Le liste del PD per le europee

Matteo Renzi fa benissimo a non voler mettere il proprio nome sul simbolo del Pd per le elezioni europee. Su questo punto seguiamo la dottrina Bersani, dice lui. E ha ragione.
Forse abbiamo finalmente compreso che il destino di un partito, di una comunità di persone, è compromesso dall’assenza di una leadership forte; d’altronde, quando questa leadership c’è va sfruttata al massimo preservando però le possibilità future. Il Pd sta meglio oggi con Renzi segretario che mai in sette anni di vita, ma deve attrezzarsi a star bene nella società, nel sistema politico e sul mercato elettorale godendo di una guida politica, più che di un traino carismatico.

Renzi aggiunge che le elezioni europee non dovranno essere lette come un voto su di lui a palazzo Chigi. Si capisce la prudenza, ed è vero che altri fattori ben più “lunghi” che non l’attività del governo influenzeranno i risultati. È evidente però che il 25 maggio si vota anche su Renzi premier. È un rischio, ma l’interessato deve esserne contento. Occupare il centro della scena, diventare l’oggetto di un plebiscito permanente da parte dell’opinione pubblica: questa è l’essenza di una leadership forte offusca il ruolo di tutti gli altri attori politici. L’opposto della subalternità della quale la sinistra ha sofferto nei confronti di Berlusconi per vent’anni.

Per questi motivi, assente il nome di Renzi dalle schede, la selezione dei candidati per Strasburgo è tanto importante. E non può svolgersi secondo i riti e i criteri usati fin qui per un’elezione considerata di secondaria importanza.
Non accade solo in Italia né solo a sinistra: l’abitudine è di impiegare il parlamento dell’Unione come nobilissimo pensionato o come bacino di compensazione per le dinamiche di partito.
Chiamati per la prima volta a compilare delle liste nazionali, Renzi e i suoi devono sapere che sia il risultato che la fisionomia del Pd dipenderanno dalle loro scelte. Né pensionato per nobili decaduti, dunque, né raccolta di figurine di veltroniana memoria (la donna, il verde, il gay, l’operaio, l’immigrato, l’imprenditore, il giovane). Possibilmente neanche la corrida correntizia del dilettante, come le primarie del Capodanno 2012 che consegnarono gruppi parlamentari di scarsa affidabilità. Il bacino degli amministratori, il preferito di Renzi, non può essere troppo saccheggiato a scapito dei governi locali. Gli equilibri interni del nuovo Pd, infine, sarà meglio regolarli negli organismi dirigenti, dove l’allargamento della maggioranza è ormai maturo.

Il meccanismo delle preferenze su collegi enormi è impietoso, pretende candidati di radicamento o di notorietà mediatica, ma può essere governato: più che testimonial, a Strasburgo serviranno i competenti e serviranno i combattenti politici della causa di un’Europa che cambia verso. Sarà un’altra bella prova per Renzi, tornato per l’occasione segretario di partito.

Stefano Menichini

Giornalista e scrittore, romano classe 1960, ha diretto fino al 2014 il quotidiano Europa, poi fino al 2020 l’ufficio stampa della Camera dei deputati. Su Twitter è @smenichini.