Semestre di lotta e di governo

Uno dei motivi per i quali i cittadini non capiscono e non apprezzano l’Europa è il clima rarefatto e la prassi consociativa della politica di Bruxelles e Strasburgo. Senza pretendere che i risultati siano gli stessi conseguiti in Italia, può darsi che su questo l’avvento di Renzi cambi un po’ il verso anche nei palazzi dell’Unione.
Di sicuro, gli europarlamentari hanno vissuto poche giornate così movimentate. Non regge neanche il confronto con l’analogo insediamento del presidente di turno Berlusconi nel 2003 (la volta dello scontro con Schulz). Perché allora c’era un esuberante isolato che riuscì a inimicarsi gente di tutti i partiti e tutti i paesi. Mentre ieri, alternando al solito improvvisazione e premeditazione, Renzi ha compiuto gesti destinati a definire lo scenario e i rapporti di forza della stagione europea, rafforzando alcune antipatie ma anche molte recenti simpatie e alleanze.

La prima parte della giornata ha visto la trasposizione su scala continentale dello schema usato sulla scena domestica. Cancellare le categorie del vittimismo e dello sconfittismo (ieri della sinistra italiana, oggi della nazione italiana), caricarsi dell’onere delle riforme, richiamare per primi se stessi al rispetto delle regole, rivendicare non il diritto ma il dovere di una generazione a farsi avanti e a farsi valere. Il tutto saccheggiando epica, filosofia, pop: un discorso “di visione”, diciamo, apprezzato come tale da gran parte dell’assemblea.
Poi s’è acceso lo scontro. Non la scaramuccia, prevista ma infine irrilevante, con gli euroscettici leghisti e grillini, bensì il contrasto bello duro con un vero potere forte, oltretutto teoricamente alleato nelle larghe intese europee, cioè i popolari tedeschi, e dietro di loro l’intero blocco nordeuropeo.

Il fatto che Renzi abbia accettato e amplificato il duello con Weber è un segnale per tutti, dalla Francia in giù. Davvero l’Italia si mette a capo di un partito trasversale che intende battersi per cambiare le politiche dell’austerità fine a se stessa. Non sarà guerra con Merkel (Renzi può essere bullo ma non scemo), né rischia il compromesso raggiunto su Juncker. Però il compromesso devono rispettarlo tutti. E tutti ora sanno che il semestre non avrà nulla di burocratico ma sarà una stagione di lotta.
A condizione che a Roma, per Renzi, funzioni la fase di governo, cioè che si facciano le riforme che propone e che, uniche, gli danno credibilità. E questa non è una responsabilità solo sua.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.