Chi è Glenn Beck

A volte si commenta qualcosa di cui non si ha un’esperienza diretta. Un esempio: Glenn Beck. Da qualche mese, tanto più dopo la solenne messinscena della marcia “Restoring Honor” il 28 agosto, fin sotto la scalinata del Lincoln Memorial di Washington, Beck ha acquisito credibilità presso i commentatori americani e non solo, come se le sue ormai trasparenti ambizioni politiche e soprattutto le sue interpretazioni leaderistiche, fossero qualcosa di più serio degli effetti collaterali d’una vanesia e magniloquente conduzione televisiva. Chiediamo: soprattutto dalle nostre parti, chi straparla di Glenn Beck s’è mai preso il disturbo di fare notte davanti a FoxNews fin quando costui amministra la lezioncina quotidiana? Avete ascoltato con le vostre orecchie di cosa si sta parlando? Di chi si sta parlando? Ovvero di quale borioso gigione ci si sta occupando, concedendogli credibilità politica e perfino un ruolo di rilevanza nazionale, allorchè per l’America comincia la stagione dei voti e delle scelte? Qualche sera fa Beck ha puntato al bersaglio grosso: per continuare la campagna lanciata quest’estate in favore d’una “nuova evangelizzazione dell’America” – ne parla come di un  procedimento indispensabile, ma non è mai chiaro di che si tratti, se non del fatto che gli americani dovrebbero tornare a essere pii, perché ultimamente se lo sarebbero dimenticato – Beck s’è circondato di una stravagante compagnia di ospiti (un predicatore nero che neanche in un film di Eddie Murphy, un vietnam veteran fuori di cotenna e un rabbino di Seattle permanentemente animato da sospetta giovialità) per dire alla platea di ultras in studio che è ora di rifare come fecero i fondatori: preghiera, speranza, carità e il resto viene da solo. Sempre a patto di togliere le chiavi della cassaforte nazionale dalle mani dei pirati di Washington. Quella di Beck è una pacchiana banalizzazione di un quadro drammatico, condotta con una supponenza mielosa, condita di sguardi bovini nelle telecamere, e indirizzata alla più cafona autopromozione: vi sentite poco bene? Date retta a me e tutto andrà per il meglio.

È evidente che Obama e i suoi fatichino a farsi seguire nel progetto che perseguono. L’impazienza, il nervosismo, l’insicurezza americana sono un dato percepibile. L’ipotesi di un’alternativa che batta altre strade va considerata. L’America ha il diritto di passare il timone in mani diverse da quelle che ci hanno provato negli ultimi due anni. Ma che c’entra uno come Beck, con la problematicità di un cambiamento? Che posto occupano i suoi scalcinati sermoni carichi di ammiccamenti? Quale reale (pericolosa) credibilità può assumere il patto mediatico che unisce l’uomo dello spirito (Beck) e la donna dell’azione (Palin)? L’America conservatrice, dentro e fuori il partito repubblicano, dispone di intelletti ben diversi, per continuare ad alimentare questo vizioso avanspettacolo. Ridateci Mitt Romney, date spazio a Crist e a Cantor, mettetevi d’accordo con Bloomberg. Se non volete essere corresponsabili di un disastro, levate dall’immaginario dell’America la tentazione d’ascoltare questo affabulatore da televendite. Non ha colore, né partito, né fazione, il paese che si pentirebbe d’aver portato troppo in alto il titolare d’un tale gaglioffo riuso del trash.

Stefano Pistolini

Stefano Pistolini fa il giornalista e lo scrittore ed è autore radiotelevisivo. Collabora con Il Foglio.