I dati del Tom Tom ceduti alla polizia olandese

Che li usa per piazzare gli autovelox nei posti giusti: la società che produce il navigatore confessa e chiede scusa

Stamattina su Repubblica Jaime D’Alessandro racconta la storia dei dati del navigatore GPS Tom Tom ceduti dalla società che lo produce alla polizia stradale olandese.

Le scuse cominciano con un’autodifesa: «Chiediamo sempre il permesso ai nostri clienti prima di raccogliere dati attraverso i loro navigatori». La olandese TomTom, che da anni domina il settore dei dispositivi gps, cerca così di mitigare la propria incredibile leggerezza.
Ultima di una lunga serie commesse da giganti della tecnologia e legate all’utilizzo poco ortodosso di informazioni sensibili sulle abitudini dei consumatori. I fatti: il quotidiano Algemeen Dagblad ha scoperto che la polizia olandese sta sfruttando i dati forniti al governo dalla TomTom per piazzare gli autovelox lì dove i limiti di velocità sono più frequentemente violati. E questo, ovviamente, ha fatto infuriare gli automobilisti. Perché sono informazioni che loro stessi hanno fornito di fatto inconsapevolmente usando il navigatore e che la TomTom poi adopera per dare ai propri clienti in tempo reale un quadro esatto della situazione del traffico.
Peccato che l’azienda abbia anche venduto quegli stessi dati ad istituzioni olandesi e che la polizia li sfrutti per far cassa attraverso le multe. «Siamo venuti a sapere solo ora che la polizia ha usato le nostre informazioni in questa maniera», si è giustificato Harold Godjin, amministratore delegato della TomTom. «E non ci piace perché non piace ai nostri clienti».
Ma la frittata ormai è fatta e i sospetti aumentano. Secondo il Financial Times, la compagnia olandese per fronteggiare il calo delle vendite dei navigatori, sta puntando proprio sulla vendita di servizi che vanno dalle semplici mappe al dettaglio sul traffico. Business che già oggi vale il 36 per cento dei ricavi della TomTom. Ma i diretti interessati qui da noi minimizzano. I guadagni derivanti dalla vendita di database ad enti pubblici sarebbero parte marginale di quel 36 per cento.

(continua a leggere su Repubblica.it)