Ouattara proclamato presidente della Costa d’Avorio

Dopo aver “fatto proprie” le decisioni “vincolanti” dell’Unione Africana (UA) che aveva riconosciuto Ouattara come nuovo presidente e pressava Gbagbo a lasciare il potere, giovedì 5 maggio il Consiglio costituzionale ha proclamato Ouattara presidente. Con queste parole, Paul Yao N’Dré, presidente del supremo organo giurisdizionale, precisa che essendo la Costa d’Avorio membro dell’UA, “le norme e disposizioni internazionali accettate dagli organi nazionali competenti hanno un’autorità superiore a quelle delle leggi e decisioni giurisdizionali interne”.

Ad un mese circa dall’arresto di Gbagbo avvenuto nel bunker della residenza presidenziale ad Abidjan lo scorso 11 aprile, il Consiglio torna sui suoi passi e pone fine a qualsiasi dubbio circa il legittimo vincitore delle elezioni presidenziali. Si ricordi, infatti, che a seguito del ballottaggio del 28 novembre, i risultati annunciati dalla CEI (Commission Electorale Indepandante) assegnavano la vittoria a Ouattara con il 54,1%. Ma il giorno dopo, il 3 dicembre, il Consiglio aveva ribaltato il verdetto confermando Gbagbo presidente con il 51,45% dei suffragi.

Ouattara, sebbene riconosciuto come legittimo vincitore dalla missione ONU in Costa d’Avorio (ONUCI) e dalla comunità internazionale, anche dopo l’arresto di Gbagbo non poteva contare su una solida base legale al suo mandato. Secondo la Costituzione ivoriana, infatti, in caso di impedimento occorso al presidente in carica, questi sarebbe sostituito dal presidente dell’Assemblea legislativa.

Venerdì 6 maggio, quindi, Ouattara ha finlmente prestato giuramento presso il Palazzo presidenziale di Abidjan. Intanto, sabato 7 maggio a Korhogo, nell’estremo nord del paese dove è detenuto, Gbagbo è stato ascoltato dal Procuratore generale della Repubblica nell’ambito dell’inchiesta in cui è accusato di crimini, atrocità, concussione e incitamento all’odio. Le indagini coinvolgono circa 200 fedelissimi dell’ex-presidente che hanno ricoperto incarichi di responsabilità durante le violenze post-elettorali in quella che risulta essere la più grave crisi ivoriana sin dall’indipendenza e che, secondo le stime delle autorità, avrebbero causato almeno 3.000 morti e circa un milione di rifugiati. Quanto ai crimini contro l’umanità, perpetrati in maniera “sistematica e generalizzata” nell’ovest del paese con il coinvolgimento delle FRCI (Forces Republicaines de Cote d’Ivoire), la Corte Penale Internazionale conta di aprire presto un’inchiesta ed é possibile che tra gli indagati vi sia anche Ouattara.

Il lento ritorno alla normalità e la Commissione Dialogo, Verità e Riconciliazione
Dopo l’arresto di Gbagbo, Alassane Ouattara, già vicedirettore del Fondo Monetario Internazionale, ha potuto contare sull’immediata revoca delle sanzioni da parte dell’Unione Europea, sulla riapertura del porto di San Pedro, sullo sblocco degli assets bancari e finanziari e su altre misure necessarie per sostenere la ripresa. Dal punto di vista politico e istituzionale, invece, Ouattara e il potente primo ministro Guillame Soro si sono affrettati a rimpiazzare esponenti dell’ancien regime mettendo propri uomini nei posti chiave. Tra le varie nomine, spicca quella del giornalista Venance Konan alla direzione del quotidiano Fraternité Matin mentre si attende con palpitazione il nuovo Capo di Stato maggiore.
La settimana scorsa, in occasione della visita in Costa d’Avorio di tre illustri mediatori – Kofi Annan, Desmond Tutu e Mary Robinson –, è stata lanciata la Commissione Dialogo, Verità e Riconciliazione, che tratterà le principali problematiche che da due decenni condizionano uno sviluppo armonioso della vita socio-politica del paese: la questione della nazionalità e dell’ivorianità, l’immigrazione, i conflitti terrieri e le violenze che si sono succedute a partire dalle elezioni del 2000 (anno di insediamento al potere di Gbagbo).

Un’operazione strategicamente perfetta: la guerra di Libia e la risoluzione della crisi ivoriana
A margine della risolutiva decisione del Consiglio costituzionale, vale la pena sottolineare la caparbietà di Ouattara che ha trascorso quattro mesi rinchiuso all’Hotel du Golf di Abidjan tra lobbying internazionale e attesa del momento fatidico. Il trascorrere del tempo sembrava un elemento a favore di Gbagbo. Ma grazie alla fermezza mostrata dalle Nazioni Unite (precedente importantissimo per le altre operazioni di peacekeeping e per il rilancio della credibilità del ruolo dell’ONU) e dalla comunità internazionale – in particolare UE, Francia, Stati Uniti e Nigeria -, è arrivato l’evento che ha sbloccato la crisi ivoriana: la guerra di Libia e la risoluzione 1975 del Consiglio di sicurezza.

Una volta avviata la campagna di Libia, contro chi riteneva che il mondo si sarebbe presto distratto dalla Costa d’Avorio, impeccabile è stata la scelta tempistica delle FRCI – sicuramente ben consigliate e ben attrezzate – che in una settimana sono scese dai bastioni del nord fino ad Abidjan assediando Gbagbo e le FDS rimaste a lui fedeli. Francia e ONU, a questo punto, si sono fatte trovare pronte a sostenere “con tutti i mezzi” l’azione armata mirata al ripristino della legalità e alla protezione delle popolazioni civili afflitte dalla crisi, pervenendo all’arresto di Gbagbo.