Il Pd che rallenta le riforme

Matteo Renzi, si sa, è capace di sorprendere, e lo sta confermando in queste ore con la manovra finanziaria più “di sinistra” che avrebbe potuto escogitare. Anche i suoi oppositori però non scherzano. Per esempio, l’ultima cosa che a questo punto ci si sarebbe potuti aspettare, avendo l’esperienza di oltre di un anno di legislatura alle spalle, era che nel Pd ci fosse qualcuno che avesse ancora voglia di fantasticare su operazioni di sponda con Cinquestelle.

Eppure succede. Non so se Chiti, Mineo, Casson e gli altri senatori sostenitori della proposta alternativa sulla riforma del senato siano da iscrivere all’area di Pippo Civati (cioè del dirigente democratico che più generosamente e dolorosamente ha sbattuto la testa sul muro dell’indifferenza grillina alle sue avances), quel che pare evidente è che il loro tentativo sia destinato a fare la stessa malinconica fine.
Perché, va da sé, la fine del bicameralismo è una novità talmente importante e delicata da imporre il massimo di attenzione e discussione. Ma il merito delle questioni va insieme al contesto e al senso politico delle operazioni. E se uno oggi ipotizza di procedere nella marcia della quadrupla approvazione parlamentare di una riforma costituzionale facendo affidamento su M5S, la cosa perde tutto il suo eventuale interesse.

Né si aiuta, in questo modo avventuristico, l’opportuno lavoro di miglioramento del testo proposto dal governo e ieri controfirmato dal presidente della repubblica senza apportarvi modifiche.
Proprio perché una buona riforma è importante, e perché soprattutto sul lato delle garanzie non tutto è convincente nella bozza del governo, sarebbe meglio smetterla coi giochi finalizzati più che altro a indebolire Renzi e a rallentare un percorso al quale gli italiani guardano con speranza.
Come s’è platealmente dimostrato con l’inesistente allarme sullo “sganciamento” di Forza Italia, c’è una forza politica intrinseca nel disegno delle riforme istituzionali. La manovra finanziaria presentata ieri, con il massicio taglio di spesa pubblica improduttiva, la penalizzazione di alcuni soggetti forti e il sostegno alle fasce deboli, darà probabilmente una spinta ulteriore, forse decisiva.
Il Pd è il motore di questo processo e ne sta chiaramente beneficiando, come credibilità e consenso. Sarebbe logico dare una mano a cambiare meglio, invece che cercare invano di trattenere un treno in piena corsa.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.