De Magistris, la fine di un’epoca

Una prece per il partito giustizialista italiano. Un sentito pensiero per i fanatici della società civile. Un saluto a mai più rivederci per quelli della superiorità morale, delle manette facili, dei processi mediatici. E un consiglio amichevole, davvero, a Marco Travaglio, anche se da un giornale clandestino, come ci considerano lui e D’Alema: torna a fare il tuo mestiere, che lo sai fare bene; perché invece la stagione da regista dei movimenti e da king maker di nuovi leader è finita, ed è finita maluccio. È stato bello finché è durato, con le folle eccitate dal sangue dei politici corrotti e commosse dall’aura di santità dei cavalieri del giusto. Ma è una storia del passato, e quando finirete di accoltellarvi fra voi lì al Fatto quotidiano ripensate a come far rivivere la vostra grande (seriamente, grande) impresa giornalistica su altre basi; meno friabili delle inchieste di De Magistris; meno pompose delle promesse della Spinelli; meno furbe delle buste paga di Maltese; meno gonfie delle ambizioni di Ingroia; meno distratte delle amicizie di Di Pietro; meno schizofreniche dei diktat di Grillo.

Noi qui siamo un po’ inquinati, magari corrotti, perché seguiamo da vicino i partiti, i politici di professione, il lavoro la fatica e gli errori di chi amministra e di chi governa. Perché veniamo da un’era (finita, male e meritatamente) di finanziamenti pubblici alla politica e al giornalismo politico, e cerchiamo di uscirne con dignità.
Guarda caso però, proprio la dignità finisce per fare la differenza.

Tra uno come Vasco Errani e uno come Gigi De Magistris, per esempio. Un politico di professione e un eroe delle piazze televisive. Un bravo presidente di Regione e un cattivo sindaco. Il primo colpito da condanna in appello che inverte un’assoluzione, il secondo da una condanna in primo grado figlia della conduzione dissennata di un’inchiesta che ebbe grande impatto sulla politica italiana e sulla carriera del pm, ma zero riscontri penali. Errani se ne va all’istante, nonostante appelli a restare e attestati di onestà. De Magistris fa una figuraccia planetaria, resiste a ogni sollecitazione, rimane attaccato al posto, arriva a chiamare «delinquenti» i suoi ex colleghi. Gli serve a poco il soccorso di Travaglio: ottanta righe per dimostrare che è un perseguitato, dieci per dire che purtroppo deve dimettersi lo stesso.

È la vera fine di un’epoca. Finalmente non contano più le etichette appiccicate a priori sui ladri e sui probi ma i valori personali, i comportamenti concreti, l’onestà profonda non presunta. Stefano Bonaccini, altra vicenda di politico di professione, sa di essere a posto, lo dimostra, non si fa stroncare dal sospetto, se ne libera. Travaglio dopo avergli dato del ladro non gli restituisce l’onore né mai lo farà, ma ci penseranno gli emiliani e questo conta un milione di volte di più.
Lentamente, a fatica, la giustizia può tornare a essere giustizia. Per i giustizieri è ora di tornare a casa.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.