I soldi dell’Aquila

I "miliardi teorici" stanziati per la ricostruzione e che non si capisce dove siano: un articolo del Sole 24 Ore sulla situazione, pessima

A barrier blocks the entrance the entrance in a street of destroyed buildings on the day of the first anniversary of the earthquake that devastated the city of L'Aquila and killed 308 people on April 6, 2010. The centre of the medieval walled city is still a picture of desolation, with most of it designated an off-limits "red zone" because of the dangerous state of the buildings and the rubble-strewn streets. AFP PHOTO / MARIO LAPORTA (Photo credit should read MARIO LAPORTA/AFP/Getty Images)
A barrier blocks the entrance the entrance in a street of destroyed buildings on the day of the first anniversary of the earthquake that devastated the city of L'Aquila and killed 308 people on April 6, 2010. The centre of the medieval walled city is still a picture of desolation, with most of it designated an off-limits "red zone" because of the dangerous state of the buildings and the rubble-strewn streets. AFP PHOTO / MARIO LAPORTA (Photo credit should read MARIO LAPORTA/AFP/Getty Images)

Paolo Bricco racconta oggi sul Sole 24 Ore qual è la situzaione della ricostruzione all’Aquila, perché non passi la diffusa percezione che “tutto è risolto”.

«Ascoltami, Anto’. Se tu fai mettere due euro per visitare il santuario, fanno 40mila d’incasso all’anno. Solo dal Canada, ne arrivano mille. Quelli sono molto devoti», spiega al suo commensale il prete mentre beve un bicchiere di vino rosso. All’altro tavolo, un quarantenne sbrana il piatto di maccheroni alla pecorara e dice a due commensali che annuiscono in silenzio: «Qui non c’è niente da fare. L’ultima fattura ho impiegato sei mesi a incassarla».
All’Aquila, a due anni dal terremoto, è così. Tutti parlano di soldi. Soldi che dovrebbero esserci, che chissà forse ci sono, che mannaggia non ci sono. Il 6 aprile del 2009 il sisma ha distrutto la città. Da allora L’Aquila è sotto una cappa di vetro e di polvere. Immobile. Ferma. Un’immagine antitetica rispetto all’attivismo febbrile dei mesi successivi alla tragedia, quando l’adrenalina della prima ricostruzione evitò agli aquilani di affrontare le rigidità dell’inverno nelle tendopoli.
La crisi economica internazionale non ha aiutato la città a risollevarsi. Ma ci sono cose che c’entrano poco con i mercati internazionali. I fondi erogati per ricostruire L’Aquila, per esempio. «Rappresentano una specie di giallo contabile», dice Luca Bianchi, vicedirettore dello Svimez, che su richiesta del Sole 24 Ore si è esercitato in un calcolo che oggi definisce impossibile. «L’unico elemento sicuro – continua Bianchi – sono gli 1,2 miliardi stanziati sull’emergenza dal Governo, a cui vanno aggiunti i 494 milioni messi a disposizione dall’Unione Europea».
Ci sarebbe poi un’altra cifra compresa fra i 2 e i 4 miliardi in carico al Fas, il fondo che contiene le risorse per il Sud. «Sono miliardi teorici – rileva Bianchi – di cui non si riesce ad appurare il reale utilizzo. Colpisce l’assenza di una cabina di regia in grado di monitorare quante risorse siano davvero finite all’Aquila per la ricostruzione».
Invece, le famiglie dei bambini dell’asilo di suor Daniela sanno bene quanti soldi mancano a casa. «Fino a febbraio abbiamo fatto pagare 90 euro sia per la retta che per la mensa, adesso da marzo siamo tornati a 160, perché i nostri conti non reggevano. Chi non può permetterselo, però, non paga», dice suor Daniela, doppia laurea in teologia e in economia, membro del direttivo di Confindustria L’Aquila.

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