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  • Venerdì 20 maggio 2011

La breve vita felice di Luca Crescente

Il nuovo libro di Roberto Alajmo, una biografia che valeva la pena raccontare

Roberto Alajmo, giornalista e scrittore, ha scritto un libro particolare su una storia particolare, quella della breve vita del magistrato Luca Crescente. Anzi “la breve vita felice di Luca Crescente”, come dice il sottotitolo del libro, che si chiama “Tempo Niente” (Laterza). La genesi di questa biografia la racconta Alajmo stesso nell’incipit del libro, composto in parte di ricostruzioni e in parte di testimonianze dirette di chi conobbe Crescente e di sua moglie Milena Martino.

Questa storia non ha la pretesa di essere particolarmente originale. Come molte storie comincia con una telefonata. La telefonata di un amico. L’amico non è di quelli che chiamano senza motivo. E difatti anche questa telefonata prende subito una piega operativa:
– Voglio proporti di scrivere un libro. – Un libro, nientemeno. – Un libro. Un libro è un libro, ti porta via un sacco di tempo e di
energie. Ma anche l’amico è un amico. Devi almeno stare a sentire di cosa vuole parlarti. Di fronte alla richiesta di qualche dettaglio in più, ti chiede se conoscevi Luca Crescente.
Non personalmente. Ne avevi sentito parlare, e la notizia della sua morte ti aveva colpito a distanza, mentre eri ancora in vacanza, nella torrida estate del 2003. Quel genere di morti estranee che ti colpiscono durante la lettura mattutina del giornale, ma solo di striscio, chiedendo in cambio una velatura di misericordia, dopodiché si passa alla pagina degli spettacoli. In quel caso c’era stato un retropensiero. Un magistrato di prima linea morto improvvisamente: c’è qualcosa sotto. Ma indagare toccava a qualcun altro, e da allora non se ne era saputo più niente. Amen.

*****

Era entrato in magistratura poco prima delle stragi del ’92. Erano mesi cocenti, in cui si respirava la sensazione diffusa di trovarsi di fronte a un cambiamento epocale. Anche dopo le stragi, malgrado il tormento, la reazione convinta della società civile lasciava uno spiraglio di speranza. Le stragi stesse potevano essere lette come gli spasmi del vecchio sistema di potere che coi suoi ultimi colpi di coda ancora riusciva a seminare morte. Ma stava per finire, forse.
Rinunciando alla carriera di avvocato per affrontare il concorso in magistratura Luca Crescente era convinto di dare un contributo per migliorare la Sicilia. Messa così appare retorica, e negli anni l’opinione pubblica ha maturato una forma di narcotizzazione a queste forme di retorica. La famosa gente comune non ne può più di sentir parlare dei sacrifici degli eroici magistrati: in fondo è dal ’92 che non ne salta in aria nessuno. Quando Luca Crescente parlava della sua scelta di fare il giudice, però aggiungeva:
– Per i miei figli, innanzi tutto.
Lo aveva anche scritto, da qualche parte. Ecco: se proprio non si riesce a concepire un altruismo incondizionato, si può forse accettare questa forma di egoismo per interposta persona, il cui scopo è migliorare il mondo per garantire un habitat migliore ai figli, questa propaggine di noi stessi che proiettiamo verso il futuro. Scriveva: «È necessario che ciascuno di noi si faccia carico di costituire o partecipare a nuclei, piccoli o grandi che siano di difesa civica dei diritti e doveri dei cittadini per contribuire all’affermazione di nuovi progetti di comunità e di governo. Intendo associazioni, coordinamenti cittadini, movimenti fondati spontaneamente contro l’ingiustizia, ove si lotti la perversa pratica del voto di scambio, ove si avversi l’illegale prepotenza dei potentati, ove ci si impegni sui grandi temi della cittadinanza negata, mobilitando e coinvolgendo direttamente la gente, ove ogni cittadino partecipi direttamente, anche attraverso il libero esercizio del proprio dissenso, alla progettazione della democrazia futura, fondata sulla giustizia sociale. Ogni essere vivente deve fornire quell’apporto di cui è capace, perché per quanto piccolo e parziale, quell’apporto è pur sempre contributo importante di miglioramento della società: perché non è possibile sprecare quelle virtù che Dio ci ha donato».
E ancora: «Quando riflettiamo sulla nostra vita con approccio critico, quando pensiamo ai nostri peccati, pensiamo alle azioni che non avremmo dovuto compiere. Non pensiamo mai alle omissioni. Non pensiamo mai a quel che avremmo potuto fare e invece non abbiamo fatto».

Luca Crescente non rinunciava a esercitare quel minimo potere di influenza sulla formazione delle coscienze che nel suo ruolo poteva consentirsi. Spesso interveniva a dibattiti di carattere spiccatamente giuridico, ma anche qui, a un certo punto, sapeva aprire lunghe parentesi di passione. In uno di questi incontri aveva fatto una digressione per parlare di un libro che l’aveva molto colpito: Il «crucifige!» e la democrazia, di Gustavo Zagrebelsky. Si era messo a riflettere a voce alta, quasi a braccio: «La folla che condanna Gesù è una folla cosciente? È una folla critica? È una folla che ha riflettuto sulle conseguenze delle sue scelte? Ma non era la stessa folla che cinque giorni prima aveva acclamato trionfale l’ingresso di Cristo a Gerusalemme? È una folla bruta. Una folla che non si interroga. Una folla che ha devoluto ad altri la scelta. Una folla suggestionata, istigata dal Sinedrio, che manda a morte quello stesso uomo che aveva esaltato, per esempio, in occasione del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Parlare del processo a Gesù ci consente di fare alcune riflessioni sullo stato della democrazia in Italia, e sui pericoli che la democrazia nel mondo può correre. Io ritengo che oggi, specialmente in Italia, si tenda sempre di più verso forme di democrazia diretta, urlata. Lo dico non perché io sia in assoluto contrario alla democrazia diretta, ma perché questa forma di democrazia si presta a scelte non meditate. E invece ogni scelta, in democrazia, deve essere meditata. Io credo che ci sia il rischio di arrivare a forme di democrazia dogmatica. Oggi si tende sempre di più a manipolare la coscienza della gente. Che cosa sono i sondaggi? I sondaggi servono a far esprimere la gente comune su argomenti che avrebbero bisogno di una riflessione approfondita. Non è pensabile che determinate scelte vengano affidate sic et simpliciter all’umore della folla. Sono scelte che toccano a persone competenti, quelle persone che noi cittadini abbiamo eletto perché si occupino della pubblica amministrazione. Oggi invece si riscontra la tendenza a scavalcare la rappresentanza delle istituzioni. Si tende all’esaltazione plebiscitaria di un capo carismatico. Quante volte in questi anni ci siamo trovati di fronte al caso di un leader politico che si fa forte di sondaggi per legittimare delle scelte sulle quali non ha un mandato popolare pieno? Succede allora che venga spacciato per interesse della collettività quello che invece è l’interesse di una minoranza organizzata di cittadini, che impongono le loro scelte in maniera formalmente democratica ma invece, di fatto, autoritaria».

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Sostiene Milena Marino che il loro amore aveva attraversato gli anni senza subire lesioni. Era intatto. Quasi le scappa di dire: eterno. Di sicuro, sopravvissuto alla routine di quasi dieci anni di matrimonio, più quelli di fidanzamento, e in procinto di affrontare l’eternità. In effetti, risulta palese che lei è ancora oggi innamorata del marito. Il fatto che sia morto costituisce una sciagura, certo; ma irrilevante ai sensi del procedimento sentimentale in corso, per usare una parafrasi giudiziaria. Per Milena Marino è come se suo marito dovesse da un momento all’altro materializzarsi nuovamente alla porta. Come se ancora ogni sera occupasse un posto in tavola. Come se il loro amore fosse tutt’ora pienamente condiviso. Sostiene di essere innamorata come il primo giorno, e che i piccoli dissapori quotidiani si squagliavano facilmente, al caldo della loro erotica complicità. E dunque lei conferma: amore tendenzialmente eterno.
Tu, col suo permesso, continui a non crederci. Credi che sia possibile continuare ad amare una persona che non c’è più, per quanto il dolore a un certo punto debba risultare intollerabile, ma comunque non come se fosse ancora viva. È un file del computer che si riapre anche spesso, che si tiene sul desktop della propria vita: fermo restando che però bisogna andare avanti, aprire nuovi file, scaricare nuovi programmi e lavorare su quelli.
Ancora a monte, la verità è che tu non credi all’amore eterno. Credi a una sequenza di amori eterni, ognuno dei quali, a un certo punto, dà l’impressione di essere eterno. Addirittura, in certi casi, eterno è veramente. Ma solo se si intende, paradossalmente, la parola eterno in senso momentaneo. Un eterno relativo.
Le storie che conosci tu sono storie tortuose, tormentate, fatte di ripicche e ripensamenti. Liti continue e rappacificazioni. Milena Marino invece vorrebbe farti credere che con suo marito le cose filavano perfettamente da quattordici anni. E continuano a filare anche ora.
Quattordici anni. C’è gente che si sposa tre volte, in quattordici anni.
Il rischio è di trasformare Luca Crescente in un modello inarrivabile, privo di difetti, da ammirare incondizionatamente, ma senza che nessun comune mortale possa sognarsi di imitarlo. Mettere qualcuno sul piedistallo è pericoloso. Significa trasformarlo in un eroe, e gli eroi esulano dalla vita quotidiana. Ne sono esenti e allo stesso tempo esimono il resto dell’umanità dalla loro sfera di perfezione. Sono un alibi perfetto, perché agli eroi viene delegato tutto il lavoro più difficile, quello a cui le persone normali non possono nemmeno approssimarsi. Gli altri, al massimo, possono fare il tifo. E non sempre. In ogni caso, dopo, il retropensiero comune è: «Se non ce l’ha fatta lui…».
Luca Crescente, anche in questo, rischia di rappresentare l’eccezione che conferma la regola. Oltre che magistrato era anche uomo e cittadino. E per i normali cittadini la regola comune è che con certe realtà bisogna venire a compromesso. L’ha detto anche un ministro della Repubblica, una volta. Questi sono messaggi che da Roma vengono lanciati e a Roma si dimenticano. Ma quando arrivano in Sicilia si scolpiscono per sempre nella mentalità comune, rimangono ad avvelenare le fonti della coscienza civile per anni e anni, come una fuga radioattiva invisibile, che si fa evidente nelle malformazioni genetiche trasmesse da una generazione all’altra. Siamo (quasi) tutti imperfetti, e dunque dobbiamo convivere anche con le carenze del contesto che ci troviamo ad abitare. Era a questa logica che Luca Crescente si ribellava: alla logica del così fan tutti.
Ma è anche vero che per te – ora, a posteriori – la sua intransigenza è un problema. Così come è un problema l’inarrivabilità del suo modello esistenziale. L’ideale sarebbe che venisse fuori un suo difetto, uno spigolo caratteriale, una anche minuscola meschinità, un momento di debolezza. Non necessariamente un’amante, un figlio segreto, un vizio inconfessabile. Basterebbe una piccola crepa in questo muro di perfezione per renderlo più umano, fare spiccare per contrasto le sue qualità e quindi trasformare la sua figura in un modello accessibile di comportamento per tutti.

(foto: Agrigento Oggi)