credibile, e dunque non sappiamo conquistare altri alla libertà in cui crediamo? E qui nasce la domanda capitale: contro cosa combattono coloro che ci attaccano? Perché siamo diventati loro nemici noi, l’Occidente che ha vinto, i Paesi liberi, le buone vecchie democrazie, gli Stati di diritto liberali? In una parola, chiediamoci che cosa ci lega alla parte oscura del mondo, e rovescia la nostra civiltà in qualcosa da annientare. È una domanda a cui siamo impreparati. Faticosamente, la democrazia proprio qui in Europa è riuscita a fuoruscire dalle ideologie che hanno messo a ferro e fuoco il continente minacciando il mondo, ed è prevalsa con la convinzione di aver compiuto la storia, affermando un modello finalmente universale, l’unico sopravvissuto dopo lo scontro con i totalitarismi. La guerra fredda è finita con la caduta del Muro e dell’Urss, quindi abbiamo pensato, alla fine, che la democrazia non solo avesse vinto, ma che fosse diventata cultura condivisa, egemone. E che dunque potesse aprirsi un periodo di tregua ideologica, con il sistema complessivo capace di governare crisi, lotte e antagonismi dentro il modello culturale democratico, senza più doversi difendere da una sfida e da una minaccia a quel modello.

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