I giorni della scheda bianca

Esteticamente non è mai una bella cosa, figurarsi se succede per due giorni consecutivi al momento di eleggere il Presidente della Repubblica. Votare scheda bianca è una scelta decisamente frequente in occasioni del genere, ma rimane il fatto che giovedì e venerdì non sarà fantastico ascoltare la cantilena del presidente delle camere congiunte: bianca, bianca, bianca, bianca…

In teoria, considerando i gruppi che hanno annunciato questa linea di condotta nei tre scrutini nei quali è richiesta la maggioranza dei due terzi, dovremmo sentirlo ripetere ben 673 volte. In realtà le bianche saranno di meno. E proprio in questa facile previsione risiede l’insidia della mossa di Pd, Forza Italia e Area popolare, al di là della fastidiosa questione d’immagine e delle inevitabili, scontate spiritosaggini che toccherà scambiarsi per due giorni (mai quante ne dovrà sopportare la direttrice del Tg3).

La ragione della scelta è ampiamente nota. I contraenti del patto del Nazareno non vogliono esporre alcun candidato, neppure uno che fosse solo “di bandiera”, alle scorribande delle prime tre votazioni. Inoltre – implicazione meno confessata ma più forte – il voto in bianco è molto più controllabile e lascia molto meno spazio a manovre ostili che potrebbero prendere corpo nel segreto delle cabine per iniziativa di gruppi d’opposizione interna o esterna.

È più controllabile perché occhiuti osservatori valuteranno il tempo di permanenza in cabina, che lasciando la scheda bianca non può essere superiore ai tre-quattro secondi. E di conseguenza non lascia molti margini alle incursioni di chi avrebbe convenienza a far “crescere” candidati fuori dagli accordi sottoscritti dai partiti.

Per esempio. Se Renzi o Berlusconi fossero partiti con candidati di bandiera, è praticamente certo che accanto a questi ultimi sarebbero apparse dozzine di schede col nome di Romano Prodi. Alcune (poche) sincere (Sel, la sinistra Pd, i grillini fuoriusciti), moltissime di puro e semplice sabotaggio: forzisti, grillini doc, renziani insofferenti, perfino leghisti. E se venerdì sera ci trovassimo, per dire, con duecento voti per Prodi, le cose per Renzi si farebbero davvero difficili.

Basterà la marea di bianche per annegare questo, o altri tentativi di disturbo possibili?

Non esiste l’antidoto sicuro. Nulla vieta ai grandi elettori di rallentare il passaggio in cabina il tempo necessario a scrivere poche lettere. E anche senza arrivare a centinaia di voti, ne basta qualche decina per lanciare ai leader e all’esercito dei parlamentari il messaggio di una rivolta possibile.

Per due giorni nell’aula di Montecitorio si celebrerà un rito da politica inconcludente, inefficiente, incomprensibile: bersaglio volontario d’ogni tipo di vituperio. Renzi e Berlusconi sperano che sia solo questo il prezzo da pagare, sicuramente accettabile se aiuta a centrare l’obiettivo grosso.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.