Sul Discorso del Re

Il Guardian si è chiesto come mai la monarchia inglese piaccia tanto agli americani, e altre cose sul film favorito agli Oscar

Presseurop ha tradotto l’analisi di Jonathan Freedland su uno dei film favoriti agli Oscar di quest’anno – “Il discorso del re” – pubblicata dal Guardian.

In questa stagione contrassegnata dai premi cinematografici, vale la pena ricordare qualcosa a chi recita: se non hai interpretato un personaggio che si trova in particolari difficoltà a causa di una disabilità o di una malattia mentale, che non ha una storia di abusi alle spalle e/o un accento straniero, o non è almeno omosessuale, l’Oscar te lo puoi scordare.
Ma c’è una sottocategoria, un piccolo consiglio destinato agli attori britannici: la strada per l’Oscar passa anche per Sandringham, Windsor e la lussuosa zona sud di Londra. In pratica, un britannico che aspiri alla statuetta deve interpretare un monarca o, come minimo, un aristocratico. Che si tratti di Helen Mirren nei panni della regina o di Julian Fellowes in Gosford Park, la chiave per il successo è il sangue blu.
Ultimo a trarre giovamento da questo fenomeno è Il discorso del re, probabile candidato alla notte degli Oscar. Perché gli americani continuano ad ammirare questo genere? Anche uno psicologo dilettante desumerebbe che si tratta di un caso di proiezione collettiva: gli americani prendono un aspetto di sé che non amano – in questo caso le gerarchie e la differenza di classe sociale – e lo proiettano su qualcun altro, in questo caso i britannici.
Rigidi confini di classe non possono esistere in America, ma esistono nel Regno Unito. In base a questo criterio, quindi, la Gran Bretagna diventa la patria dell’ineguaglianza e dell’immobilità sociale, mentre gli Usa ne escono indirettamente migliori. Non stupisce, quindi, che gli americani applaudano: una favola del genere li lusinga, dimostrando quanto siano avanti rispetto agli ex dominatori coloniali.

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