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  • Lunedì 13 settembre 2010

Le cose che Obama ha sbagliato

Newsweek tenta di fare ordine tra le critiche e gli errori di cui è accusato il presidente statunitense

La lenta e continua discesa della popolarità di Barack Obama tra gli americani ha accompagnato le notizie dell’ultimo anno, ed è destinata a diventare negli Stati Uniti il principale tema di discussione quando, passate le elezioni di metà mandato, si aprirà ufficialmente la campagna elettorale in vista delle presidenziali del 2012. Che un presidente e il suo partito perdano popolarità in questa fase del mandato è cosa frequentissima e non sorprende: e i dati sulla popolarità di Obama non si discostano da quelli di molti illustri ex presidenti a questo punto del loro mandato.

È inevitabile però che per Obama il discorso sia in qualche modo differente, visto che a differenza di molti suoi predecessori l’attuale presidente americano è stato eletto sulla base di esigenti aspettative in una fase di grande difficoltà da parte degli Stati Uniti. Dal punto di vista dell’analisi politica, il fatto che queste aspettative siano state o no soddisfatte è oggetto di discussione, ed effettivamente non si può dire che in questi due anni Obama abbia fatto poco: il pacchetto di stimolo all’economia, la riforma sanitaria e la riforma finanziaria sono già da sole leggi di tale importanza e impatto che molti presidenti del passato non sono riuscite ad approvarle nell’arco di due interi mandati. Rimane però il crollo dei consensi, e prendersela con gli elettori è fine a se stesso: nessun uomo politico può evitare di porsi il problema del consenso degli elettori, anche se pensa di avere ragione. E quindi commentatori e analisti hanno iniziato a fare il punto della situazione su questi due anni, nel tentativo di capire quali errori hanno fatto Obama e i democratici. Sul numero di Newsweek di questa settimana prova a spiegarlo Howard Fineman, capo della redazione politica di Newsweek e uno dei più esperti giornalisti politici americani.

Obama non ha capito il mandato che gli era stato consegnato, dice innanzitutto Fineman. La vittoria del 2008 è stata una vittoria della sua persona più che dell’agenda politica dei democratici, ed è stato un errore prestare il fianco alle critiche dei repubblicani sull’invadenza del governo. Obama ha provato a fare tutto, mostrandosi coerenza rispetto all’impegno a non sprecare la crisi. Ma fare cose grandi e impegnative può avere cattive conseguenze, se l’impatto di queste cose non si verifica nel breve periodo e se nel frattempo non si riescono ad arginare gli effetti della crisi economica sulla vita delle persone.

Prendiamo la riforma sanitaria. Tra dieci anni, probabilmente, la considereremo la più grande eredità della presidenza Obama. In questo momento è una legge impopolare che ha richiesto un anno di battaglie per essere approvata, piena di burocrazie complicate da spiegare, e che ha distratto l’amministrazione dall’economia. Oggi è un tema politicamente radioattivo: nell’ultimo discorso di Obama, a Cleveland, il presidente parla della riforma sanitaria per venticinque secondi in quarantasette minuti.

Obama non ha capito che il tempo passava. Sapeva che i repubblicani avrebbero rallentato ogni sua nomina, ogni sua azione legislativa, ma non si è mai posto il problema di superare questo problema una volta per tutte. L’amministrazione è stata lenta nelle contromisure all’ostruzionismo e ingenua nel non saperne prevedere gli effetti. Per questo Obama ha sprecato il suo capitale politico con questa rapidità. Un esempio di quest’ingenuità è il voto sulla legge sul clima, che avrebbe introdotto un sistema di incentivi e disincentivi fiscali in relazione alle emissioni di anidride carbonica delle imprese. La legge era indigesta ai centristi, indispensabili per il suo passaggio: Obama li ha praticamente costretti a votarla, innervosendoli e inimicandoseli per i mesi a seguire. E poi la legge non è passata, affondata dall’ostruzionismo.

Obama ha capito cosa gli succedeva intorno. Fineman dice che il Presidente è una persona gradevole e ragionevole, ma a cui non piace affrontare gli avversari faccia a faccia. I repubblicani gli hanno teso delle trappole fin dal primo giorno del suo mandato, ed è stato ingenuo pensare che potessero collaborare con lui in qualsiasi modo: Obama non li conosce.

È compito della presidenza persuadere le persone, compresi i propri avversari: convincerli a fare quello che loro non vorrebbero fare, se questo è il bene del paese. Davvero Obama pensava di poter fare a meno di tutti i riti e le convenzioni della politica? Il Presidente ha avuto il primo colloquio con il leader dei repubblicani alla Camera solo il mese scorso. Meglio tardi che mai, certo, ma ormai era troppo tardi.