Will the real Slim Shady please stand up?

È appena uscito il nuovo album di Eminem, "Recovery", e sembra di averlo già ascoltato.

di Chiara Lino

Chi scrive ha fatto il liceo quando il fenomeno-Eminem era appena esploso. Eminem era ovunque: sulle magliette, in radio, al cinema, nei lettori cd dei miei compagni di classe, sulle pareti delle camere, nelle conversazioni quotidiane, nella lista nera di quelli che “il rap è un’altra cosa e io questa robaccia mainstream non la ascolto”, sugli adesivi in regalo con le chewingum. Arrabbiato, pungente e mai controverso qui quanto lo è stato in patria: talvolta non sapere l’inglese aiuta, e più che alla comprensione dei testi alludo all’incapacità dei genitori di capire il bollino “Parental Advisory” nel comprare il CD ai pargoli. Sono passati undici anni dal primo grande successo e uno dall’ultimo, Eminem non è più altrettanto ovunque e chi scrive non è più al liceo, in compenso è appena uscito un nuovo album.

Recovery è il settimo album di Eminem, il secondo (dopo Relapse: Refill, del 2009) post-disintossicazione e il primo da completamente sobrio. Segna un ritorno alle origini, secondo il New York Times, e non è affatto una buona notizia.

Recovery poteva rappresentare un’opportunità di rivalutazione o ridefinizione, un album che avrebbe condotto Eminem verso terreni altrettanto complessi ma ancora estranei alla sua musica. L’ha usato invece come piattaforma per ristabilire i suoi valori fondanti, ignorando completamente i traumi auto-indotti degli ultimi anni.

In più di un senso, l’Eminem rappresentato in Recovery è un riflesso dell’artista che era prima che il mondo fagocitasse la sua immagine. I concetti sono sempre gli stessi: violenza fumettistica, aggressione sessuale, rap incredibilmente intricati.

Chi voleva vedere un Eminem cambiato, più maturo, dovrà fare i conti con la solita solfa e con la soddisfazione dei fan che la solita solfa è proprio ciò che chiedono. Resta un disco anacronistico per il periodo a cui appartiene, che fallisce proprio nel momento in cui il rapper avrebbe dovuto reinventare un proprio stile e chiarire una volta per tutte la posizione di un uomo molto rap in un mondo molto pop.

Nel 2010 rappresenta un caso bizzarro: non è parte né del panorama pop né di quello rap. È diventato una macchina sforna-soldi, sfruttando uno stile caratteristico che una volta ha conquistato il mondo ma che ora suona anacronistico.

Produce invece un po’ di canzoni arrabbiate

Cold hearted, from the day I Bogarted the game, my soul started to rot, fellow

When I’m not even at my harshest, you can still get roasted cause Marsh is not mellow.

Qualcosa di sobrio

“Them last two albums didn’t count,” rappa in “Talkin’ 2 Myself.” “ ‘Encore’ I was on drugs, ‘Relapse’ I was flushing them out.” (“Gli ultimi due album non contano, in ‘Encore’ ero strafatto, in ‘Relapse’ mi stavo disintossicando”)

Qualcosa di (contraddittoriamente) ubriaco

“The way I feel, I’m strong enough, to go to the club or the corner pub
And lift the whole liquor counter up”

(“Mi sento abbastanza forte per andare al club o al pub dell’angolo e tirare su l’intero bancone”)

E un duetto con Rihanna.